Pubblichiamo la terza e ultima parte della conversazione tra Armen Avanessian e Suhail Malik pubblicata su «DIS Magazine» nell’Aprile 2016.
Suhail Malik: Sotto le sembianze del contemporaneo, il modernismo di sinistra manifesta una sorta di malinconia verso un futuro che si annulla per salvaguardare il suo ereditato fondamento: il presente. Passato e futuro sono considerati come variazioni del presente. Per la critica di sinistra, il vantaggio è che il contemporaneo può poi ospitare, diversificare e colonizzare tutto il tempo secondo le proprie regole. Ciò risulta evidente nell’arte contemporanea, che detiene una sorta di ultima parola nel campo dell’arte. Cancella persino il proprio futuro, se non il futuro in generale, per il bene delle proprie doti critiche, che sono naturalmente dei meccanismi di cattura per dimostrare a ogni cosa l’importanza dell’arte contemporanea.
Armen Avanessian: L’arte contemporanea è un ottimo esempio perché non è stata solo una vittima della recente ridisposizione economica e politica del neoliberismo, ma ha anzi contribuito profondamente a costruire la matrice di tale riorganizzazione, applicandone la logica su tutti i livelli da un punto di vista critico di sinistra. Più precisamente, ha enfatizzato il dominio del presente o del passato come requisiti per l’azione, e ha anche, come già detto, identificato nell’esperienza il beneficio principale di tale riorganizzazione. L’arte contemporanea detiene il controllo di una generale estetizzazione che si verifica su tutti i livelli: l’estro personale/individuale, l’originalità ecc.; l’ambiente e le città come luoghi di creatività e imprenditorialità «perturbante»; la fusione di produzione e consumo che ha dato vita al prosumer [produttore+consumatore, N.d.T], il cui habitat naturale è, appunto, la città smart che è divenuta una sorta di evento biennale perpetuo. Tutto ciò rimanda a una feticizzazione della presentness e dell’esperienza estetica della quotidianità, a scapito della sua ricostruzione, che sarebbe invece il compito affidato alla poiesis o alla poetica.
Suhail Malik: Tramite il continuo arricchimento di esperienze attraverso l’incontro estetico, l’arte contemporanea attira l’attenzione su questioni specifiche e particolari a scapito della comprensione generale del sistema. Nel suo contributo, Victoria Ivanova richiama l’attenzione su questa logica di funzionamento, ricollegandola al regime dei diritti umani come una sorta di controparte nell’ordine globale che costruisce la relazione tra universale e particolare dopo la cosiddetta «fine della storia».
Sia chiaro che non si tratta di una condizione di stasi: l’arte contemporanea è incorporata all’arricchimento di esperienze del neoliberismo per l’élite che ne beneficia, in una modalità che promuove il cambiamento e le nuove visioni. Fa parte della complessità dello sviluppo capitalistico neoliberale del presente speculativo: sembra quasi un bene personale, un arricchimento dell’esperienza estetica per promuovere il cambiamento pur mantenendo una certa stabilità…
Armen Avanessian: Dunque un’esperienza estetica legata non solo al mondo dell’arte ma a ogni cosa.
Suhail Malik: Sì, un’estetizzazione dell’esperienza, o l’esperienza come estetica. Si tratta anche di una generalizzazione etica: l’elogio delle differenze senza alcuna pretesa politica, come una sorta di superliberale…
Armen Avanessian: …Depoliticizzazione…
Suhail Malik: Una depoliticizzazione in quanto si percepisce una de-sistematizzazione. Tale elogio estetico/etico è una sconfessione delle determinazioni sistemiche – un ripudio fatto indirettamente, come una sorta di condizione di fondo. Le determinazioni sistemiche sono trattenute dall’essere troppo complesse per poter essere comprese o rielaborate, intrattabili o ostinatamente sbagliate perché totalitarie. Per questo siamo obbligati a essere limitati, preferendo essere semplicemente le singularity di ciò che è e di esperienze.
