Luca Vitone, Romanistan, 2019. Fotografia digitale / Digital photograph. Courtesy l’artista / the artist, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Italian Council 2018.
Romanistan, progetto di Luca Vitone vincitore della IV edizione del bando Italian Council (2018) e promosso dal Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, è prima di tutto un viaggio, una narrazione cartografica e un diario di bordo. L’itinerario ha prodotto un film che verrà presentato in occasione del festival Lo Schermo dell’Arte, una mostra e un libro d’artista realizzato con la casa editrice Humboldt Books. Il percorso a tappe di Romanistan, dall’Europa all’India, traccia a ritroso il movimento di migrazione del popolo rom e ne rilegge la loro storia. Il progetto, infatti, non trasforma i rom in soggetti di studio, ma viene realizzato con l’integrazione di essi, dando modo a questi ultimi di sentirsi soggetti di confronto, figure parlanti e oratori in prima persona. Lo stereotipo negativo che li tocca, frutto di imperi narrativi europei già consolidati, viene, grazie alle parole delle persone intervistate durante il viaggio, decostruito e rianalizzato. Il popolo rom infatti approda nel XIV secolo in un’Europa dai territori già definiti e senza spazio per nuovi arrivati che, senza un’idea di Stato e senza un esercito, trovarono impossibile occupare un’area per rendersi sedentari. In questo viaggio-progetto sono attraversati due temi in questo momento centrali nella ricerca di KABUL magazine: da un lato la politica del movimento (o kinopolitica) formulata dal filosofo e docente Thomas Nail, dall’altro il concetto di othering e la metodologia intersezionale come modello di approccio e di studio di fenomeni di pluri-alterizzazione. Il primo aspetto, già affrontato nell’inedito di Nail, Flusso: il secolo del movimento, accompagna la questione dei confini. Sostiene infatti Nail:
«Viviamo in un mondo di confini. Confini territoriali, politici, giuridici, economici di ogni tipo che letteralmente definiscono ogni aspetto della vita sociale nel XXI secolo. A dispetto della celebrazione della globalizzazione e della crescente necessità di mobilità globale, ci sono più confini oggi di quanto ce ne siano mai stati nella storia. […] Il movimento sociale contemporaneo è ovunque diviso».11T. Nail, Theory of the Border, Oxford University Press, New York, 2016, p. 1.
Così diviso da permettere a una figura come quella del migrante di essere potenzialmente rappresentativa di questo momento storico e al contempo il luogo di uno scardinamento della triade Stato-popolo-territorio che dà diritti ad alcuni cittadini ma li nega ad altri. Il secondo aspetto riguarda invece i fenomeni di alterizzazione e i relativi tentativi di de-alterizzare ed eliminare gli stereotipi. Nel caso di Romanistan, sebbene non siano stati messi in pratica approcci intersezionali per evidenziare come diverse forme di discriminazione (di razza, genere, politiche, economiche) tocchino un soggetto sociale come i rom, le interviste a diplomatici e docenti provenienti da diversi paesi hanno permesso di osservare un accavallarsi di pregiudizi non solo esterni ma anche interni alle comunità rom stesse.22È possibile leggere e approfondire il diario di bordo che traccia le sei settimane del viaggio di Romanistan sul sito di Il Manifesto.
Lisa Andreani: A posteriori, dopo questo lungo percorso a tappe, si può dire che il sogno di Romanistan sia qualcosa che il popolo rom insegue?
Luca Vitone: Intanto non si può dire che Romanistan sia un sogno appartenente al mondo rom, era semplicemente l’idea dell’attivista rom bulgaro Manush Romanov e tale è rimasto. Non avrebbe nemmeno senso uno Stato rom oggi, oltre al fatto che sarebbe pressoché impossibile realizzarlo per motivi prettamente geopolitici. Ha senso pensare a un’idea di appartenenza a un gruppo, a un ambito culturale ristretto, che è al contempo disperso nel mondo. Non inseguendo un’idea di Stato, ma di un vivere in ordinamenti paralleli, adeguandosi anche ai regolamenti dello Stato in cui si abita, cercando di mantenere una propria autonomia. Quindi non un’autonomia territoriale, come per i popoli che hanno un territorio di riferimento oggettivo come curdi, palestinesi, baschi, ma più astratta, senza confini, teoricamente più aperta.
Luca Vitone, Der unbestimmte Ort, 1994
pittura murale, ruota da carro / mural painting, wheel cart Courtesy l’artista / the artist, Galerie Nagel Draxler Berlin.
Lisa Andreani: Intervistando diverse personalità del mondo romanes tra cui attivisti, docenti universitari, parlamentari e ministri, che cosa è risultato? Esistono realtà che si impegnano a lasciare emergere questa cultura e questa lingua?
Luca Vitone, Romanistan, 2019. Serie fotografica e cartografica / Photographic and cartographic series. Courtesy l’artista / the artist, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Italian Council 2018.
