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Percorsi paralleli: elettricità e musica
Magazine, MITO – Part II - Giugno 2019
Tempo di lettura: 16 min
Riccardo Papacci

Percorsi paralleli: elettricità e musica

Breve cronistoria della trasformazione dei generi musicali attraverso lo sviluppo dell’elettricità. Dagli automi musicali al distacco dalla musica classica con l’elettrificazione degli strumenti musicali, sino alle recenti ondate di Trap ed Elettronica Hi-Tech. Nuova estetica tecnologica, James Ferraro e “rivoluzione elettrica”.

Mappa dei cablaggi per internet.

 

Ogniqualvolta si assiste alla nascita di un nuovo genere musicale, schiere di detrattori si oppongono all’avanzare del nuovo obiettando che era meglio la vecchia musica e che in sostanza non si è creato nulla di innovativo. Siamo talmente abituati a questo scontro tra chi è più ricettivo nei confronti di nuove sonorità e chi invece è più conservatore da non considerarlo ormai nemmeno più interessante, tanto poi sarà il tempo a decidere che cosa resterà e che cosa no. Eppure discorsi del genere non sono poi così vecchi, se si considera che la proliferazione di sottogeneri a partire da scene e contesti di più ampio respiro, come per esempio nel rock, è qualcosa che avviene solamente a partire dagli ultimi cinquant’anni. Anche perché in precedenza la costituzione di generi musicali nuovi non era istantanea ed evanescente come oggi, pur essendo già strettamente legata all’avanzamento tecnologico.

La musica è un linguaggio, e in quanto tale la sua storia è intrecciata alla Storia in generale e ai suoi vari aspetti psicologici, filosofici e sociali, che contribuiscono a loro volta a fare in modo che essa possa evolvere. Tra di essi, l’aspetto tecnologico è forse quello che si caratterizza per la capacità di incidere in maniera decisiva dal punto di vista della forma così come da quello del contenuto. Effettivamente la musica si esprime attraverso una strumentazione che si è raffinata sempre più con lo scorrere del tempo – si pensi al passaggio dal clavicembalo al pianoforte, o dalla chitarra classica a quella elettrica, ma anche alle evoluzioni che l’espressione vocale umana ha subìto nel corso del tempo e che possono essere considerate da questo punto di vista. Di conseguenza, i contenuti mutano ogni volta con l’impatto che l’innovazione tecnologica ha sul tessuto sociale, basti pensare alla recente ondata di Trap o Elettronica Hi-Tech in seguito alla rivoluzione tecnologica e all’avvento di internet.

Tra le innovazioni tecnologiche che più radicalmente hanno contribuito a far evolvere il linguaggio musicale vi è senza dubbio l’utilizzo dell’elettricità. Sebbene si discetti di elettricità già dal VI secolo a.C., quando il filosofo Talete di Mileto aveva notato che l’ambra riusciva ad attirare a sé corpi leggeri se strofinata con un panno – lo stesso termine elettricità deriva infatti dal greco elektron, con cui si indicava proprio l’ambra –, come tutti sanno l’utilizzo diffuso di questo fenomeno fisico si ebbe solo a partire dall’Ottocento, per poi raggiungere un pieno sviluppo nel Novecento. La nostra rivoluzione digitale, la famosa internet-era da alcuni rinominata nuova era oscura, altro non è se non una prosecuzione di quell’originaria evoluzione elettrica.

Un’automa musicale.

Ebbene, in che modo questo tipo di energia ha ridefinito il linguaggio musicale? Benché dapprima relegata a un uso meramente pratico, l’elettricità ha iniziato a infiltrarsi in maniera sempre più invasiva nel mondo della musica, cambiandola profondamente. Ma questo procedimento non è stato immediato: prima è stato necessario passare per un momento transitorio più propriamente meccanico. Del resto, ci si accorge presto che le tappe che hanno scandito la storia della musica sono le stesse che hanno segnato la storia della civiltà: se la prima rivoluzione industriale era legata perlopiù all’ingresso in campo della macchina, la seconda rivoluzione era invece legata in maniera preponderante all’elettricità. C’è da ricordare che ambedue le rivoluzioni non furono la diretta conseguenza di una determinata invenzione o di una conquista nel campo scientifico, quanto piuttosto dell’applicazione sempre più disinibita di queste scoperte ai vari rami dell’industria e della produzione – e della cultura, per quanto riguarda il nostro discorso sulla musica.

