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Tecnologie e geografie di potere delle piattaforme digitali: Libra
Magazine, HYPER – Part I - Marzo 2020
Tempo di lettura: 11 min
Valeria Ferrari

Tecnologie e geografie di potere delle piattaforme digitali: Libra

Il caso Libra per mettere in luce le tendenze espansionistiche dei colossi del web e il bisogno di comprenderne e limitarne le conseguenze.

Marco Verch, https://www.flickr.com/photos/30478819@N08/48939414336 (attribution under Creative Commons 2.0 Generic)

 

Circuiti chiusi, domande aperte

Nel giugno 2019, Facebook ha annunciato l’imminente lancio – programmato per il 2020 – di una nuova moneta virtuale, battezzata Libra. In base a quanto dichiarato dall’azienda, Libra sarà una moneta elettronica circolante su blockchain, utilizzabile per trasferimenti di denaro online all’interno di un circuito di aziende e-commerce e tra privati. L’intento del progetto – come dichiarato nel white paper – è quello di dare al mondo un sistema di pagamento globale rapido, sicuro e accessibile tanto quanto un feed di Facebook. Nel documento promozionale viene sottolineato il divario tra – da una parte – la velocità e i bassi costi dei flussi di informazione, resi possibili a livello planetario dallo sviluppo della rete, e – dall’altra – il costo dei servizi finanziari, inaccessibili a una larga fetta della popolazione. Sulla base di queste considerazioni, Facebook fa appello alle proprietà della tecnologia blockchain (governance distribuita, accesso libero al codice sorgente e sicurezza crittografica) come punti fondanti di un necessario network finanziario di dimensioni mondiali che possa superare le inefficienze e i ritardi delle istituzioni.

Il disegno di Libra è basato sulla tecnologia blockchain: architettura tecnologica su cui si fondano le criptovalute, legata a un immaginario anarco-libertario e al paradigma della decentralizzazione. Tuttavia, il progetto di Facebook è ben distante dall’ideologia cypherpunk da cui scaturì, per primo, il bitcoin nel 2009 e poi le altre monete elettroniche alternative moltiplicatesi su canali sempre più mainstream del web. Innanzitutto, dietro a Libra c’è uno dei colossi mediatici che più hanno contribuito alla centralizzazione della rete – appunto, Facebook; ciò basta di per sé a porre l’iniziativa agli antipodi rispetto all’originale visione crypto-anarchica. Inoltre, Libra è progettato come uno stablecoin: per evitare la volatilità tipica delle valute virtuali e garantire la funzionalità dei Libra token come strumento di pagamento, il valore degli stessi sarà vincolato a un fondo di strumenti finanziari a basso rischio – tra cui azioni bancarie e titoli di Stato – sottoscritto e gestito dai membri della Libra Association.

La Libra Association è un consorzio di aziende a cui è affidata la governance del nuovo ecosistema finanziario, nonché il mantenimento e lo sviluppo dell’infrastruttura tecnologica su cui esso si basa. Nonostante la celebrazione dell’ideologia open source, quindi, la blockchain di Libra sarà lanciata come un sistema chiuso (c.d. permissioned blockchain, o blockchain privata) in cui solo membri privilegiati (quelli appartenenti appunto alla Libra Association) avranno il ruolo di validare le transazioni e conservare il database del circuito finanziario. In poche parole, Facebook collega il suo progetto all’idea di disintermediazione, decentralizzazione e trasparenza tipiche delle valute virtuali, ma configura in realtà un sistema finanziario governato – secondo procedure a modalità ancora oscure – da un gruppo formato prevalentemente da aziende private collocate al vertice dei mercati e-commerce, dei servizi di pagamento online e di distribuzione di contenuti on-demand. Settori i cui modelli di profitto dipendono altamente dallo sfruttamento dei dati digitali.

