«L’inumano che siamo – ovvero, questa infinita alterità nella sua indeterminazione materiale e animata che vive dentro, intorno e attraverso di noi – ci aiuterà ad affrontare la profondità di ciò che la responsabilità implica»11A. Kleinman, Intra-actions. Intervista a Karen Barad, «Mousse», 34, 2012, p. 11.
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(Karen Barad)
Premessa
«La parola chimera fa riferimento a un mostro mitologico che fonde in sé parti di diversi animali esistenti. Essa ha quindi due accezioni:
– rimanda a qualcosa di opinabile, mitico, immaginario (chimerico)
– rimanda a qualcosa che rappresenta la riuscita fusione di due o più esseri distinti».22W. E. Krumbein, C. A. Asikainen, L. Margulis (a cura di), Chimeros and Consciousness. Evolution of the Sensory Self, The Mit Press, Cambridge (Ma) 2011, p. 3.
Nel 1967 Lynn Margulis propose una nuova e rivoluzionaria teoria evoluzionistica basata sulla cooperazione tra gli esseri viventi. Non più individui in competizione progressivamente selezionati da una violenta evoluzione naturale, ma una comunità di agenti che condivide incessantemente forze, obiettivi e patrimonio genetico.
L’endosimbiosi basa il vantaggio evoluzionistico sullo scambio di informazioni tra due organismi che in questo modo riescono a rafforzare la propria struttura assumendo una nuova forma e allargando il numero di ambienti in cui sono in grado di sopravvivere. Margulis ci parla della chimera come un ottimo esempio di questa natura in costante relazione e condivisione, diventando per Donna Haraway una figura centrale nel teorizzare l’Era di Chtulhu, lo Chthulucene.
Il simbolo della nuova età è un mostro proveniente dal mondo ctonio, un universo sotterraneo e sottomarino in cui prendono forma le figure più terrificanti della mitologia. A metà strada tra terrore e imprevedibile forza creativa, tali personaggi irruppero nella vita umana per poi ricongiungersi all’universo materico di provenienza. I più famosi tra questi mostri sono le Gorgoni: le tre sorelle Steno, Euriale e Medusa, figlie di Forco e Ceto. Rappresentate come donne dalle ali di bronzo, bocca ricurva, zanne di cinghiale, capelli serpentiformi capaci di pietrificare, i mostri furono perseguitati dalle divinità del cielo, e la più nota delle sorelle, Medusa, morì uccisa da Perseo. Dal suo sangue nacque un’altra creatura magnifica, Pegaso, e infine ricongiunta alle acque marine Medusa pietrificò i fondali, generando i coralli, oggi chiamati tassonomicamente Gargonians.
A che cosa serve una simile figura? Perché proporre una figura narrativa, mitologica e multiforme, e non più una storia univoca e linearmente interpretabile come quella alla base di Antropocene e Capitalocene?
Haraway sembra rimarcare la necessità di una figura chimerica per riflettere sulla capacità di stimolo al pensiero che un simile personaggio può innescare. Da una parte l’utilizzo di tale figura mitologica permette a Haraway di introdurre il lettore alle potenzialità della narrazione – “l’opinabile, mitico, immaginario” –, dall’altra questa ibrida, multiforme, terrorifica ma generativa famiglia di mostri è, per la teorica statunitense così come lo era per Lynn Margulis, l’immagine perfetta della natura e di un nuovo modo di concepirla.
Raccontare, affabulare, raccogliere storie
Prima di affrontare le caratteristiche e le forze alla base di una visione simbiotica della natura è necessario comprendere a fondo lo slogan con cui Donna Haraway da qualche anno comincia le sue lecture: «Think we must, we must think!».
Che cosa significa pensare a come pensiamo? Che cosa nasconde l’invito a pensare e allo stesso tempo avere introdotto una figura chimerica produttrice di storie? Perché tornare a considerare quel pensiero mitico che accomuna tutte le civiltà e culture terrestri?
Ernst Bloch fu tra i primi a proporre un “pensiero affabulante”.33«In breve, è bene pensare anche affabulando, poiché a volte un evento non si esaurisce nel suo accadere, nemmeno se è raccontato bene. Stranamente c’è sempre qualcosa di più che succede là dentro, l’avvenimento lo porta in sé, lo mostra o lo lascia capire». Da «Bada!», E. Bloch, Tracce, Garzanti, Milano 1994, p. 9.
Il testo simbolo di tale approccio fu Spuren (“Tracce”), una raccolta di apologhi, aneddoti, fiabe e leggende rilette e inserite in un’avvincente riflessione filosofica. Per Bloch il pensiero affabulante è prima di tutto un atto di volontà verso la concretezza del pensiero filosofico. Quando la filosofia diventa narrativa riesce a comprendere quello che del reale viene dimenticato dal pensiero logico, inglobando categorie di senso impossibili da concepire dalla logica discorsiva. La narrazione permette una fondamentale ricongiunzione di sensibilità e intelletto ponendo il lettore di fronte alla contingenza di un evento che qui non deve essere compreso e interpretato ma piuttosto accettato come parte di una tessitura narrativa, diventando uno stimolo per l’immaginazione.
