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Pseudospeciazione
Magazine, OTHERING – Part I - Settembre 2019
Tempo di lettura: 8 min

Pseudospeciazione

I risultati di un workshop per la definizione di una nuova parola sul concetto di alterità: Cat's Cradle Spin-off.

Lo scienziato austriaco Konrad Lorenz che nuota con un trio di oche Graylag, Baviera, Germania, 1964. Meme by Twee Whistler, 2019.

Lo scorso 27 ottobre 2019 abbiamo realizzato, in collaborazione con Associazione Casagialla e con il patrocinio del Comune di Nova Milanese, l’evento intitolato L’ETOLOGIA DELLE DISCRIMINAZIONI, una giornata di studi articolata in due fasi: 1) un laboratorio di scrittura collettiva finalizzato alla stesura di una definizione per il termine “‘pseudospeciazione” e 2) un talk pubblico in cui abbiamo tentato di contestualizzare i risultati emersi durante il workshop alla luce delle più recenti pubblicazioni della nostra casa editrice.

Il tema affrontato nel corso dell’intera giornata è stato il rapporto tra identità e alterità, con un focus specifico sui meccanismi alla base dei processi di “alterizzazione” in grado di condurre a discriminazioni sociali fondate su categorie come il sesso, il genere, l’orientamento sessuale, il colore della pelle e la religione.

A partire dalle premesse teoriche espresse dall’etologia, dallo studio del comportamento animale, abbiamo cercato di individuare, attraverso l’analisi del termine “pseudospeciazione”,  le basi su cui si fondano i processi di esclusione ed emarginazione sociale, per arrivare al razzismo e a vere e proprie forme di violenza.

Meme by Twee Whistler, 2019.

Tentando di ricondurre l’essere umano a quelle caratteristiche specifiche che ne definiscono l’animalità, sebbene la sua organizzazione cerebrale e sociale sia peculiare, abbiamo parlato di apprendimento, comportamenti sessuali e riproduttivi, cure parentali, organizzazione sociale, rapporto con il territorio e aggressività. Infatti, seguendo l’approccio inaugurato dalla psicologia evoluzionistica, abbiamo messo in luce come le funzioni mentali degli individui, comprese quelle più complesse come la memoria, la percezione, il linguaggio e la creatività, possano essere descritte come adattamenti naturali sviluppati nel corso del processo evolutivo. Siamo quindi partiti dagli studi di Konrad Lorenz, padre fondatore dell’etologia scientifica moderna, da lui stesso definita come «ricerca comparata sul comportamento».

A Lorenz, la cui ricerca si focalizzò sulle componenti innate del comportamento animale (in particolare il fenomeno dell’imprinting nelle oche selvatiche, lavoro per cui gli fu attribuito il Nobel), si deve un filone di ricerche sull’aggressività animale interpretata come funzione per la sopravvivenza. Il paragone etologico con il comportamento umano gli consentì infatti di osservare alcune pratiche rituali, come la danza e le competizioni sportive agonistiche, quali risultati di uno sfogo per l’aggressività. In risposta alle critiche, Lorenz affermò che l’aggressività è insita nella natura stessa dell’uomo e che non deve pertanto essere repressa ma sfogata: «All’uomo non piace sentirsi definire aggressivo, non gli piace riconoscere di avere degli istinti bassi, e al giorno d’oggi l’aggressività è uno degli istinti più deprecati».

Partendo da tali premesse teoriche abbiamo pertanto tentato di analizzare il significato del termine “pseudospeciazione”, ponendo particolare attenzione ai processi di ingroup/outgroup, ovvero alle dinamiche e ai comportamenti dell’individuo tra gruppo di appartenenza e non. Nel caso della pseudospeciazione, tali processi si attuano attraverso un trigger definito dalle differenze culturali, ma si possono generalizzare anche alla percezione e al vissuto del diverso. I processi di aggressività verso ciò che sta fuori da questa comfort zone sociale potrebbero essere compresi alla luce di tali organizzazioni animali, sempre atte a garantire una migliore probabilità di sopravvivenza, obiettivo primario di tutte le specie viventi.

“JAY-Z e il filmmaker Mark Romanek ripercorrono e ridicolizzano gli stereotipi legati alla tradizione afroamericana con il loro personaggio “Jaybo”, una cinica e realista caricatura del protagonista del libro per bambini “The Story of Little Black Sambo”, simbolo storico del razzismo nella rappresentazione degli afroamericani” (da http://griotmag.com/)

Se l’aggressività è insita nell’essere umano, è necessario comprendere la dimensione irrazionale sottesa alla discriminazione perpetrata verso l’altro, nei confronti del diverso. Ci siamo quindi chiesti se riconoscere il processo, anziché agirlo inconsapevolmente, possa costituire la base per l’elaborazione di nuove definizioni di convivenza, a prescindere dalla cultura, dal genere, dall’orientamento sessuale, dalla provenienza geografica e dalle credenze personali.