L’idea di una criptovaluta capitanata da Facebook insieme a un gruppo di grandi corporazioni operanti su scala globale solleva problematiche di tipo legale, geopolitico e di stabilità finanziaria ed economica. Discuterne in modo esaustivo, tuttavia, riesce difficile dal momento che, sul nascente progetto, sono più le questioni ancora aperte rispetto ai punti certi. La governance interna di Libra, la sua qualificazione legale, il ruolo delle autorità finanziarie e delle forze dell’ordine nazionali e internazionali rispetto alla sua amministrazione rimangono punti ancora da dipanare. La titolarità dei Libra tokens sarà collegata ad account pseudonimi o a identità legali certificate con appositi documenti? L’infrastruttura tecnologica sarà aperta a chiunque voglia prestare servizi collegati a Libra, o l’accesso all’ecosistema sarà ristretto e controllato dai partecipanti iniziali? Queste domande rimangono irrisolte non solo a causa della vaghezza delle informazioni rilasciate da Facebook nelle occasioni di confronto pubblico e nel materiale messo in circolazione, ma anche per l’esistenza di barriere legali e politiche che, con tutta probabilità, giocheranno un ruolo nel modellare la forma finale dell’ecologia di Libra. Discutere del destino di Libra, ad ogni modo, è un’occasione utile per capire come un attore globale quale è Facebook si interfacci con altre realtà politiche e istituzionali, e cosa vi sia in ballo nelle sue mire espansionistiche.

Metahaven, Diagramma per The Stack di Benjamin H. Bratton, pubblicato da MIT Press (2016)

 

Il capitalismo della piattaforma

Mentre il white paper presenta Libra come un’architettura tecno-finanziaria a scopi primariamente umanitari (in particolare, con l’obiettivo di agevolare l’inclusione finanziaria), non è difficile immaginare le reali ragioni economiche sottostanti il progetto. In Platform Capitalism, Nick Srnicek rivela come la strategia di profitto di Facebook, basata sull’accumulazione dei dati, risulti nella tendenza a crescere come una “cloud polis” isolata in uno spazio di influenza delimitato:

«Mentre Google ha dominato il web con la sua tecnologia di ricerca, Facebook è stata costruita come una piattaforma chiusa capace di sfuggire alla morsa di Google. L’obiettivo di Facebook è di far sì che i suoi utenti non debbano mai lasciare il loro ecosistema chiuso».

Non è una novità che Facebook aspirasse ad accaparrarsi dati finanziari. Un articolo del «Wall Street Journal» dell’Ottobre 2018 racconta come Facebook si fosse rivolto ad alcune grosse banche statunitensi per ottenere l’accesso ai loro dati finanziari in cambio della possibilità di collegare alla piattaforma i loro servizi di online banking. L’articolo riporta di come le banche – alla luce del recente scandalo di Cambridge Analytica – si fossero mostrate riluttanti a condividere dati riguardo ai clienti, preferendo mantenere i servizi di e-banking su piattaforme da loro gestite, piuttosto che rischiare di compromettere la privacy degli utenti. Con Libra, Facebook pare aver trovato un modo per aggirare tale diniego, costruendo un’infrastruttura che le assicuri di gestire i dati finanziari in prima persona, bypassando gli attori chiave del settore.

La moneta Libra non è altro che la manifestazione più simbolica di una “macchina-Stato”.

Che la massimizzazione dell’estrazione di dati resti l’obiettivo principale dell’iniziativa Libra pare anche confermato dalle dichiarazioni rese dal rappresentante di Facebook al Congresso degli Stati Uniti durante l’audizione del 17 luglio 2019. In tale occasione si è infatti affermato che la strategia di profitto di Libra è quella di aumentare i guadagni da inserti pubblicitari.“…la strategia di profitto di Libra è quella di aumentare i guadagni da inserti pubblicitari.” Aggregando dati sulle transazioni finanziarie degli utenti, infatti, Facebook potrà ottimizzare la personalizzazione delle pubblicità sui suoi siti, rendendola più efficiente e più costosa per gli inserzionisti.

Ma la massimizzazione di profitti da inserti pubblicitari è solo il vantaggio immediato apportato da Libra. Creando un sistema finanziario in cui Facebook è il primo fornitore di servizi di pagamento e deposito (in particolare, attraverso il portafoglio digitale che Facebook metterà a disposizione all’interno di tutte le sue app: Calibra), il social network scavalca i classici intermediari finanziari – o si fa partner privilegiato degli stessi – rafforzando la propria posizione di dominio e centralità nella società digitale.

 

Feudalesimo digitale e nuove geografie di potere

Configurandosi sempre più come una giurisdizione a sé stante, l’impero di Facebook si allarga attorno agli utenti che sono già dentro, facendosi mediatore di relazioni non solo personali ma anche politico-istituzionali. La moneta Libra non è altro che la punta dell’iceberg, la manifestazione più simbolica, di una “macchina-Stato” che, nello spazio di interazione che la circonda, svolge attività di interesse pubblico e assume poteri pseudo-normativi di forte impatto politico e sociale.

