L'uomo è ciò che cerca: microfisica del potere virtuale
Big data ed economia digitale: come l'informazione si è trasformata in un bene di scambio.
La massima «l’uomo è ciò che cerca» potrebbe oggi riattualizzare quella del filosofo tedesco Ludwig Feuerbach («l’uomo è ciò che mangia»). L’innovazione tecnologica ha infatti modificato i processi produttivi fondandoli sulla trasmissione delle informazioni, che ricaviamo dai dati che creiamo attraverso le interazioni virtuali e dalla loro elaborazione. È proprio questo processo di trasformazione che aggiunge valore e rende l’informazione un bene che può essere scambiato nel mercato. La concezione economicista descritta da Marx nel XIX secolo ci dice che i rapporti economici sono la sostanza reale dei rapporti umani. Essi sono ancora la struttura della società nell’Era delle Informazioni. A essere cambiate sono l’infrastruttura e la materia prima. Possiamo così tracciare quello che potremmo definire economicismo digitale: la realtà è costituita dai rapporti di produzione delle informazioni, ovvero quelli che si instaurano tra gli individui nel corso dei processi produttivi regolando il possesso e l’uso dei mezzi di produzione.
– Dato / Big data / Informazione
È importante spiegare come i dati vengano creati, o meglio, estratti, usando questo verbo caro alla rivoluzione industriale. Il metodo di estrazione dipende dalle caratteristiche del dato stesso. I dati, infatti, si ottengono dalla misurazione di fenomeni e dalla loro successiva organizzazione in una forma che li renda intelligibili e ne permetta un utilizzo più agevole, ovvero quella dell’informazione.
Monitorare le strade che un individuo percorre durante il giorno tramite il GPS installato sullo smartphone è un processo di estrazione dati. Incrociare questo dato con quello proveniente dai GPS negli smartphone di altri individui ci permette di ottenere informazioni accurate sullo stato del traffico grazie alle stime dei tempi di percorrenza delle strade in relazione al mezzo di trasporto usato. Monitorare gli acquisti fatti da un utente su Amazon.com, associarli per età, razza, genere, ci permette di mappare in maniera molto precisa la domanda di un determinato prodotto.
David Leonhardt, editor del New York Times, e Hal Varian, tra le altre cose consulente economico di punta per Google, hanno tracciato una mappa degli U.S.A. che mostra le differenze delle ricerche virtuali in base alle aree geografiche. Dalla mappa si evince che nei luoghi in cui le condizioni di vita materiali sono più difficili, i trend di ricerca più rilevanti sono la dieta e la religione mentre, nei luoghi in cui si vive meglio, le macchine fotografiche.
I processi produttivi contemporanei sono sempre più fondati sull’interrelazione di grandi volumi di dati. Quando acquistiamo un biglietto aereo per andare in vacanza a Cuba il mese prossimo, forniamo alcuni dati al provider del servizio (nome, località, periodo). Queste informazioni, se incrociate con i risultati delle nostre ricerche su Google, ne possono fornire di ulteriori sui nostri gusti per quanto riguarda l’intrattenimento, la ristorazione, il tempo libero. È facile intuire come, se qualcuno aggrega tali dati e li elabora in informazioni, potrà facilmente venderli a quelle aziende di Cuba che lavorano nel campo dell’intrattenimento, della ristorazione, del tempo libero, per creare un’offerta ad hoc, modellata sui gusti individuali del cliente. Questi macro-aggregati di dati, proprio per il loro volume e la loro varietà e velocità, vengono chiamati Big Data.
La possibilità di estrarre, incrociare ed elaborare i dati permette di ricostruire la realtà come un insieme d’informazioni. Ottenute le informazioni, ovvero le relazioni che esistono tra i dati, queste vengono utilizzate per identificare la domanda di un determinato prodotto. Finalmente le aziende possono tarare la loro produzione su una domanda di cui conoscono tutti i dettagli.
– Regressus ad Infinitum
Questo processo di previsione della domanda provoca una distorsione nella percezione che abbiamo del tempo. Poiché i processi di produzione si basano sull’anticipazione delle scelte del consumatore per un più efficiente orientamento della domanda, si verifica una sorta di regressus ad infinitum: quanto prima vogliamo che il consumatore acquisti un prodotto, tanto prima vogliamo creare in lui il bisogno dello stesso. A tutti sarà capitato di vedere su Youtube l’indicazione “consigliati per te” o che Amazon suggerisca di acquistare un prodotto correlato a quello che hai appena acquistato. O che su Facebook compaia la pubblicità delle scarpe che un attimo prima avevi cercato su Google. La pubblicità sul web si basa su algoritmi che sulla base delle scelte di consumo passate confeziona un annuncio ad hoc rispetto ai bisogni del consumatore.
In questo tentativo di anticipare sempre prima il momento in cui si crea un bisogno in un individuo, al fine di orientare la sua scelta su un determinato prodotto, si distrugge la dimensione della scoperta. L’obiettivo è quello di ridurre il tempo di latenza tra input, il momento in cui sorge il bisogno, e output, il momento in cui lo soddisfi. Il risultato è quello di negare l’importanza del futuro, delle infinite possibilità e del non conosciuto, a favore di una maggiore precisione nella definizione dell’offerta di un determinato prodotto. Come ci spiega Elena Esposito, «Il tempo moderno è caratterizzato da questa tensione verso il futuro, verso la progettazione e la pianificazione – semplificata dalla logica del capitalismo – tensione che può essere vista come sacrificio programmatico del presente al futuro».