Certamente questo è un precetto dell’arte contemporanea, che si muove attraverso ogni opera e le sue norme sociali. E in tal senso rappresenta un modello minore, ma paradigmatico, per una socialità neoliberista, come osserva Ivanova.
Il modo in cui l’arte contemporanea diventa un giocattolo per il grande potere nel neoliberismo, nonostante molti contenuti critici dell’arte siano in contrasto con quel modello di dominio, sulle basi di questo accordo dona un senso di coerenza. Ma ciò che qui dobbiamo evidenziare è che destra e sinistra possono avere interessi comuni nell’appiattimento o nella semplificazione del tempo complesso, come reattive detemporalizzazioni del presente speculativo. Ciò che è necessario contro questo tipo di reazioni è di sviluppare strategie e pratiche – e quindi anche teorie – per far guadagnare terreno al presente speculativo. Ed è quello che entrambe le strategie, quelle conservative di destra e l’approccio più critico della sinistra o estetico, sono assolutamente incapaci di fare. Come abbiamo detto, entrambi si uniscono nell’arte contemporanea, che non sa far altro che consolidare questo stato, non importa ciò che dice o pretende di fare, o ciò che impongono le sue richieste di contenuto.
Armen Avanessian: Concordiamo sul dover pensare e agire entro un tempo complesso speculativo postcontemporaneo. Ma ora la domanda è: come renderci diversi dalla sua versione capitalista e finanziario-feudale? Come fa una teoria speculativa a introdurre una differenza nel presente speculativo a partire dalla sua formazione che ha attinto dal neoliberismo, tuttavia noi potremmo descrivere quella forma di dominio? Quale sarebbe una politica speculativa in grado di accelerare il tempo-complesso, introducendone una differenza?
Suhail Malik: Certamente è questa la questione politica fondamentale. Per comprenderne le difficoltà potrebbe venirci in aiuto un ulteriore riferimento teorico. Cioè, perché il nostro desiderio di sorpassare la contemporaneità non si limita a essere solo la critica della metafisica della presenza teorizzata da Jacques Derrida? Per Derrida, la presenza è la categoria principale della metafisica occidentale, non soltanto circoscritta alle principali dottrine filosofiche della tradizione occidentale, ma anche alle formazioni sociali, politiche e linguistiche prevalenti. Derrida propone che il presente debba essere smontato e ricostituito per adeguarsi a se stesso. Per lui, il compito è quello di decostruire lo stato di presenza – da un punto di vista ontologico, nel tempo, nello spazio e così via. Stiamo sostenendo che tale contemporaneità non sia inferiore a un presente storico, sociale ed esteso, una cosiddetta presentificazione. Dunque, pur essendo Derrida una figura-chiave nella linea critica, non è che ripetendola, in un certo senso, essa debba anche essere superata?
Armen Avanessian: Non è la cosa peggiore ripetere in una certa misura il pensiero di Derrida. Ma con la sua decostruzione, un processo necessariamente in continuo divenire dell’ideologia o dell’effetto dello stato di ciò che è presente costruendosi e venendo decostruito: la Metafisica deve essere decostruita e auto-decostruirsi in continuazione, è un processo senza fine. Purtroppo, ciò si trova a dialogare fin troppo bene con una noiosa estetica modernista del negativo, non così lontana dai feticci della Scuola di Francoforte, del non-identico, di una «différance» che gioca sull’opposizione tra significato e contenuto (aspetto tradizionalmente negativo) e sulla sottrazione (che è invece un aspetto positivo) così come lo sono il vuoto e la scarsa chiarezza. Penso che ciò sia molto modernista, sia la logica del XX secolo sia quella contemporanea. Contrariamente a tutti questi tentativi, la rielaborazione del presente speculativo deve riconoscere che il significato è sempre lì, in ogni caso, e il processo costante di cambiamento e sottrazione sostenuto da Derrida e dalla linea critica cui appartiene non è necessariamente qualcosa di positivo.
