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Fine della manodopera: come proteggere i lavoratori dall'ascesa dei robot
Magazine, POST - Part I - Gennaio 2017
Tempo di lettura: 9 min
Noah Smith

Fine della manodopera: come proteggere i lavoratori dall'ascesa dei robot

Robot ed economia: il punto di vista di Noah Smith sulla diffusione della manodopera robot.

Fotogramma dal corto d’animazione ‘No Robots’ di Kimberly Knoll e Yung-Han, 2010.

Il periodo storico in cui viviamo è caratterizzato da un’inedita velocità di sviluppo tecnologico. Tale crescente prosperità elettronica è motivo sia di entusiasmo, sia di timore. Difatti, oltre agli ovvi vantaggi, ci troviamo ad affrontare alcune questioni che tendono ad avere un impatto negativo sulla società, mentre prima erano viste solamente come fantascientifiche e paranoiche. Un chiaro esempio lo si può riscontrare nella ‘questione robot’.

L’umanità ha sempre bramato e lavorato per l’avveniristico obiettivo di creare una manodopera robotica a cui affidare i lavori più pesanti e umili, tanto da creare una società dove ogni uomo possa dedicarsi a sogni e ambizioni. Ma questa è una concezione molto ingenua e utopica. Le conseguenze di una profonda automazione dell’industria, e non solo, possono avere conseguenze tutt’altro che idilliache. Lo sviluppo della tecnica deve, quindi, essere affiancato da riflessioni e studi non solo ingegneristici, ma politici, economici, sociologici e filosofici. Questa necessità non è, ovviamente, un rifiuto, ma anzi una lucida presa di coscienza di un fenomeno la cui inerzia non è frenabile da semplici negazioni.

La fondazione britannica NESTA è nota per l’attività di promozione di una forma d’innovazione altamente tecnologica ma dalla forma socialmente sostenibile:
«NESTA is the National Endowment for Science, Technology and the Arts – a unique and independent body with a mission to make the UK more innovative. We invest in early-stage companies, inform and shape policy, and deliver practical programmes that inspire others to solve the big challenges of the future».
Nel 2014, NESTA ha prodotto Our Work Here Is Done – Visions of a robot economy, un libro la cui suddivisione in capitoli prevede quattro temi fondanti:
1. l’economia di un futuro robotico;
2. le possibilità tecnologiche;
3. i robot del passato e del futuro;
4. i robot e la giustizia.

Tramite gli interventi di professionisti di differenti discipline, il lavoro analizza le ipotesi riguardo all’impatto che la tecnologia robotica dovrebbe avere sulla società e propone misure di utilizzo che garantiscano vantaggi che non interessino solo una ristretta cerchia. In particolare affronta la paura che i robot ‘ci rubino il lavoro’, tentando di incentivare un dibattito globale in tal senso.

È proprio su questo tema che si fonda l’articolo di Noah Smith qui riportato. L’autore, editorialista del Bloomberg View, sintetizza, con un linguaggio divulgativo, come l’economia tenderebbe a una visione cinicamente ‘efficiente’ dell’uso della manodopera robot e come questo potrebbe portare a una distopica società dove le competenze umane siano obsolete e poco convenienti. Considerato questo, propone accorgimenti sia moderati sia radicali per salvaguardare la forza-lavoro umana. Tali conclusioni sono proposte più o meno condivisibili ma il cui scopo è, principalmente, ricordare l’urgente necessità di dedicarsi alla questione.

 

Introduzione di Valeria Minaldi

 


 

Un tempo la tecnologia ci aiutava nel nostro lavoro. Ora sta rendendo molti di noi obsoleti, dal momento che la quota del profitto destinato ai lavoratori sta precipitando in tutto il mondo. Cosa facciamo ora?
Vi riporto una scena che sarà familiare a chiunque abbia mai seguito un’introduzione a un corso di economia. Il professore ha appena finito di spiegare che in economia ‘efficienza’ significa che non ci sono possibili vantaggi dal commercio. A questo, qualche sfrontato ragazzino seduto in fondo alzerà la mano e chiederà: «Aspetta, quindi se una persona ha tutto, e tutti gli altri niente e semplicemente muoiono, questo è un ‘efficiente’ risultato?». Il professore, con uno sguardo un po’ imbarazzato, risponderà: «Be’, sì, lo è». E l’intera classe alzerà gli occhi al cielo e penserà: Economisti.

Immagine che ritrae il noto personaggio di Rosie, in ‘The Jetsons’.