Nel racconto la linearità della storia viene spesso a mancare e con essa la concatenazione causale degli eventi, facendo spazio a una «cornice cosmico-naturale» in cui «ogni avvenimento, grande o piccolo che sia, acquista il suo posto, in una proporzione del tutto variabile, a volte tragica a volte giocosa, a volte irriverente a volte rassegnata».44Pensare e narrare, prefazione di L. Boella a Bloch, cit., p. XXI.
Il pensiero, che guida il lettore così come l’inventore di storie, struttura un rapporto con il mondo che, omettendo la relazione prettamente razionale con esso, si trasforma in un’esperienza di appartenenza.
Il pensare affabulante disturba le convenzioni linguistiche e culturali sfidando la nostra immaginazione che improvvisamente si trova radicata in un mondo ibrido, spaventoso ma nello stesso tempo confortevole, in cui le consuete categorie vengono sgretolate e dove la nostra immaginazione decide di fidarsi di figure folli, grottesche e mostruose.
Bloch, cresciuto e formatosi intellettualmente con Walter Benjamin, a cui si deve l’attenzione a un pensiero frammentario e citazionistico, trova nella narrazione una risposta vitale all’epoca della tecnica. Nel racconto era possibile rivelare caratteri e forze impreviste e dimenticate nella società di massa. Allo stesso modo, per Donna Haraway il cinismo e la rassegnazione che pervadono il pensiero ecologico contemporaneo devono essere sconfitti attraverso testimonianze di alleanze tra essere umano e natura che nel racconto trovano un contesto favorevole per fiorire. La mitologia è solo uno tra i tanti strumenti narrativi in cui forze non umane emergono intessendo nuove relazioni: la teorica statunitense ci introduce nel ricco mondo delle SF “stringe figures” (science fiction, science fact, speculative feminism, so far) che superano le comuni forme di pensiero, conducendo in un terreno ricco di nuovi immaginari.
Cooperando tra loro, le SF guidano a un modo di pensare che cuce, taglia e ricuce relazioni, senza mai premettere identità fisse, accettando di “stare nel e con il problema” come approccio con la realtà: «These string figures are thinking as well as making practices, pedagogical practices and cosmological performances. […] The worlds of SF are not containers; they are patternings, risky comakings, speculative fabulations».55D. J. Haraway, Staying with the Trouble. Making Kin in the Chthulucene, Duke University Press, Durham and London, 2016, p.14.
Le SF non sono semplicemente un modo di pensare, sono nello stesso tempo un modo di trasformare il pensiero in un fare e costruire pratiche di convivenza. Quel pensare affabulante di Bloch è qui un pensare facendo e producendo legami, in continua fuga dai limiti del pensiero logico e dalla costante spinta antropocentrica che caratterizza l’essere umano.
Non importa solo come le storie aprono al mondo, ma come nel costruire un racconto sia possibile includere sempre nuovi attori di cui narrare comportamenti e aspetti particolari. La ricchezza combinatoria insita nel raccontare permette così di costruire scenari oggi impensabili in cui essere umano, tecnologia e non umano si costituiscono insieme.
Costruire insieme, simbiosi, intra-actions
Lo Chthulucene può apparire a molti come un mondo in cui personaggi mitologici cooperano con batteri, uccelli, minerali per sradicare l’antropocentrismo. L’immagine è forte e a tratti assurda, ma necessaria per smuovere la rassegnazione di scienziati e intellettuali che, seppur quotidianamente impegnati nella ricerca, divulgano immagini apocalittiche del mondo a venire.
Lo Chthulucene non è unicamente il regno di Medusa e del raccogliere storie di cooperazione tra specie, è prima di tutto un regno sorretto su una precisa visione fisica e biologica della Terra che aiuterà anche i più dubbiosi a considerare l’invito di Haraway un valido motivo per modificare il comune modo di vedersi e immaginarsi nel mondo.
In primo luogo la legge che regola le relazioni di questo mondo è la sum-poiesi, letteralmente “costruire-insieme”, che si contrappone alla autopoiesi, che si basa sul considerare individualità biologiche predeterminate, capaci di riprodursi e di mantenere invariate le proprie proprietà: «Più in generale, il termine è riferito a ogni sistema la cui organizzazione si riproduce in forma invariata e in modo essenzialmente indipendente dalle modificazioni dello spazio fisico in cui esso opera66Vocabolario Treccani Online, definizione di autopoiesi.
».