 

Ted Nugent e le sue armi.

 

Dalla musica classica alla prima diffusione degli strumenti automatici

Se per lunghi anni la musica fu esclusivamente eseguita attraverso strumenti artigianali e – usando un lessico novecentesco – classici, si assistette a un breve momento in cui entrarono in scena gli automi musicali, tipici delle corti della tarda età moderna, o gli strumenti automatizzati. Alcuni tra i nomi più in voga nel periodo si cimentarono nella composizione per strumenti meccanici, con l’ambizione di esplorare nuove strade espressive, oltrepassando il modo di suonare sino a quel momento circoscritto entro i soli limiti della capacità umana. Di questo periodo fu anche il carillon, o scatola musicale, che solo verso la fine dell’Ottocento iniziò a portare la musica nelle case. A tal proposito, uno dei momenti cruciali si ebbe quando Emile Berliner inventò il grammofono (1887), che permetteva la riproduzione sonora di dischi registrati su vinile, sulla scorta delle ricerche intraprese da Thomas Alva Edison per il suo fonografo: quest’ultimo, anziché utilizzare dischi in vinile si serviva di assai meno agevoli cilindri fonografici.

La copertina di un disco di Bernard Parmegiani uscito per Prospective 21e Siècle Label.

La differenza sostanziale tra il grammofono e il fonografo si giocava tutta sulla praticità: il primo fu pensato per essere venduto al grande pubblico, sebbene inizialmente costasse molto, mentre il secondo, che aveva comunque posto le basi per la registrazione sonora su disco, fu ideato quasi a mo’ di prototipo. Dopo un primo periodo in cui il grammofono era ancora costoso e i dischi registrati ancora pochi, si raggiunse una diffusione importante di questo meraviglioso oggetto, che portava orchestre e suoni esotici direttamente nelle case degli utenti, condizionando fortemente anche gli stessi musicisti, che cominciavano a pensare le loro opere non solo nella – sino a quel momento unica – dimensione “live”, ma anche in una maniera che risultasse più aderente al formato vinilico. È interessante notare come proprio negli stessi anni Thadeus Cahill ideò l’utopico Telharmonium, un mastodontico apparecchio da 200 tonnellate, una sorta di antesignano dell’organo Hammond, che attraverso l’elettricità e una lunga serie di ruote foniche doveva essere impiegato per la filodiffusione mediante il telefono. Sebbene la suggestione dell’analogia con il moderno streaming sia forte, dal momento che la musica era suonata e trasmessa in diretta, il progetto fallì dopo poco.

 

Giovani raver americani. Foto di Alexis Dibiasio.

 

Dai suoni disarmonici delle prime avanguardie al minimalismo

Nel frattempo, mentre artisti come Umberto Boccioni e Giacomo Balla cercavano di rendere visivo il concetto di velocità e di progresso elaborando ingegnose tecniche pittoriche, Luigi Russolo catalizzava il frenetico spirito di quei tempi nel suo intonarumori, una specie di generatore acustico che dava la possibilità di fare musica controllando determinati parametri dei rumori prodotti. A questo fece seguito il celebre manifesto L’arte dei rumori. Nonostante quelle di Russolo fossero inizialmente recepite come mere provocazioni, in perfetto stile futurista, con il passare degli anni venne a crearsi un esercito di sperimentatori sonori che aveva fatto tesoro dei suoi insegnamenti. Compositori come Edgar Varèse, Pierre Schaeffer e Pierre Henry sfruttarono le grandi potenzialità del registratore a nastro, grazie al quale era possibile registrare qualsiasi suono per poi unirlo ad altri, manipolandolo sino a renderlo irriconoscibile: questa era in sostanza la musica concreta. A detta di Simon Reynolds, «musicalmente parlando, l’impennata innovativa – tecnica, concettuale, compositiva – post-seconda guerra mondiale è il “futuro perduto” più grande di tutti» (Reynolds 2011, p. 443).