Così, con la decostruzione della maggior parte dei filoni filosofici del secolo scorso, si finisce in un’estetica che è celebrazione progressiva di un gesto di interruzione, svuotamento e così via (si pensi un po’ ai noiosi discepoli di Badiou). Tuttavia con il tempo speculativo complesso si esce da questa logica di interruzione. Non problemi ad affermare un’ontologia del tempo, a patto che ci dia un’alternativa, che non sia attraverso il presente, per comprendere il tempo.
Suhail Malik: Hai ragione a dire che il pensiero derridiano va a finire nell’estetica. Ma si tratta anche di una questione etica, con la sua enfasi sull’esperienza sempre singolare e inconciliabile di fragilità. Derrida si scaglia contro il significato costituito.
Armen Avanessian: Non dobbiamo avere paura di creare significato. Anzi.
Suhail Malik: Certo. Non so se la mia ulteriore osservazione sia coerente con la tua risposta, ma il fatto è che la costruzione del tempo speculativo complesso è l’azione sociale – da un punto di vista principalmente tecnico ed economico – di decostruzione della presenza. Cioè, il modo in cui la semantica o le operazioni strumentali sono generate nelle società del tempo complesso corrisponde esattamente alla decostruzione della presenza e del significato, proprio come affermato da Derrida.
Armen Avanessian: A causa del tempo speculativo complesso usciamo dunque dalla metafisica della presenza. Derrida ne parla un po’ all’interno della sua riflessione sulle tecnologie e i dislocamenti (displacements) dello spazio, sulla località, e sull’ontologia. Ma il punto politicamente complesso e per lo più evitato in queste discussioni è che l’ambita decostruzione del tempo, del significato e così via, è in realtà già in atto attraverso i processi di capitalizzazione. Il «loro» del nesso tra stato e business ha realizzato tale decostruzione, e lo ha fatto meglio di Derrida. In questa luce, ciò a cui costringe «il contemporaneo» è il ridimensionamento della presenza contro la sua decostruzione, attraverso il tempo complesso. La contemporaneità include qui tutti i processi di interruzione, sottrazione, ritardo e non-identità di cui hai parlato, così come molti altri tra cui la decostruzione semantica.
La grammatica del presente speculativo
Suhail Malik: Per tornare alla tua domanda: ciò di cui abbiamo bisogno è un modo per entrare in contatto con il tempo complesso che non sia solo una questione di rappresentazione di profitti o di sfruttamento esasperato su queste basi riviste, come il neoliberismo ha fatto con successo. Tale formazione capitalizzata del tempo complesso è un tipo di organizzazione limitato e ristretto del presente speculativo; una cosa che tra tutte le sue complessità ripristina la presentificazione affinché i profitti debbano essere accumulati adesso secondo la visione a breve termine del capitalismo neoliberista.
Armen Avanessian: Il fatto è che dobbiamo ammettere che lo sviluppo sociale, tecnologico, politico ed economico del neoliberismo offre un vantaggio perché agisce all’interno della temporalità speculativa, e in parte ha definito le istituzioni che operano secondo tale logica speculativa. Ma lo sviluppo neoliberista riduce anche la dimensione speculativa del tempo complesso perché rifiuta ogni forma di apertura o di contingenza del futuro così come del presente.
Suhail Malik: No, non sono d’accordo. Credo che il problema sia proprio che si aprono di più contingenze di carattere sociale e semantico. È ciò che Ulrich Beck e altri autori coinvolti nella nozione di «società del rischio» hanno diagnosticato in altri termini negli anni ’90. Ciò che chiamano rischio è il riconoscimento, nel presente, di come il tempo complesso si apra al futuro come requisito di un ordine sociale (più precisamente un quasi ordine).
