Dido Fontana, illustrazione di Zoe Iacchei, concept Virginia Sommadossi.
Cosa ci può realmente motivare?
Cambiare il mondo o salvaguardarlo?
Solidarietà come autocompiacimento?
Abbandonare la radicalità?
Etica della rivoluzione?
Conseguenze della rivoluzione nonviolenta all’est?
Navigare a vista?
Esiste da qualche parte una linea di demarcazione tra amici e nemici?
A chi ci si può affidare?
Esiste un’ascesi che uno aiuta e uno forgia?
Negare se stessi – credibile o pericoloso (disumano, burocratico, ipocrita)?
Cosa ti dice il sud del mondo? Solo cattiva coscienza?
Perché cercare la salvezza altrove (perché poi dover andare lontano…)?
Vivresti effettivamente come sostiene si dovrebbe vivere?
Passeresti il tuo tempo con coloro ai quali rivolgi la tua solidarietà?
Professionalità. Potresti vivere anche senza politica?
Ti sei davvero domandato cosa ti procura e ti ha procurato?
Altruismo/egoismo?
Quali costanti?
Quali sintesi (p. es. giustizia, pace, salvaguardia del creato)?
Cosa faresti diversamente?
Potenzialità della disobbedienza civile…
Tu che ormai fai “il militante” da oltre 25 anni e che hai attraversato le esperienze del pacifismo, della sinistra cristiana, del ’68 (già “da grande”), dell’estremismo degli anni ’70, del sindacato, della solidarietà con il Cile e con l’America Latina, col Portogallo, con la Palestina, della nuova sinistra, del localismo, del terzomondismo e dell’ecologia – da dove prendi le energie per “fare” ancora?
(Alexander Langer, serie di domande trovate sul suo computer, datate 4 marzo 1990).
La redazione di KABUL magazine prosegue la collaborazione con Centrale Fies art work space e il festival che annualmente si tiene a Dro (TN). Dal 2017 a oggi, il legame tematico tra le ultime tre edizioni ha dato vita a un immaginario topografico che ha poi preso forma in Supercontinent – Supercontinent2 e Ipernatural.
Dido Fontana, illustrazione di Zoe Iacchei, concept Virginia Sommadossi.
Il festival, pensato come un contenitore ibrido, accoglie annualmente progetti espositivi, incontri, performance nonché il programma di residenza LIVE WORKS_Performance Act Award, verso il quale l’anno scorso la redazione ha posto attenzione pubblicando la traduzione del testo di Jorge Glusberg intitolato I risultati semiotici della performance e uscito nell’ambito del convegno The Art of Performance che si è tenuto a Palazzo Grassi (Venezia), nell’agosto del 1979.
Se l’anno scorso la collaborazione rientrava nell’analisi del concetto di “comunità”, mettendo in luce le ripercussioni storiche, sociali e politiche che sottendono il valore e i mutamenti di significato di questo termine, oggi che ci stiamo occupando di “Othering”, mentre assistiamo allo sviluppo crescente di pericolose politiche di emarginazione che giungono a vere e proprie pratiche di esclusione, pensiamo che persistano urgenze, linee, riferimenti teorici comuni con le riflessioni e le tematiche messe in campo a Fies.
Il festival si tiene nella cornice di un’ex centrale idroelettrica che sorge nel brulicante paesaggio naturale delle montagne trentine. Paesaggio, movimento, migrazione, identità, natura, mutazione sono le parole chiave che hanno accompagnato il percorso del festival, con la precisa intenzione di indagarne ed evidenziare la loro complessità e le contraddizioni. Si tratta di una complessità che si riflette nel concetto stesso di performance e che proprio a Fies prende forma nel dialogo, la collaborazione e la persistente contaminazione con altri linguaggi artistici.
«La nostra attenzione sul movimento migratorio delle persone e degli animali e sulle traiettorie che disegnano questo nuovo Supercontinent, le cui dinamiche permettono di guardare al paesaggio come creato e poi modificato dagli stessi esseri che lo attraversano» – così Barbara Boninsegna, Virginia Sommadossi e Filippo Andreatta spiegano la natura di Supercontinent2, per poi assistere al passaggio a un immaginario più strettamente naturale di Ipernatural, ideato concettualmente come una miscela biologica di morfologie ibride di organismi viventi e fossili. Ibridazione e mutamento persistono come concetti chiave di un linguaggio collettivo e che trovano riscontro nei progetti artistici coinvolti.
Supercontinent (2017), Michikazu Matsune, Dance, if you want to enter my country – foto di Alessandro Sala.
Queste visioni si avvalorano ulteriormente alla luce della crescente attenzione attorno alle speculazioni filosofiche legate al movimento e alle ripercussioni che tale condizione ha a livello sociale, politico, sino a contaminare il linguaggio e il nostro modo di pensare. «Il nostro è un mondo in vertigine – afferma il collettivo Laboria Cuboniks – è un mondo che brulica di mediazione tecnologica e interlaccia la nostra vita quotidiana con l’astrazione, la virtualità e la complessità». E ancora: «I flussi di cose e di individui definiscono la nuova essenza della nostra epoca – scrive Thomas Nail –, in questo momento storico viviamo in un paesaggio in cui tutto ciò che era solido è stato dissolto nell’aria. Il flusso non è soltanto un nuovo modo di pensare il mondo, ma è la descrizione stessa della vita del XXI secolo, fondata sulle nostre esperienze condivise del reale in cui sempre più aumentano la mobilità, il dislocamento e l’instabilità».