La migrazione dalla musica classica e sperimentale verso quella più popolare fu necessaria.

Margaret Thatcher raveizzata.

D’altronde con il passare del tempo il formato vinilico andava a perfezionarsi sempre più, anche grazie alla partecipazione di colossi dell’elettronica: come per esempio la Philips che negli anni Sessanta avrebbe pubblicato «[…] quella che probabilmente rimane la più famosa serie di registrazioni elettroniche d’avanguardia: Prospective 21ème Siècle […]» (Reynolds, pp. 441-2), serie nota anche come Silver Records per via delle copertine metalliche con futuristici motivi astratti e geometrici. Reynolds prosegue notando come nonostante l’attenzione che media e pubblico, non solo specializzato, avessero rivolto a questi compositori che erano convinti di aver elaborato idee e macchine per un nuovo linguaggio musicale in grado di rendere obsolescente il precedente, a partire dagli anni Sessanta, «[…] la musica classica moderna imboccò una strada diversa: un ritorno alla tradizionale tavolozza sonora orchestrale, la riscoperta di tonalità e consonanza». Ed effettivamente quella fu una grande occasione mancata: ciononostante l’elettricità continuò a insinuarsi nei meandri della musica classica. Il basso elettrico nelle potenti e luminose composizioni di Michael Nyman e l’organo elettrico in quelle di Steve Reich e Philip Glass, in un periodo in cui Brian Eno parlava di musica d’ambiente, facevano resistenza a un modo di fare musica classica in maniera convenzionale. Come racconta lo stesso Nyman nel suo fondamentale La musica sperimentale, i compositori iniziarono a introdurre anche l’elettronica nella musica sperimentale dall’inizio degli anni Sessanta, ma il processo fu lento e graduale. Sussistevano ancora problemi tecnico-logistici, motivo per cui non esordirono «[…] portando nelle sale concerti l’attrezzatura degli studi elettronici che erano proliferati negli anni cinquanta ma piuttosto inventando e adattando una tecnologia elettronica portatile che è stata accettata senza problemi nel mondo sempre aperto dell’indeterminatezza di esecuzione». Inoltre, questa nuova linfa creativa veniva espressa in diverse forme, elencate nei paragrafi del capitolo Sistemi elettronici dello stesso La musica sperimentale:

– sistemi applicati alle normali operazioni musicali;

– sistemi azionati manualmente;

– sistemi non trasparenti o che ne cancellano altri;

– sistemi legati alla contingenza;

– sistemi attivati dal movimento (ecc.);

– feedback;

– sistemi speciali “di tipo feedback”;

– sistemi ambientali “privati” e ambiente naturale.

James Ferraro nel periodo antecedente a Far Side Virtual.

 

L’elettricità al servizio del machismo rock

La migrazione dalla musica classica e sperimentale verso quella più popolare fu necessaria, anche perché nel frattempo gli strumenti musicali erano diventati “elettrificati” e amplificati, per ottenere un suono più potente e per crearne di nuovi. Questa innovazione portò a una vera e propria rivoluzione culturale che evidenziò con nettezza i contorni della musica classica, portando sul campo nuovi generi musicali e la rivisitazione di alcuni già esistenti. Particolarmente fortunato fu il caso della chitarra elettrica, colonna portante del rock e dei suoi infiniti sottogeneri e riferimenti sottoculturali. Come nota Giancarlo Mattia, a partire dagli anni Sessanta infatti alcune di queste esperienze contribuirono «[…] a fondare il modello di una nuova microsocietà, di una società parallela a quella istituzionalizzata, avente un assetto sociale di tipo comunitario fondato su valori di reciproca solidarietà ed egualitarismo […]» (Balestrini, Moroni 1997, p. 60). Il modello di società a cui aspirava la gioventù di quegli anni: una società «[…] dove “l’abbandono” del vecchio mondo e dei suoi falsi valori rappresentava una condizione indispensabile per costruire una nuova civiltà e nuove dinamiche di scambio». L’energia sprigionata sotto forma di watt raccolse gli umori esistenziali di milioni di soggettività diversissime tra loro, dalla più raffinata alla più popolare, suscitando moti di fratellanza e pulsioni rivoluzionarie.