Armen Avanessian: No, no. Il contemporaneo è una produzione costante di innovazioni e differenze, ma non introduce una differenza al movimento ripetuto del tempo. La lingua tedesca consente la distinzione tra Beschleunigung, che è l’accelerazione come aumento di velocità, e Akzeleration. Quest’ultimo termine potrebbe rappresentare l’immagine, presa dal passato, di un orologio che scorre troppo veloce. Una deviazione in avanti – non un movimento circolare, ma ricorsivo. Il termine Akzeleration ha introdotto una sorta di differenza rispetto alla funzione dell’orologio. Ed è tale differenza che il sistema economico neoliberista o neofeudale consente difficilmente, perché produce un futuro automatizzato. Ciò nonostante l’attitudine critica tipica dell’arte contemporanea (di sinistra) non è sbagliata, ma non vede le potenzialità del tempo speculativo e si chiude nel presente. Su di esso vede solo gli effetti del capitalismo. La critica d’arte contemporanea produce in gran parte una quantità ingente di oggetti o significati – essenzialmente decorativi – che mantengono una tale visione chiusa del tempo complesso speculativo. E sto parlando non soltanto del piano semantico del significato, ma di quello della materialità del linguaggio e della materialità del tempo, che non sono separabili.
Suhail Malik: Dunque il compito della post-contemporaneità contro la contemporaneità è quello di cambiare il tempo?
Armen Avanessian: Il post-contemporaneo lavora e funziona all’interno del presente speculativo. Lo comprende, lo applica, e modella la nostra temporalità. Esistono attualizzazioni alternative del presente speculativo o asincrono, esistono diverse interpretazioni di esso? Nel suo contributo, Aihwa Ong mette in evidenza alcune di tali costruzioni nella sua antropologia di quella che chiama «scienza cosmopolita». Ong delinea come gli universalismi e le astrazioni intrinseche all’imprenditorialità scientifica supportino e siano supportati in Asia da specifiche formulazioni di significato di carattere storico-culturale, rimescolando ogni semplice opposizione tra locale e globale, tra passato (la cultura) e futuro (la tecnoscienza imprenditoriale). Per fare un altro esempio, con la poetica speculativa il punto è come possiamo capire apertamente il futuro non solo come una sorta di futuro indicativo.
Suhail Malik: Che cosa intendi per «indicativo»?
Armen Avanessian: Ci sono tre modi verbali: imperativo («Vai!»), indicativo («Lei va») e congiuntivo ( «che io vada»). Nella filosofia del linguaggio – ma persino nella filosofia politica – è importante capire che tutti i tempi sono modali. Il passato e il presente sono da intendersi in maniera modale – soprattutto all’indicativo. Ma il tempo futuro e il modo congiuntivo sono abbastanza vicini in quanto entrambi utilizzano la grammatica della possibilità. Tale contingenza è semplificata dalla logica contemporanea ed è spesso fraintesa dalla chiusura del tempo speculativo al presente. Ma, approfondendo un po’ l’analisi tecnica, il congiuntivo si riferisce a un’azione precedente a quella dello stare andando, quindi se si utilizza il congiuntivo o il futuro nel presente significa che l’azione non è ancora successa. Questa analisi è forse troppo tecnica per questo contesto, ma il punto principale è che quel modo è come un tempo futuro che si trasforma in un tempo presente e, successivamente, in uno passato.
Suhail Malik: Il congiuntivo è quindi la forma della contemporaneità? Quella che imposta è un’azione che può essere accaduta, anche se non è ancora successa: «essi vorrebbero o potrebbero andare», ma non l’hanno fatto. E questo è un senso in cui il soggetto della frase è lasciato con una potenzialità, è un irrisolto.
Ciò dà senso all’elogio della «potenzialità» ovunque, attraverso l’attuale critica di sinistra, e, ancora una volta, del limite del tempo speculativo-complesso dal dominio del presente. Le affermazioni nell’arte contemporanea e nella contemporaneità sono decisamente limitate solo alla creazione di opzioni con potenzialità, senza in realtà fare nulla o mobilitando il presente speculativo per costruire un futuro. Il futuro è solo e soltanto un insieme di potenzialità che non deve mai essere attualizzato per timore di strumentalizzazioni e, paradossalmente e in maniera auto-distruttiva, realizzando in ciascun presente un futuro radicalmente diverso dal presente.