Per buona parte della storia moderna, l’ineguaglianza è stato un problema gestibile. La ragione è che non importa quanto diseguali le cose siano, la maggior parte delle persone sono nate con qualcosa di valore: la capacità di lavorare, di imparare e di guadagnare denaro. In ‘economese’, le persone nascono con una ‘dotazione di capitale umano’. Non è semplicemente possibile per una sola persona possedere tutto, come nello spaventoso esempio di un corso di economia di base.11Cf. l’articolo dell’autore contrario al modello, N. d. T.

Per buona parte della storia moderna, due terzi del profitto delle nazioni più ricche sono stati utilizzati per pagare salari e stipendi per le persone che lavorano, mentre un terzo per pagare dividendi, tasse sugli utili capitali, interessi, rendita, ecc., alle persone che possiedono il capitale. Questa divisione tra due terzi e un terzo è stata così stabile che le persone hanno cominciato a credere che sarebbe durata per sempre. Ma negli ultimi dieci anni qualcosa è cambiato. La quota del reddito del lavoro sta costantemente calando, crollando di diversi punti percentuali dal 2000. È ora posizionata intorno al 60 per cento o meno. La discesa del reddito da lavoro e il rialzo del reddito di capitale hanno contribuito all’ineguaglianza crescente dell’America.

Anne Francis in una foto promozionale per ‘Forbidden Planet’, 1956.

DOVE VANNO A FINIRE I SOLDI?
Cosa può spiegare questo cambiamento? Un’ipotesi è: la Cina. La recente entrata della Cina nel sistema commerciale globale sostanzialmente ha raddoppiato la forza-lavoro disponibile per le compagnie multinazionali. Quando la manodopera diventa abbondante, il guadagno del lavoro cala. In un mondo inondato dall’economica manodopera cinese, il capitale diventa relativamente scarso, e la sua quota di reddito sale. Con lo sviluppo della Cina, quest’effetto dovrebbe finire, poiché la Cina svilupperebbe il suo personale ‘capitale sociale’. Questo probabilmente sta già succedendo.

Ma c’è un’altra spiegazione per questo cambiamento, ed è ben più sinistra. Nei tempi passati, i cambiamenti tecnologici hanno sempre incrementato le abilità dell’essere umano. Un lavoratore con una sega elettrica era sempre molto più produttivo di un lavoratore con una sega manuale. Le paure dei Luddisti, che hanno tentato di impedire il diffondersi della tecnologia per il timore di perdere i loro lavori, si sono dimostrate infondate. Ma una cosa era allora e una cosa è ora.

Recenti progressi tecnologici nell’area dei computer e dell’automazione hanno cominciato a compiere compiti cognitivi superiori – pensa ai robot che costruiscono le auto, riforniscono i negozi di alimentari, si occupano delle tue tasse.
Una volta sostituita la cognizione umana, cos’altro avremo? Per un ultimo emblematico esempio, immagina un robot che costa 5 dollari per la produzione e che può fare tutto quello che fai tu, solo meglio. Tu saresti obsoleto come un cavallo.
Ora, gli umani non saranno mai completamente rimpiazzati come lo sono stati i cavalli.
I cavalli non hanno diritti di proprietà né diritti riproduttivi, né l’intelligenza di stipulare contratti. Ci sarà sempre per gli umani qualcosa da fare per soldi. Ma è abbastanza possibile che le quote per i lavoratori su quanto produce la società continueranno a scendere sempre più, man mano che la nostra economia diventa sempre più ‘capital-intensiva’.

Questa possibilità è sempre più oggetto di discussione tra gli economisti. Erik Brynjolfsson ha scritto un libro al riguardo, ed economisti come Paul Krugman e Tyler Cowen ne stanno parlando sempre più (per chi fosse interessato, qui c’è un’ampia collezione di link, gentilmente forniti dalla blogger Izabella Kamiska). Nella letteratura accademica, la teoria riporta il nome di ‘capital-biased technological change’.22Cf. libro NESTA, N. d. T.

Il grande quesito è: cosa faremmo se e quando i nostri vecchi meccanismi di fronteggiamento dell’ineguaglianza dovessero crollare? Se la ‘dotazione di capitale umano’ con la quale la gente nasce diventasse sempre meno di valore, ci avvicineremmo sempre più al modello di mondo Econ 101 nel quale i possessori di capitale prendono tutto. Una società con economica manodopera robot diverrebbe incredibilmente prospera, ma avremmo bisogno di trovare qualche modo per condividere questa ricchezza con la vasta maggioranza degli esseri umani, o rischieremmo il tipo di distopici esiti che per ora esistono soltanto nella fantascienza.