Un grill da trapper.

Sul rock, e in generale sulla chitarra, si costruì nel tempo una vera e propria mitologia. Benché divenne evidente l’importanza del rock nel veicolare messaggi di emancipazione sessuale, parallelamente e paradossalmente la chitarra venne invece ad assumere proprio quel ruolo fallico di predominanza machista e patriarcale che proseguiva in qualche modo una linea conservatrice. L’hard rock fu l’arena di uno spettacolo che aveva per soggetto il dominio dell’uomo sull’elettricità. Diverse furono le forme di megalomania, da un gruppo – pornografico da questo punto di vista – come gli AC/DC, i quali scrissero la loro hit Thunderstruck in seguito a un pericoloso volo in aereo ricco di violente turbolenze causate da un fulmine che colpì l’apparecchio, a gente come Ted Nugent che elaborò un’estetica wildman tutta giocata sul contrasto tra la rozzezza primitiva e quella valvolare dei suoi interminabili assoli per ritrovarsi a propugnare ideali di destra. Ma l’elettrificazione strumentale permetteva grandi sperimentazioni anche nell’universo psichedelico che sempre negli stessi anni stava esplodendo. L’utilizzo di droghe che stimolavano l’effetto enteogeno, molto in voga negli anni Sessanta e Settanta, era infatti particolarmente apprezzato da chi intendeva mettere in risalto quella lunga serie di sfumature acide e cinematiche che la musica popolare si ritrovava per forza di cose a mettere da parte.

 

Una server farm di Bitcoin mining.

 

Dalla negazione punk del futuro alla nuova “estetica hi-tech” di Ferraro

Tutte queste esperienze consentono di convogliare l’elettricità in forme astratte, ma anche di modellare la forma in saturazioni terminali che si fanno espressione di un disagio esistenziale che percepisce il futuro come qualcosa di poco promettente. Il punk infatti è musica per comunicare fastidio e nichilismo attraverso frasi come “no future”. Musica fatta da chi non sa suonare, da chi non sopporta la liturgia borghese del suo tempo e da chi considera il presente come qualcosa di precario e il futuro ancor peggio.

In quel periodo, nel frattempo, l’industria elettronica fa passi da gigante. Internet comincia a muovere i primi passi e con esso comincia a svilupparsi un vasto immaginario utopico, oltre a un prolifico dibattito filosofico, tutt’ora in corso, su temi come il virtuale, il reale e la connessione tra di essi. Se è vero quanto detto dal padre della cinematica Franz Reuleaux, il quale definì la macchina come un «[…] insieme di corpi resistenti, combinati in tal modo che, grazie a essi, le forze meccaniche della natura vengano obbligate a compiere un lavoro, accompagnato da taluni movimenti predeterminati» (Reuleaux 1874, p. 34) si capisce come la nascita di internet, con la sua possibilità di raffinare l’automazione, inauguri il momento di maggior splendore di questa. Il movimento cyberpunk celebrava la fantasia di un futuro che riuscisse finalmente a sfruttare l’immenso potenziale della tecnologia“…Il movimento cyberpunk celebrava la fantasia di un futuro che riuscisse finalmente a sfruttare l’immenso potenziale della tecnologia”, unita a un desiderio, a volte neanche troppo velato, di sovversione dell’ordine sociale. A sua volta il coevo post-punk era una sorta di crasi tra il pessimismo del punk unito all’impulso elettrico del cyber. Il post-punk fu uno dei primi generi a sfruttare appieno l’innovazione sonora che poteva apportare il sintetizzatore, uno strumento digitale che oltre a riprodurre i suoni di altri strumenti ne creava di nuovi, grazie alla possibilità di operare direttamente sulla morfologia del suono attraverso la modulazione di parametri. Così, anche il pop si fa sintetico: nasce infatti il synth-pop, mentre specularmente, appena pochi anni più tardi, la controcultura dance dirotta questa propulsione elettrica verso l’incedere percussivo e lisergico del movimento rave.