Nell’autopoiesi ogni individuo è circoscritto, categorizzato e stabile, nella sum-poiesi il concetto di individuo collassa e con esso le tradizionali modalità di relazioni tra esseri viventi:
«M. Beth Dempster suggested the term sympoiesis for “collectivily producing systems that do not have self-defined spatial or temporal boundaries. Information and control are distributed among components. The systems are evolutionary and have the potential for surprising change”. By contrast, autopoietic systems are “self-producing” autonomous units with self defined spatial or temporal boundaries that tend to be centrally controlled, homeostatic, and predictable».77Haraway, cit., p. 61.
Attraverso attributi come prevedibilità, autodefinizione temporale e spaziale e unità autonome, l’autopoiesi rafforza l’immagine di una natura manovrabile, conoscibile e sfruttabile; di un oggetto separato dall’uomo che immediatamente è trasformato in risorsa e terra di conquista. Dall’altra l’autopoiesi alimenta la struttura egocentrata dell’uomo, favorendo lo sviluppo di sistemi binari non solo tra uomo e natura, ma anche all’interno dell’organizzazione sociale e politica umana.
La sum-poiesi segue invece la rivoluzione immessa da Lynn Margulis in quanto concepisce gli agenti come cooperanti per la loro sopravvivenza e dipendenti dagli ambienti in cui sono inseriti. Fin dall’origine del mondo l’energia che ha smosso l’universo è stata quella scaturita da uno scambio simbiotico, basato perciò sul mescolamento dei patrimoni genetici e non sul mantenimento di una struttura invariata (caratteristica principale dell’ente autopoietico): «Nei primordi dell’evoluzione cellulare si sono fusi tra loro due tipi di batteri (nello specifico, gli “eubatteri” e gli archeobatteri o “archea”). Da questa fusione hanno avuto origine cellule natanti di struttura più complessa simili alle amebe (i protisti). […] Nella forma derivata da tale fusione, questa antica chimera risalente alla metà dell’eone Proterozoico (quindi circa milleduecento milioni di anni fa) è diventata la prima cellula nucleata. La chimera natante che metabolizzava zolfo è stata la progenitrice di tutte le forme nucleate esistenti. Da questa turgida chimera non solo discendono tutti gli animali e piante, ma anche gli altri protisti e funghi»88Krumbein, Asikainen, Margulis, cit., p. 4 [corsivo mio].
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Un altro punto fondamentale della visione sum-poietica è quindi considerare le creature terrestri non come predeterminate, ma come definite ed esistenti all’interno di una relazione con l’altro. Nella sua teoria evoluzionistica l’holobionts (olobionte) è per Margulis l’«insieme-unito» di bionts (bionti) che come unità provvisorie – già in relazione a qualcosa – sono gli agenti di tali relazioni simbiotiche. Haraway propone holeonts (oleonti) come compromesso linguistico con cui chiamare un’unità, un essere vivente e un ente senza perdere nel significato della parola le innumerevoli relazioni che lo costituiscono.
Ma è davvero possibile non avere delle proprietà fisse? È il concetto di individualità davvero non più valido, sia per la biologia, la fisica e la filosofia?
Karen Barad, fisica quantistica e teorica femminista statunitense, sostiene che il concetto di individualità sia prettamente metafisico poiché si costruisce a partire dalla mera convinzione che esistano agenti o entità, così come tempi e luoghi, individualmente costituiti: «Non è che gli individui non esistano, solo non sono individualmente determinati. O meglio, gli “individui” esistono solo all’interno di fenomeni (particolari relazioni materializzate/materializzanti) nella loro continua riconfigurazione ripetutamente intra-attiva».99Kleinman, cit., p. 9.
Secondo Barad le reti di relazioni che determinano la possibile circoscrizione di un individuo, sia in materia scientifica sia dal punto di vista ontologico ed epistemologico, mettono in discussione qualsiasi binomio, in primis il primo di organismo-ambiente, comunemente inteso nella relazione individuo-contenitore, entrambi classificabili attraverso tassonomie fisse.
Ciò che propone Barad, a partire dallo studio della fisica quantistica dei campi e sotto la guida costante della rivoluzione atomica di Niels Bohr, è invece un Agential Realism che «non parte da una serie di differenze date o fisse ma indaga piuttosto su come le differenze sono determinate e destabilizzate, oltre che sui loro effetti materializzanti ed esclusioni costitutive».1010ivi.
Alla base del farsi-realtà, del farsi-materia, del farsi-conosciuto ci sono le intra-actions: intra-relazioni che, a differenza delle interrelazioni (relazioni tra due unità predeterminate), operano a un livello di definizione stessa dei due o più agenti coinvolti.