Nell’ambito dei vari servizi prestati agli utenti, infatti, la piattaforma stabilisce modalità e limiti di azione, esercitando un potere regolativo e coercitivo largamente autonomo rispetto a quello delle autorità pubbliche. Si pensi alle politiche di censura di Facebook: esse sono formalmente giustificate dagli obiettivi legali del contrasto all’odio in rete, della lotta al terrorismo, della protezione del diritto d’autore. Tuttavia, la sostanza di tali policies è di fatto definita da Facebook, che va a delimitare le categorie del lecito e dell’illecito e mette in opera la censura incorporandone la logica nei propri algoritmi. D’altronde, in una società digitale in cui un oligopolio di attori privati svolge funzioni di intermediazione in settori chiave quali l’informazione, il commercio e la finanza, sono gli stessi quadri normativi a legittimare forme di controllo e coercizione private, riconoscendo la posizione strategica delle piattaforme come garanti della sicurezza e dell’amministrazione delle regole in rete.

Nel caso di Libra, sia la Libra Association (formalmente autonoma rispetto a Facebook, ma da esso capitanata) che Calibra (società sussidiaria di Facebook Inc.) avranno ruoli fondamentali nell’imposizione delle normative anti-riciclaggio, nel contrasto al finanziamento al terrorismo e all’evasione fiscale. Ciò metterà gli attori in controllo del network di Libra in una posizione geopolitica assai strategica. Con la supervisione dell’infrastruttura tecnologica di una valuta a circolazione globale, Facebook sarà messo nella posizione privilegiata di autorità di controllo internazionale, con accesso necessario a delicate informazioni personali e finanziarie di utenti appartenenti a molteplici giurisdizioni.

Le stringenti normative che regolano la circolazione monetaria imporranno che Libra si configuri come un ecosistema chiuso e controllato. Ai membri dell’Associazione si richiederà di impedire all’interno del network l’utilizzo di software peer-to-peer che permettono transazioni sotto pseudonimo. Ciò andrà a sacrificare non solo l’apertura del mercato, accentuandone la struttura oligopolistica, ma anche e soprattutto la privacy degli utenti. L’attuale governance finanziaria non ammette circuiti di transazioni tra individui anonimi. Perciò, saranno proprio le norme nazionali e internazionali che regolano le prestazioni di servizi finanziari a imporre politiche di identificazione, monitoraggio e segnalazione di transazioni sospette, innescando un sistema di sorveglianza privato in cui aziende mosse da obiettivi di profitto diventano a tutti gli effetti amministratori della giustizia, con probabile accesso a informazioni di alto livello confidenziale.

Di fronte alla minaccia all’autorità statale rappresentata da Libra, alcuni stati hanno dichiarato l’intenzione di vietare l’emissione della moneta elettronica nella loro giurisdizione. È tuttavia difficile farsi rassicurare da tale promessa. In primis, queste dichiarazioni non specificano mai le basi legali su cui Libra potrebbe essere vietata. In secondo luogo, censurare Libra a livello territoriale non significa tanto impedire il suo impatto sulla finanza globale, quanto piuttosto perdere la possibilità di negoziare le regole che ne governeranno il funzionamento e di beneficiare, almeno in via indiretta, della mole di informazioni che essa andrà a generare. 

Joelle L, Facebook: The Panopticon of Modern Age (/https://www.flickr.com/photos/ilifeinicity/)

 

Progetto umanitario, o imperialista?

Saremmo disposti ad affidare potere economico e politico a un’azienda privata, laddove servisse a favorire l’effettiva estensione dell’inclusione finanziaria? Se l’attuale sistema bancario e della finanza istituzionale esclude alcune fasce di popolazione da essenziali servizi di deposito e pagamento, o non garantisce stabilità monetaria, può una forte azienda come Facebook farsi carico di sopperire a tali mancanze?