Nella romantica e spesso dolente epopea rave si narra di inimmaginabili momenti di alterazione psichica unita a euforia, ma anche di inedite forme di socialità. Internet innescava slanci utopici che davano la possibilità di costruire immaginari futuristici, radiosi e comunitari, finalmente emancipati da discriminazioni ormai secolari.

A un certo punto però il futuro è arrivato, e internet non ha continuato a essere quella cosa libera e orizzontale, produttrice di immaginari. Non è errato definire, come molti fanno, quella rave come “l’ultima utopia” – in sostanza quello che emerge dai lavori di Mark Fisher e Simon Reynolds. Lo smantellamento del movimento rave, attraverso una serie di leggi repressive – principalmente attuate nel luogo in cui era nato questo movimento: Londra – promulgate nell’era Thatcher-Reagan, ha fatto in modo che si instillasse l’idea di una «lenta cancellazione del futuro», come definita da Franco Berardi “Bifo” nel suo testo Dopo il futuro. Oltre a questo, come acutamente mette in evidenza Simon Reynolds in Retromania, il momento in cui la Rete si espande in tutto il mondo coincide con l’avvento del ritorno del passato nei prodotti culturali – oltre banalmente all’assorbimento pressoché totale di internet da parte del sistema capitalista. L’immensa quantità di contenuti messi a disposizione da piattaforme come YouTube e fruibili da chiunque dotato di una connessione internet ha fatto in modo che il nostro rapporto con il passato fosse continuamente in fieri, incapacitato a qualsivoglia forma di elaborazione definitiva. La retromania invade la gran parte della produzione culturale, inclusa quella musicale ovviamente.

Nel 2011 però esce Far Side Virtual di James Ferraro, disco che presenta in copertina un iPad che svolazza su una strada virtuale presa da Google Street View, con suoni rubati a Skype e Google, per dirci che il futuro, o quantomeno il presente, è arrivato. Quel disco, che descrive con una certa trasparenza il consumismo, il capitalismo e l’iper-connessione, rappresenta la rampa di lancio per la nascita di un’estetica tutta incentrata su internet e sulla tecnologia che circonda il soggetto dell’epoca contemporanea. Il critico Adam Harper parla di “estetica hi-tech” o “estetica HD” dopo essersi reso conto di come internet abbia ispirato una generale fascinazione nei confronti di ciò che è altamente definito, futuristico e tecnologicamente avanzato.

Server farm cinese di Bitcoin mining.

 

L’era di internet e la diffusione della musica trap

La svolta digitale che si intravedeva sin dai tempi di ARPANET è finalmente arrivata. E così ci ritroviamo con chilometri di fili elettrici cablati attraverso tutto il mondo per dare la possibilità a chiunque di connettersi con chiunque; robusti cavi elettrici rivestiti di materiale idrorepellente nascosti persino sotto le acque degli oceani per permettere a chiunque di aggiornare le proprie pagine dei vari social; zone del Congo ecologicamente e umanamente devastate per l’estrazione del “coltan” (per non parlare del Venezuela, e chi ha orecchi intenda), una sorta di nuovo petrolio utilizzato per le batterie degli smartphone e per quelle delle macchine elettriche; condensatori elettrici e bobine raffreddati da complessi sistemi di areazione per coniare Bitcoin raggiungendo una cifra che si aggira appena al di sotto dell’1% della produzione mondiale di elettricità; algoritmi sempre più disinibiti nel prendere decisioni al posto nostro, al punto da spingere Eric Sadin a parlare di aletheia tecnologica; le “terre rare” così importanti nell’industria tecnologica e la questione USA/Cina/Huawei. In tutto ciò, l’utente medio trascorre in generale più di due ore al giorno sui social network. Se Max Weber poteva parlare di “romanticismo dei numeri”, possiamo tranquillamente parlare oggi di “romanticismo dei dati”, e nonostante i molti segnali di difficoltà che la Terra ci sta lanciando da qualche tempo non è neanche contemplabile una società che provi a fare a meno dell’elettricità. Questa è considerata come un qualcosa di assolutamente scontato.