Si tratta di un’instabilità geografica e geopolitica che nelle tematiche presentate durante il Festival si manifesta non soltanto attraverso il significato dell’erranza, ma anche attraverso lo sradicamento, le difficoltà di comunicazione che possono sussistere tra culture e lingue che entrano in contatto per la prima volta, attraverso l’abbandono di luoghi e la perdita di legami affettivi, attraverso l’analisi e la rielaborazione di rituali collettivi, la memoria e la persistente battaglia con l’oblio.
Se la prima edizione puntava maggiormente l’accento sul senso e le conseguenze del dislocamento, del colonialismo contemporaneo, la seconda edizione si apriva alla biodiversità, intessendo un immaginario più ampio e interdisciplinare capace di toccare dinamiche di carattere sociologico e legate all’identità di genere.
Supercontinent (2017), Tania El Khoury, Gardens Speak – foto di Alessandro Sala.
Questo emerge in lavori come quello presentato da Tania El Khoury nel 2017 intitolato Gardens Speak e nel quale vengono raccontati una rivolta e un attivismo che hanno visto coinvolti diversi giovani siriani e ormai seppelliti in diversi cimiteri del paese. Metaforicamente, al pubblico era richiesto di scavare della terra con le mani. Una cartolina, che riproduce un’epigrafe scritta in arabo, e l’audio di una voce che racconta momenti e aneddoti di quel periodo riemergono, per poi essere nuovamente ricoperti di terra. Oppure come Germinal, spettacolo ideato nel 2012 da Halory Goerger e Antoine Defoort, e presentato a Dro per la prima volta nel 2018 (Supercontinent2), come prima nazionale è una riflessione sul linguaggio, la comunicazione e l’esplorazione di diversi saperi in un viaggio che attraversa culture e punti di vista. Nello stesso anno, esperienze come quella di Lina Lapelyté, che in Candy Shop propone una serie di musiche e testi di derivazione pop, dance ma dai contenuti sessisti e violenti di alcuni rapper americani, ponendo l’accento sulle gerarchie del potere legate all’etnia e al genere; e Michele Rizzo che riflette sull’isolamento e la difficoltà di comunicazione attraverso movimenti lenti e ripetitivi tipici dell’esperienza del clubbing e della danza in discoteca.
Marco D’Agostin, foto di Roberta Segata, courtesy Centrale Fies.
La biodiversità è senza alcun dubbio anche il fulcro di Ipernatural, sebbene l’ambito venga messo a fuoco da un diverso punto di vista, quello della natura. Capire una pianta aiuta a comprendere il mondo e ogni vita è strettamente correlata alle vite degli altri – ci ricorda Emanuele Coccia. Così la terza edizione – memore dei tragici episodi climatici che avevano colpito il trentino pochi mesi prima – si apre con Storm Atlas di Dewey Dell, una performance che enfatizza l’instabilità e la mutevolezza meteorologica. La necessità di classificare la tempesta in un atlante audiovisivo si dimostrerà un tentativo sfuggente, quasi impossibile davanti alla potenza e all’imprevedibilità del cielo e della natura.
Partendo da questa cartografia immaginaria, dai confini mobili e meticci, che sfocia nella costruzione di una geopolitica contemporanea e ne mette in luce le criticità ma anche i passaggi di un presente ricco e plurale, la trilogia Supercontinent/Ipernatural si presenta come un progetto in divenire, che è cresciuto in relazione alle urgenze del territorio. E come affermano gli organizzatori stessi: «Il territorio di Centrale Fies» – oltre a sviluppare sinergie con il tessuto sociale e politico locale, attraverso l’attivazione di progetti dedicati ai cittadini e ai giovani che vivono la regione trentina durante tutto l’anno – «va oltre il confine europeo», di cui non possiamo che assistere alle prossime derive.
Ipernatural, Opening, DeweyDell – foto di Roberta Segata per Centrale Fies.
Abbiamo voluto dare seguito a questa collaborazione con la pubblicazione di una selezione di testi bibliografici con l’obiettivo di individuare le coordinate teoriche che hanno compartecipato alla costruzione del concept delle ultime tre edizioni del Festival e continuare a fornire degli strumenti teorici di approfondimento, con la consapevolezza che dal prossimo anno prenderà vita un nuovo ciclo tematico, arricchito dalle esperienze accumulate negli ultimi tre anni.
BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA
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Jenny Odell, How to do Nothing. Resisting the Attention Economy, Melville House, Brooklyn-London 2019. Si vedano anche:
https://www.theguardian.com/lifeandstyle/2019/apr/02/jenny-odell-how-to-do-nothing-attention e https://www.youtube.com/watch?v=izjlP9qtmBU
Ruben Pater, The politics of design, Bis, 2018.
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NOTE:
1. J. Glusberg, in The Art of Performance: Palazzo Grassi, Venice, 8-12 august 1979, New York University Art Department, New York, Cayc – Centre of Art and Comunication, Buenos Aires 1979, tradotto in italiano da KABUL magazine.
2. L. Medri, Centrale Fies. Siamo una terra emersa che si muove e muta, «Teatro e Critica», 7 agosto 2018.
3. Laboria Cuboniks, Xenofemminismo. Una politica per l’alienazione.
4. T. Nail, Flusso: il secolo del movimento, pubblicato su “KABUL magazine”.
5. Per maggiori informazioni sul progetto si veda https://vimeo.com/344351133.
6. L. Medri, ib