Nell’intra-azione si vanno a costituire simultaneamente osservante e osservato, è in atto perciò un taglio significante fra “soggetto” e “oggetto”. L’intra-azione diventa un processo di differenziazione che permette alla materia di essere circoscritta in un fenomeno, di approdare nel regno del visibile, del conoscibile e calcolabile. Proprio nella misurazione, Karen Barad trova un perfetto esempio di come operano le intra-actions con e nella realtà:
«Measurements are agential practices, which are not simply revelatory but performative: they help constitute and are a constitutive part of what is being measured. In other words, measurements are world-making, matter and meaning do not pre-exist, but rather are co-constituted via measurement intra-actions».1111K. Barad, What Is the Measure of Nothingness? Infinity, Virtuality, Justice, «100 Notes – 100 Thoughts», 99, dOCUMENTA (13), Hatje Cantz Publishing, 2012, p. 6.
Le intra-azioni permettono di guardare il mondo come un processo dinamico in cui vengono operati tagli agenziali il cui principale compito è quello di far emergere differenze, e solo all’interno di tali differenze (la stretta relazione co-costitutiva di agenti) rendere possibile il riconoscimento di “individui”.
Le conseguenze sono principalmente due: da una parte viene mostrato come tutti i termini fissi che inseriamo nella realtà e su cui basiamo il nostro comportamento e le nostre valutazioni quotidiane siano semplicemente “convezioni”; dall’altra comprendiamo come gli apparati (gli strumenti e le strutture con cui conosciamo e organizziamo il mondo) siano «pratiche materiali discorsive attraverso cui la stessa distinzione tra il sociale e lo scientifico, la natura e la cultura, viene a costituirsi».1212K. Barad, Meeting the Universe Halfway, Duke University Press, 2007, p. 141.
Nella visione di un intreccio ibrido in costante movimento e mutamento, Barad, Margulis e Haraway sono promotrici di un impegno che, oltre a essere intellettuale, è etico. Karen Barad parla di una etico-onto-epistemologia in cui le diverse discipline, attraverso cui diversifichiamo i campi di espressione del nostro pensiero, non sono considerate come separate, ma come intrecciate nella medesima struttura.
Lo Chthulucene è l’epoca della respons-ability (respons-abilità), che non consiste nell’individuare una risposta giusta, ma nell’invitare, accogliere e consentire la risposta dell’Altro e tenere costantemente aperte le domande: «La gamma di risposte che sono sollecitate, i tipi di risposte che sono disincentivate o scartate come risposte adeguate, sono obbligate e condizionate dalle domande poste, dove le domande non sono semplicemente interrogativi innocenti, ma particolari pratiche di coinvolgimento».1313Kleinman, cit., p. 10.
Anche dal punto di vista etico, Barad considera qualsiasi relazione come una pratica co-costituente che necessita di un atteggiamento che tiene in considerazione le singolarità di domande e risposte, per non rischiare di cadere nei binomi su cui si basano le principali discriminazioni.
Citando Derrida, Barad ci pone nel non-orizzonte1414Per Derrida l’orizzonte è una cornice visiva che chiude la domanda e l’attesa dell’altro
dell’im-possibilità della risposta, che si concretizza in una relazione costantemente aperta e che fa di tale apertura non solo il fine del suo agire ma il principio stesso che forma l’intenzionalità del soggetto agente: «Nella mia visione realistica attiva del mattering, la responsabilità non è un obbligo che il soggetto sceglie ma una relazione incarnata che precede l’intenzionalità della coscienza. La responsabilità non è un calcolo da eseguire. È una relazione sempre già parte integrante del divenire e non-divenire intra-attivo continuo del mondo. Ovvero, la responsabilità è un ripetuto (ri)aprirsi a, un consentire la reattività».1515Kleinman, cit., p. 10.
Il costruire-insieme di Donna Haraway, l’endosimbiosi di Lynn Margulis e le intra-actions di Karen Barad hanno portato all’attenzione le reti di relazioni, i processi di fare, tagliare e ricucire forme, promuovendo lo spostamento di pensiero dal considerare gli enti come unità al guardarne invece le relazioni co-costitutive che ne modificano la natura.
L’universo di queste relazioni è uno spazio apparentemente vuoto su cui la fisica quantistica sviluppa la sua ricerca ma che può essere indagato anche attraverso le arti e la narrazione; può e deve essere costantemente preservato dall’impegno quotidiano a infoltire la già fitta rete di rapporti che intercorrono tra gli esseri viventi, facendo alleati e narrandone la storia. Benvenuti nello Chthulucene!
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Caterina Molteni è assistente curatore presso MAMbo Museo d'Arte Moderna e Contemporanea Bologna. Ha cofondato TILE Project Space nel 2014 e KABUL magazine nel 2016.
K. Barad, What Is the Measure of Nothingness? Infinity, Virtuality, Justice, «100 Notes – 100 Thoughts», 99, dOCUMENTA (13), Hatje Cantz Publishing, 2012.
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