La Sea Watch 3, nave dell’omonima ONG tedesca guidata dalla capitana Carola Rackete, giugno 2019.
Per i numeri di settembre-ottobre e novembre-dicembre 2019, dedicheremo l’attività di ricerca all’esplorazione del verbo “othering”, da cui il titolo, traducibile in italiano come “alterizzare”, “rendere altro da sé”.
Campo di rieducazione a Lop County, Xinjiang (Cina) – © Xinjiang Bureau of Justice, WeChat Account.
Dati i recenti fenomeni di ostruzionismo politico relativo alle procedure di soccorso in mare e considerate le derive xenofobe nelle politiche nazionali, riteniamo necessario indagare i processi evoluzionistici, culturali e sociali attraverso cui i soggetti si definiscono vicendevolmente a partire da categorie predeterminate e binarie applicate a sesso, genere, orientamento sessuale ed etnia.
Il termine fa riferimento al processo di definizione dell’altro come “diverso” e quindi estraneo al soggetto interagente, relegandolo al di fuori della sfera di ciò che è conosciuto e familiare. “Alterizzare” è la forma verbale dell’aggettivo inglese “other” che, per sua natura, denota una qualità transitoria e non intrinseca a un soggetto. Anziché avvalersi della neutralità di tale definizione, il suffisso -ing, che esprime in sé l’idea di una processualità, aggiunge una connotazione negativa tale da rendere l’azione descritta un vero e proprio moto di esclusione. In quanto altro, l’oggetto diventa infatti pericoloso, deprecabile. La reciproca dipendenza dei due concetti di “identità” e “alterità” si esprime infatti attraverso la definizione del termine oppositivo come pericolo e minaccia per la sicurezza della comunità a cui l’io (il noi) sente di appartenere. L’altro, in questa visione, rappresenta pertanto l’estraneo su cui il gruppo dominante può esercitare forme di dominio e pratiche di esclusione, il corpo “alieno” da espellere e negare.
Anton Kannemeyer, B is for Black e W is for White, dalla serie “Alphabet of Democracy” (2008), Lithographic print, 57 x 44.5 cm each, University of the Free State Art Collection.
A partire dall’analisi dei naturali meccanismi di diffidenza nei confronti di ciò che è percepito come diverso e non riconducibile alla propria persona, al proprio gruppo o alla propria cultura, tenteremo di porre in luce le vie attraverso cui politica e società giungono a elaborare specifiche forme di emarginazione e deumanizzazione dell’alterità. In quest’ottica, i processi di ingroup e outgroup, che fanno capo alla definizione di cosa possa essere considerato minaccia e cosa no, divengono un valido strumento per leggere e interpretare il rapido aumento di consenso verso le politiche neonazionaliste e xenofobe contemporanee, oltre che verso ideologie particolarmente avvezze all’utilizzo di propaganda populista fondata appunto sulla distinzione tra “noi” e “loro”.
Se «l’intolleranza per il diverso o per l’ignoto è naturale presso il bambino tanto quanto l’istinto d’impossessarsi di tutto quel che desidera» (U. Eco, 1997), il processo di othering validato socialmente diviene una pericolosa predisposizione alla violenza e all’esclusione. Si rivela pertanto necessario interpretarlo per ridiscutere il suo ruolo all’interno dei processi culturali e politici.
Un pezzo della recinzione esistente fra Messico e Stati Uniti all’altezza di San Luis, Arizona, fotografata nel novembre 2016, John Moore.
“Che cosa rende l’altro diverso?”, “In base a quali criteri un’eredità culturale sarebbe pericolosa rispetto a un’altra?”, “Da dove deriva la paura del diverso inteso come attore sociale?”, “Quali conseguenze ha la repulsione dell’altro?”. Rispondere a domande come queste non significa negare la diversità dell’Altro ma concepirla e comprenderla in un confronto paritario, anziché renderla mero oggetto di pregiudizio e repulsione.
Riconoscere il processo, anziché agirlo inconsapevolmente, potrebbe dunque costituire la base per nuove definizioni di convivenza, a prescindere dal genere, dall’orientamento sessuale, dalla provenienza geografica, dalla cultura e dalle convinzioni personali? Potrebbe portare ad ammettere la fluidità di tali categorie e ad accettarne, dunque, la relatività?
Jake & Dino Chapman, Fucking Hell, 2008, Glass-fibre, plastic and mixed media (9 parts), Variable dimensions, © the artist, Photo: Hugo Glendinning
Courtesy White Cube, Pinault Collection