Allo scopo di definire il termine preso in esame durante il workshop, siamo quindi partiti dalla sua analisi etimologica, scomponendo la parola nei due termini che la compongono: “pseudo” e “speciazione”. Il primo costituisce un prefisso di derivazione greca che rende fittizio o falso il termine a cui viene associato. Il secondo, invece, indica il processo evolutivo che, attraverso la selezione naturale e/o la deriva genetica, determina la formazione di nuove specie dalle preesistenti. In altri termini, pertanto, la pseudospeciazione non è altro che un processo fittizio di speciazione. Il termine è stato introdotto nel 1966 dallo psicologo e psicanalista Erik Erikson: «La posta in gioco non è altro che la realizzazione del fatto e del vincolo della specie umana. I grandi capi religiosi hanno cercato di scardinare le resistenze contro questa consapevolezza, ma le chiese hanno cercato di unirsi piuttosto che evitare la profonda e consolidata convinzione umana che qualche provvidenza abbia reso la sua tribù e la sua razza o classe, casta o religione “naturalmente” superiore ad altre. Questo sembra far parte di un’evoluzione psicosociale che ha portato allo sviluppo di pseudo-specie… perché l’uomo non solo è incline a perdere ogni senso di specie, ma anche a rivolgersi a un altro sottogruppo con una ferocia generalmente estranea al mondo animale “sociale”» (E. Erikson, The Concept of Identity in Race Relations: Notes and Queries, 1966).

Campo di rieducazione a Lop County, Xinjiang (Cina) – © Xinjiang Bureau of Justice, WeChat Account.

Tali considerazioni ci suggeriscono che l’uomo ha la tendenza ad attuare una differenziazione fondata su fittizie caratteristiche biologiche e variabili culturali tra il suo gruppo e altri della sua stessa specie, un’operazione arbitraria e non aderente a categorizzazioni di tipo biologico e, quindi, realmente riconducibili alla speciazione. La distanza che si creerebbe in questo modo, fondata sull’implicita convinzione che il proprio gruppo sia migliore, più umano dell’altro, giustificherebbe una serie di comportamenti che non attuati altrimenti. La conseguenza estrema di ciò è la completa disumanizzazione dell’altro, che giustifica così azioni di estrema violenza e una forma di aggressività intraspecifica attuata all’interno del proprio gruppo in casi di estrema necessità (per esempio, risorse esaurite, generiche minacce per la sopravvivenza, difesa del territorio, selezione dei maschi per la riproduzione ecc.). Se infatti l’aggressività è innata nell’uomo, la lotta intraspecifica è scoraggiata da meccanismi inibitori nei confronti del proprio simile.

Rispetto a quanto emerso sino a questo momento, un’espressione emersa nel corso del workshop e riconducibile al termine “pseudospeciazione” è quella di “razzismo culturale”. Quest’ultimo rappresenta la convinzione per cui alcune culture sarebbero migliori di altre e che, per tale motivo, siano incompatibili con quelle percepite come inferiori, tanto da non poter coesistere insieme nella stessa società. Il razzismo culturale è quindi strettamente legato all’idea di appartenenza a un gruppo, idea che può così trascendere nella convinzione che le persone che appartengono a un gruppo diverso dal proprio siano a priori connotabili negativamente. Da qui l’applicazione di un insieme di norme comportamentali diverse da quelle che verrebbero applicate altrimenti. Le estreme conseguenze di ciò possono essere il desiderio di mantenere incontaminata la propria cultura e la condanna etnocentrica di pratiche culturali diverse, sino a fenomeni di sottomissione, colonialismo e sterminio. Come ogni altra forma di discriminazione, il razzismo culturale può essere rinforzato tramite canali di comunicazione, informazione e ideologia politica della cultura di appartenenza. Di fatto, il ruolo della componente culturale di appartenenza è tanto forte da determinare quali intolleranze siano sentite o espresse in un dato luogo e/o tempo. 

Alan Kurdi, bambino siriano di 3 anni annegato durante il tentativo fallito di raggiungere l’isola greca di Kos, sulla costa della città di Bodrum (Turchia, 2015). Durante il laboratorio, l’immagine è stata presa come esempio emblematico del processo di spettacolarizzazione della morte condotto dai media internazionali.

A conclusione di tali considerazioni, ci siamo quindi interrogati su come si arrivi dai processi di pseudospeciazione alla discriminazione dichiarata e al razzismo culturale vero e proprio. In altre parole, potrebbe la cultura di un gruppo sociale, mediante i suoi sistemi politici ed economici, legittimare il razzismo strutturato? E nello scenario appena delineato, che peso hanno i mezzi di comunicazione di massa a supporto dei processi di deumanizzazione di un popolo straniero? Tentando di dare risposta a tali quesiti, al termine del workshop siamo arrivati, insieme ai partecipanti, a delineare la seguente definizione condivisa del termine “pseudospeciazione”:

[comp. di “pseudo” e “speciazione”]. Termine introdotto nel 1966 dallo psicologo e psicanalista  tedesco naturalizzato statunitense Erik Erikson per indicare un processo di distinzione fittizia tra esseri umani sulla base delle differenze culturali, al punto da generare una distinzione non valida scientificamente in due presunte specie diverse. La distinzione è connotata negativamente a priori e porta a un processo di allontanamento, repulsione ed emarginazione del gruppo pseudospeciato che porterebbe come conseguenza l’indebolimento dei meccanismi innati di affiliazione nei confronti dei componenti della propria specie biologica. Il termine prende spunto dal concetto di speciazione, che prevede una differenziazione biologica tra gruppi di individui sulla base di processi evolutivi dovuti a mutazioni ambientali e relativi adattamenti. La pseudospeciazione si caratterizza pertanto per: una differenziazione arbitraria e connotata in modo pregiudiziale per variabili culturali, una generale riduzione dell’empatia e dell’inibizione dell’aggressività verso un con-specifico e la percezione dell’altro come meno umano rispetto al gruppo di appartenenza (disumanizzazione).

Fotogramma dallo spot 2018 di Dolce&Gabbana in occasione di una sfilata dell’azienda che si sarebbe dovuta tenere a Shangai, in seguito annullata a causa dello spot stesso, considerato offensivo nei confronti della cultura cinese.

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