Insomma, era impossibile che il nostro gusto non trovasse delle affinità – molto semplicemente – con la realtà che ci circonda, anche solo per una semplice questione di adattamento. D’altronde se il rock aveva consacrato l’epoca dell’amplificazione strumentale elettrizzando la musica che faceva da colonna sonora alle proteste del Sessantotto, perché mai suoni fluidamente sintetici e spesso processati da calcoli computerizzati non dovrebbero musicare l’era di internet?

Lo stesso James Ferraro, a distanza di anni, si rende conto di quanto il suo disco sia stato pesantemente frainteso all’inizio, e di come invece sia divertente vedere sempre più persone allinearsi a quell’estetica, e anche a quel tipo di discorsi. Anche perché, non v’è dubbio che un certo tipo di musica sia predisposto ad accogliere linee di pensiero molto articolate, come può essere per esempio quella accelerazionista, o quella legata all’Antropocene e al dibattito sul riscaldamento globale, o a quella sull’emancipazione delle minoranze. Ma è anche vero che persiste una cupa tristezza legata a una disillusione tendente al nichilismo che è divenuta ormai tipica di un certo tipo di trap. La trap, che è un’evoluzione dell’hip-hop, giunge a completa maturazione dopo varie contaminazioni con il rock, ma soprattutto in seguito all’elettrificazione rap del periodo Nu-Metal, un genere i cui bassi pesanti del crossover metal ricordavano vagamente quelli hip-hop e le voci scimmiottavano un malsano e malefico flow imbevuto di testi violentissimi che erano un po’ la grammatica di quel periodo così ricco di terrore e terrorismo. Attraverso la ripresa dell’autotune diviene invece possibile percepire il diretto scorrere dell’elettricità nelle voci distorte e dopate dei trapper. Voci che non invocano nulla, che se ne fregano del chiudere la rima, come invece accadeva nel rap old school, e che sembrano vivere con inerzia i giorni rimasti su questa Terra semplicemente stando collegati a una rete wi-fi.

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di Riccardo Papacci
  • Riccardo Papacci è laureato in filosofia ed è autore del libro Elettronica Hi-Tech. Introduzione alla musica del futuro. È co-fondatore di Droga. Collabora con diverse riviste, tra cui Not, Il Tascabile, Esquire Italia, Noisey, L’Indiscreto, Dude Mag.
Bibliography

F. Berardi “Bifo”, Dopo il futuro, DeriveApprodi, Roma, 2013.
J. Bridle, Nuova era oscura, NERO, Roma, 2019.
U. Eco, a cura di, Storia figurata delle invenzioni, Bompiani, Milano, 1961.
M. Fisher, Realismo Capitalista, NERO, Roma, 2018.
M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino, 1946.
L. Mumford, Tecnica e cultura, Il Saggiatore, Milano, 2005.
M. Nyman, La musica sperimentale, Shake Edizioni, Milano, 2011.
R. Papacci, Elettronica Hi-Tech. Introduzione alla musica del futuro, Arcana, Roma, 2019.
S. Reynolds, Retromania, Minimum Fax, Roma, 2011.
J. Ryan, Storia di Internet e il futuro digitale, Einaudi, Torino, 2011.
G. Sabatucci, V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Laterza, Bari, 2005.