Anche ammettendo che un canale monetario come Libra possa essere utile in quelle situazioni o aree geografiche in cui il sistema finanziario nazionale e i servizi annessi non sono sufficientemente accessibili, l’impatto di Libra sulle fasce di popolazione meno abbienti o in paesi economicamente deboli deve essere valutato con attenzione. Innanzitutto, le tecnologie basate sullo sfruttamento dei dati comportano estrazione di valore dai dati di gruppi vulnerabili“…le tecnologie basate sullo sfruttamento dei dati comportano estrazione di valore dai dati di gruppi vulnerabili”, a vantaggio delle sempre più influenti élite tecnologiche dei paesi occidentali. Inoltre, le pratiche di sfruttamento dei dati si fondano su indicizzazioni discriminatorie che vengono solidificate e amplificate negli algoritmi.

Dal punto di vista geopolitico, è opportuno essere critici di un sistema che impone regole, prassi e architetture tecnologiche modellate da forze capitalistiche occidentali in settori cruciali della vita sociale ed economica di paesi del Sud. Quando l’innovazione digitale viene esportata nei paesi del Sud del mondo per scopi (presumibilmente) umanitari, infatti, si vedono riprodotte le geografie e i meccanismi delle relazioni di potere coloniali. Quasi mai tali relazioni si esplicano a beneficio dei gruppi più vulnerabili.

 

Le tecnologie e i loro inganni

Nato come un “progetto di simulazione sociale” che indicizza, cattura in algoritmi e rimodella forme di auto-rappresentazione e di interazione umana, Facebook esplica una sua sovranità nelle aree di interazione che lo circondano (sull’idea di sovranità delle piattaforme digitali, il riferimento fondamentale è “The Stack: On Software and Sovereignty”, di B. H. Bratton). Le sue microeconomie interne si sono in passato basate su meccanismi reputazionali e sull’accumulo di “social media capital”. La moneta virtuale Libra, tuttavia, rappresenta una svolta critica laddove segna lo strabordamento del potere del social network al di fuori dei suoi limiti virtuali, delineando forme di dominio i cui confini (o la mancanza di) sono più reali delle geografie di potere delineate a Vestfalia. Con Libra, infatti, si accentuerà l’autonomia della piattaforma rispetto a poteri a essa esterni, e al contempo si segnerà una necessaria alleanza tra le forze dell’ordine nazionali e Facebook, in quanto quest’ultimo sarà indispensabile per il controllo dei flussi monetari.

Quale sia l’effettiva sorte di Libra non è ancora dato sapere. Rimangono molte domande aperte e incertezze sulle strategie degli attori coinvolti. Tuttavia, Libra e la catena di reazioni a cui ha dato luogo rappresentano un’occasione unica per osservare le dinamiche di potere che coinvolgono piattaforme private e istituzioni nella gestione di una società sempre più digitalizzata e globale. In uno scenario come quello lasciato intravedere dal possibile lancio della moneta virtuale, la posta in gioco è alta, ma agli Stati sembra non rimanere molto di più che la mera possibilità di negoziare con Facebook le regole della sua giurisdizione privata. Non resta quindi che continuare a indagare quali siano gli incentivi, i poteri e i meccanismi che muovono la giurisdizione digitale del social network, senza farsi ingannare dagli slogan della Silicon Valley né intimidire da nomi di tecnologie inutilmente complesse.

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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)

di Valeria Ferrari
  • Valeria Ferrari studia l'intersezione tra diritto e nuove tecnologie presso l'Institute for Information Law dell'Università di Amsterdam. Le sue ricerche indagano l’impatto di determinate infrastrutture tecnologiche sull’evolversi del diritto e delle istituzioni e, viceversa, l’influenza di queste ultime sulle configurazioni tecnologiche. Ha pubblicato scritti su cripto-valute, economie decentralizzate, privacy in ambito finanziario e digital evidence. È co-fondatrice e managing editor del Glossary of distributed technologies presso l'Internet Policy Review.
Bibliography

B. H. Bratton, The Stack. On Software and Sovereignty, MIT Press, 2015.
E. Glazer, D. Seetharaman, A. Andriotis, Facebook to Banks: Give Us Your Data, We’ll Give You Our Users, «The Wall Street Journal», 6 Aug. 2018.
V. Khan, G. Goodell, Libra: Is it Really about the Money?, 23 Aug. 2019.
Libra White Paper. https://libra.org/en-US/white-paper/
N. Srnicek, Platform Capitalism, Polity Press, Cambridge and Malden, 2016.