Armen Avanessian:La riduzione del tempo complesso alla contemporaneità non concepisce il futuro come possibilità, ma come unico possibile futuro-presente che diventa reale; in termini grammaticali, il futuro o il presente qui si intendono solo tramite l’indicativo. Ma il presente non è solo un «è», proprio come i tempi verbali (tense) non rappresentano il tempo (time). Dobbiamo sbarazzarci della comprensione del tempo a-modale.
Suhail Malik: Il contemporaneo è a-modale?
Armen Avanessian: Sì, e ciò che è invece necessario per un pensiero e una prassi adeguati alla temporalità speculativa in cui viviamo – uno Zukunftsgenossenschaft, come l’ho chiamato prima – sono i mezzi per trasformare un tempo futuro in uno presente. Ecco perché per me la grammatica è un modo di intendere il tempo speculativo nella sua apertura, anziché sottoporlo esclusivamente al modo indicativo. Un futuro accade nel presente solo se il congiuntivo è realizzato con successo, e ciò può avvenire anche per mezzo di un imperativo. Tra «potrei andare» (presente condizionale) e «andrò» (futuro indicativo) vi è il comando nascosto «Vai!» (imperativo).
Per me è esattamente questa differenza grammaticalmente organizzata ad aprire a un futuro differente e alla possibilità di fare e agire nel presente in modo diverso, invece di essere sottoposti a un futuro automatizzato, sia che si tratti del controllo preventivo o dei derivati. Più in generale, dobbiamo capire quei cambiamenti linguistici di significato e tempo – su un livello ontologico materiale, e non solo sul piano linguistico e concettuale. Tali complessità possono essere affrontate tramite analisi grammaticali.
Suhail Malik: Ok, ma come dimostrano quasi tutti i contributi su questo problema, abbiamo anche bisogno di generalizzare la costruzione del tempo complesso al di là del linguaggio e della sua grammatica. Le condizioni di cui stiamo parlando sono fatte delle ampie e sistematiche infrastrutture del presente speculativo nelle società integrate su larga scala. Esposito identifica un rimescolamento della linea del tempo contro le sue logiche moderniste e generalmente accettate, rimescolamento che suggerisce una nuova apertura al futuro, a vantaggio di un tipo relativamente nuovo di accumulazione di capitale. Ivanova prende il caso di un nuovo quasi-ordine globale giuridico-politico costruito tramite la ridefinizione instabile della relazione tra particolare e universale, mentre Srníček e Williams guardano al progresso sistemico tecno-sociale della robotica e dell’automazione per trasformare il fondamento della rappresentazione capitalista dell’attività umana. Benjamin Bratton, sotto la categoria di «design speculativo», estende queste possibilità a scenari più specifici e, allo stesso tempo, lungo diverse linee temporali; Ong affronta anche le questioni giurisdizionali e operative, nel caso specifico della realizzazione di un’impresa scientifica che ha senso in termini etno-culturali in Asia, trasformando le manifestazioni pratiche di dove e come può avvenire la costruzione dell’identità. Laboria Cuboniks combatte con il retaggio femminista proponendo una riorganizzazione tecno-scientifica e futuristica del corpo, dell’identità e del concetto di individualità; Roden rimescola il corpo, il sentire, il linguaggio in luce di una «tesi della disconnessione», secondo cui i tipi di intelligenza artificiale inaugurati da Artificial General Intelligence cambiano e cambieranno completamente lo spazio di codifica a qualsiasi livello.
In generale, e similmente alla mancanza di esperienza per comprendere il presente speculativo, le costruzioni delle lingue umane (presumibilmente solo alcune) rappresentano solo una parte di questa complessità integrata che non è abbastanza ampia come congegno per conoscere l’ampia condizione materiale e semiotica.