Aa. Vv., Our work here is done. Visions of a robot economy, a cura di S. Westlake – NESTA – 2014 – dettaglio copertina.

RIDISTRIBUZIONE CONTRO LA MACCHINA
Come potremmo distribuire equamente il profitto e la prosperità nell’era dei robot?
La risposta automatica è fare una ridistribuzione dei profitti tramite i tipici canali governativi – Earned Income Tax Credit, welfare, ecc. Ciò potrebbe funzionare come soluzione temporanea, ma se le cose diventassero più serie, facendo troppo affidamento su quegli strumenti, ci scontreremmo con molti problemi politici. In un mondo dove il capitale si aggiudica la maggior parte del profitto, avremmo bisogno di essere più creativi.

Prima di tutto, dovrebbe essere più facile per la gente comune possedere un proprio capitale – la loro personale fornitura di robot. Questo significherebbe rendere il ‘proprietario di piccole imprese’ un’occupazione più comune di quanto lo sia oggi (alcuni potrebbero sostenere che questo stia già accadendo con l’aumento del freelancing). Queste piccole imprese dovrebbero essere molto facili da far partire, e l’ordinamento dovrebbe continuare a favorirle. È un po’ singolare pensare alle piccole imprese come strumento per una ridistribuzione della ricchezza, ma tempi insoliti richiedono misure insolite.
Ovviamente, non tutte le imprese possono essere piccole. Altre famiglie potrebbero beneficiare dal possedere le proprie azioni nelle grandi società. In questo momento, l’America sta andando esattamente nella direzione opposta, con società che si privatizzano invece di rendere le loro azioni disponibili alla titolarità pubblica. Tutte le grandi aziende dovrebbero ricevere incentivi per essere quotate sul mercato.

Ciò richiederebbe senza dubbio di riformare regolamentazioni come Sarbanes-Oxley che lo rendono rischioso e difficile; questo potrebbe inoltre richiedere incentivi fiscali.
E poi ci sono misure molto più estreme. Tutti nascono con una dotazione di manodopera; perché non anche una dotazione di capitale? Supponiamo che, quando ogni cittadino diventi diciottenne, il governo compri per lui o lei un diversificato portfolio di capitale proprio. Ovviamente, molte persone potrebbero venderlo immediatamente, incassare e far festa, ma questo potrebbe essere evitato con un po’ di ragionevole e leggero paternalismo, come congelare temporaneamente le forniture. Questa titolarità di un portfolio di capitale potrebbe fungere da polizza assicurativa per ogni lavoratore umano; se lo sviluppo tecnologico riducesse il valore della manodopera di quella persona, lui o lei raccoglierebbero ricompensanti profitti attraverso i valori allora attuali delle azioni e il guadagno da capitale. Questo sarebbe essenzialmente come il modello della riforma agraria socialista proposta nei paesi Latino Americani fortemente ineguali, semplicemente ridistribuendo azioni invece di terre.

Ora, ovviamente, questa è una soluzione estrema per un ipotetico caso estremo. Potrebbe risultare che ‘l’ascesa dei robot’ finisca incrementando la manodopera umana invece di rimpiazzarla. Potrebbe essere che la tecnologia non superi mai le nostre capacità mentali. Potrebbe essere che il crollo della quota del reddito del lavoro sia stato realmente dovuto alla grande ‘discarica di manodopera cinese’, e non ai robot dopotutto, e che la manodopera verrà recuperata non appena la Cina raggiungerà l’Occidente.
Ma se così non fosse – se l’era della manodopera umana di massa fosse vicina a una fine permanente – allora avremmo bisogno di pensare velocemente. L’estrema ineguaglianza potrebbe essere ‘efficiente’ nel senso dell’Econ 101, ma nel mondo reale ciò prelude sempre al disastro.

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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)

di Noah Smith
  • Noah Smith è uno scienziato, linguista e professore di informatica e ingegneria presso l'Università di Washington e membro del Center for Statistics and the Social Sciences, e inoltre professore ordinario presso eScience Institute di Washington. È ricercatore all’interno del team AllenNLP presso l'Allen Institute for Artificial Intelligence. La sua ricerca si concentra nell’elaborazione del linguaggio naturale, nell’apprendimento automatico e nelle scienze sociali computazionali. Ha pubblicato nel 2011, Linguistic Structure Prediction, uno studio dove si sintetizzano le tecniche di modellazione statistica per il linguaggio.