Luca Vitone: In alcuni paesi di più, in altri meno. Tra quelli che ho avuto modo di attraversare, posso dire che si sono integrati maggiormente nei paesi balcanici dove è possibile incontrare figure istituzionali rom, siano essi parlamentari o docenti. Paesi che vanno dalla Croazia alla Serbia, alla Bulgaria e alla Macedonia. L’India, il nostro paese di arrivo e il loro paese di origine, è un caso un po’ diverso. I rom indiani, che non sono partiti, conoscono la lingua romanes solo in senso accademico, perché l’attuale romanes – e lo dice la docente indiana Shashi Bala nella sua intervista – è più vicina al sanscrito che all’hindi. Essa è nata infatti da quella stessa radice, ma si è evoluta durante il viaggio e nei secoli, assimilando termini dalle lingue dei paesi attraversati. Per questo nel romanes oggi troviamo vocaboli di provenienza armena, persiana, delle lingue parlate nei territori dell’impero bizantino e non ultime quelle balcaniche che, dall’anno mille in poi, hanno influito sulla definizione della lingua. Oggi un rom indiano non parla romanes perché ha sempre parlato hindi o punjabi, una lingua che restando nel sub-continente indiano si è evoluta in un’altra direzione. In India i rom sono soltanto una delle numerose minoranze presenti nel paese, basti pensare che vi si trovano all’incirca più di venti lingue.
Luca Vitone, Romanistan, 2019. Still da video / video still – Courtesy l’artista / the artist, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Italian Council 2018.
Lisa Andreani: Con il viaggio di Romanistan hai riscoperto e creato al tempo stesso una cartografia narrativa che si allaccia alla tua ricerca. Pensi si tratti di un primo passo per decostruire un privilegio insito nei fenomeni di alterizzazione?
Luca Vitone: In questo progetto la cartografia ha un ruolo importante, ci introduce letteralmente a ciò che abbiamo fatto, ci guida nell’attraversamento di un territorio in modo semplice e diretto. Abbiamo utilizzato un GPS che ha tracciato il percorso di giorno in giorno creando l’ossatura di un diario visivo e verbale che ha prodotto un libro, un film e opere per una mostra. È vero che la cartografia e la produzione di mappe sono elementi che tornano spesso nelle mie opere, a volte ragionando sul presente, altre rivolte al passato, come nel caso di L’Ultimo Viaggio.
Luca Vitone, Romanistan, 2019
fotografia digitale / digital photograph
Courtesy l’artista / the artist, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Italian Council 2018.
Alla seconda domanda credo non spetti a me rispondere. So che non mi interessa produrre un’opera sui rom, credo di non averla mai realizzata, si tratta di una collaborazione che consente di far scaturire alcune suggestioni che mi mettono nella condizione di interpretare degli atteggiamenti con la mia sensibilità. In questo caso la collaborazione si è trasformata in un vero e proprio gruppo di lavoro che ha coinvolto tutti i componenti del viaggio, e Santino Spinelli – docente universitario rom abruzzese, linguista e musicologo – è stato fondamentale, il nostro ambasciatore, ci ha introdotto a tutte le persone che abbiamo incontrato, sia direttamente che indirettamente, e l’apporto sulla lingua, le traduzioni dal romanes, e il fondamentale lavoro di interprete tutte le volte che abbiamo incontrato una comunità rom lungo la strada.
Lisa Andreani: Nel concetto di kinopolitica formulato da Thomas Nail l’idea di flusso e il suo valore sono fondanti. Pensando alla condizione rom, il flusso potrebbe essere considerato intrinseco sin dalle loro origini e valido anche nella contemporaneità? In fin dei conti la loro società è da sempre in divenire, basti pensare alle questioni linguistiche, sociali e culturali e, non meno, di genere.
Luca Vitone, Carta atopica, 1988-92, carta geografica, plexiglass / geographic map, plexiglas Courtesy AGI Verona.
Luca Vitone: Le personalità che contribuiscono alla formazione culturale della comunità rom non sono molte, d’altra parte sono pochi quelli che hanno l’opportunità di seguire una completa scolarizzazione e che riescono a entrare nelle istituzioni. In generale è difficile per una minoranza non subire forme di emarginazione nella vita sociale di uno Stato, che sia un governo totalitario o democratico. Credo che alcuni aspetti della cultura rom possano considerarsi un modello di vita“…Credo che alcuni aspetti della cultura rom possano considerarsi un modello di vita”, ma è un sapere per iniziati. Gli stereotipi producono atteggiamenti di chiusura che difficilmente permettono una conoscenza e un desiderio di apertura nei loro confronti. Una condizione che molti rom subiscono proprio per la loro condizione a-scolarizzata che li rende fragili nei confronti dello status quo. Dobbiamo ricordare che l’analfabetismo è stato pressoché totale sino al ventesimo secolo. Tutta la storia che conosciamo sulle loro usanze, cultura, migrazione proviene dallo sguardo altrui, non quello rom, perché nessuno di loro ha mai scritto sino al secondo dopoguerra. Oggi che tra loro questa consapevolezza è più diffusa si aprono opportunità diverse che consentiranno di far entrare le comunità rom in dialogo diretto con chi gestisce le attività politico-sociali, immettendo nuove urgenze che sorgono all’interno delle comunità, come ci ricorda Lyliana Kovatcheva, pedagogista e attivista di Sofia, che ha affrontato la questione di genere per cui le donne devono non solo scontrarsi con il fatto di essere rom ma persino subire minore considerazione in termini di ruoli all’interno della società di appartenenza