Armen Avanessian: Di sicuro abbiamo bisogno di più di una teoria del linguaggio, ma in ogni caso abbiamo bisogno di ciò che chiamo una «comprensione poetica» che, per me, deriva dalla teoria del linguaggio piuttosto che da quella estetica.
Suhail Malik: Mi discosto, in primo luogo, perché pur considerando la poetica come una modalità per chiamare la produzione in generale mi sembra di essere ancora troppo legato alle strutture proprie del comune linguaggio umano e alla sua organizzazione. Naturalmente è una condizione fondamentale della strutturazione sistemica sociale, tecnologica ed economica, ed è una mediazione necessaria per l’organizzazione su larga scala. Così, mentre la poetica come la descrivi ci fornisce un modo per riordinare il tempo complesso in ulteriori formati rispetto ai tipi di meccanismi repressivi della contemporaneità e a ciò che tu identifichi come indicativo, è necessario anche che la ristrutturazione sia operazionalizzata in termini non linguistici. Dobbiamo estendere il tempo complesso alle sue infrastrutture, che sono maggiormente strutturate in termini diversi da quelli delle lingue umane. È questo ciò che propone Bratton in Speculative Design, in cui si concentra in modo concreto e con specifiche situazioni e linee temporali, non ultimo con l’identificazione di «The Stack», che riordina il potere sovrano a seconda del materiale e le condizioni infrastrutturali di calcolo interconnesso su scala planetaria. Tuttavia, ancora più in generale, occorre una grammatica adeguata all’infrastruttura espansiva del tempo complesso nella sua ampia formazione.
Per leggere la prima parte clicca qui.
Per leggere la seconda parte clicca qui.
Rif. bibli. A. Avanessian e S. Malink, The Time-Complex. Postcontemporary, «DIS Magazine», Aprile 2016.
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Armen AvanessianArmen Avanessian (1973) è un filosofo austriaco, un teorico letterario e politico. Ha insegnato nel dipartimento di letteratura comparata della Libera Università di Berlino. É stato Visiting Fellow presso il Dipartimento di Tedesco presso la Columbia University e presso il Dipartimento di Tedesco dell’Università di Yale. É capo redattore di Merve Verlag, una casa editrice berlinese specializzata in filosofia e teoria politica. Nel 2011 ha fondato la piattaforma bilingue di ricerca Speculative Poetics che riunisce filosofi, scrittori e artisti di tutto il mondo attorno all'idea di una nuova disciplina teorica in divenire. La sua ricerca di concentra su argomenti quali il speculativo e l’'accelerazionismo nell'arte e nella filosofia.
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Suhail MalikSuhail Malik autore e ricercatore di studi di economia politica, teoria e assiomi dell'arte contemporanea. Insegna Critical Studies presso Goldsmiths, Londra, dove è co-direttore del programma del MFA Fine Art. Ha insegnato al Center for Curatorial Studies del Bard College di New York. La sua ricerca si concentra su temi di economia dell’arte, su come le operazioni di mercato predominano l'arte contemporanea globalizzata e sull’impatto dell’arte contemporanea nel nostro pianeta. Tra le sue più note pubblicazioni troviamo: On the Necessity of Art's Exit from Contemporary Art (2016), The Ontology of Finance (2015), The Politics of Neutrality: Towards a Global Civility (2013).
KABUL è una rivista di arti e culture contemporanee (KABUL magazine), una casa editrice indipendente (KABUL editions), un archivio digitale gratuito di traduzioni (KABUL digital library), un’associazione culturale no profit (KABUL projects). KABUL opera dal 2016 per la promozione della cultura contemporanea in Italia. Insieme a critici, docenti universitari e operatori del settore, si occupa di divulgare argomenti e ricerche centrali nell’attuale dibattito artistico e culturale internazionale.