Da un punto di vista etico, ciò comporta la negazione del fallimento quale momento essenziale dello sviluppo e della crescita intellettuale dell’uomo. L’eliminazione del rischio, dell’attesa, dell’avvenire, ci colloca in un eterno futuro/presente, nel quale i produttori sapranno già cosa ci piacerà, cosa faremo, come ci vestiremo – così da non poter sbagliare.
L’aver anticipato il futuro al presente provoca una distorsione soggettiva. Nel presente, infatti, ogni cosa ci sembra già vista, già sperimentata, già vissuta. Se le nostre scelte future sono orientate da schemi di analisi delle nostre scelte passate, il futuro non che è una continua ripetizione nel presente di esperienze già vissute. Questa concezione ciclica del tempo getta l’uomo in uno stato di disperazione causato dall’esperire una dimensione dell’essere presente che si coniuga in un “io ero”. Questa temporalità definisce una soggettività non tanto sfasata tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, quanto tra ciò che siamo e ciò che non siamo potuti essere. Tendiamo a vivere il presente nel rimpianto del passato piuttosto che nella speranza del futuro.
Il risultato economico è quello di una stabilizzazione e personalizzazione della domanda per la quale ogni impresa sa già di cosa il consumatore ha bisogno. Finalmente avremo la soluzione perfetta per ribaltare l’assunto che sia la domanda a guidare l’offerta. Infatti, un imprenditore che conosca in maniera precisa la domanda del mercato in cui opera può dedurre con precisione il prezzo e lo fisserà al livello dal quale ne trarrà il maggior profitto possibile. Mentre nel caso non conosca con precisione la domanda, dovrà di tanto in tanto ricalibrare l’offerta sulla domanda effettiva nel mercato e sostenere maggiori costi, in termini di sovra o sottoproduzione.
– Una microfisica del potere virtuale
È nella limitatezza che una risorsa assume maggior valore: se fosse infinita non verrebbe considerata profittevole dal mercato. Finché non sono elaborati in informazioni, i dati sono percepiti come una risorsa infinita. È la tecnologia di elaborazione dati ad aggiungervi valore. Diventa essenziale, quindi, indagare sulla forma di potere che deriva dalla proprietà di queste tecnologie.
Nell’era industriale la proprietà dei mezzi di produzione fonda la dialettica capitalista-proletario. Secondo un’analisi superficiale, potremmo pensare che la democratizzazione della proprietà dei dispositivi che permettono l’accesso all’infrastruttura, cioè Internet, metta in crisi i rapporti di potere della società contemporanea. In realtà, questi dispositivi sono solo dei terminali dei sistemi informatici e il potere che deriva dal possesso di tali dispositivi è limitato. L’innovazione tecnologica ha semplicemente spostato il campo di battaglia dal reale al virtuale.
Al contrario, il potere connesso alla proprietà intellettuale dei codici di programmazione, degli algoritmi, dei software alla base dell’elaborazione dati, non trova praticamente limiti. Se, infatti, consideriamo le leggi come gli strumenti in grado di limitare il potere, ci accorgiamo come le legislazioni contemporanee siano in ritardo rispetto allo stato delle cose le strategie per una economia centrata sui dati.
Fondare una visione del potere su una dialettica capitalista-proletario è anacronistico rispetto alla novità che la concezione foucaultiana del potere ha introdotto: quella di una microfisica del potere, ovvero quella concezione che vede nello stesso qualcosa che circola tra gli individui, rendendo molto difficile dire con certezza nelle mani di chi è concentrato. Ne deriva un dispositivo di potere, ovvero per usare le parole di Foucault11M. Foucault, Dits et Écrits, vol. 2: 1970-1975, Gallimard, Paris 1994, p. 299. «un insieme assolutamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, decisioni regolative, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche, in breve: tanto del detto che del non-detto, ecco gli elementi del dispositivo. Il dispositivo esso stesso è la rete che si stabilisce fra questi elementi […]».
Loggarsi, aggiornare, uploadare, scaricare, e-commerce, postare, virtual currency, bitcoin, hackerare, mining, embeddare contenuti digitali, mi piace, googlare, e-mail, dominio, password, commentare, username, virus, linkare, server, firewall, back up, scansionare, block-chain. L’ennesima catena di atti e comportamenti, dei quali fatichiamo a individuare ‘vittime e carnefici’, perduti in quella che sembra essere una vera e propria fascinazione; la possibilità di essere in tempo reale, senza passato, tanto meno futuro. Rapiti, sotto assedio, alienati, apparentemente finiamo per soccombere all’ennesima evoluzione del sistema di produzione capitalista che, per salvarsi, si veste da filantropo profeta dell’accesso a internet per tutti, tacendo le implicazioni che derivano da qualsiasi forma di concentrazione di potere.
"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)
di Leonardo Ruvolo
Leonardo Ruvolo si laurea in Giurisprudenza presso l'Università di Palermo e consegue successivamente un Master in Diplomazia presso l' ISPI - Istituto per gli Studi Politici Internazionali a Milano. È fondatore e curatore del progetto di ricerca artistica Landescape del Museo d'Arte Contemporanea di Alcamo . È attivista di Macao, centro per le arti, cultura e ricerca di Milano. Ha fondato il collettivo di scrittura performativa Youngboyswritinggroup. Attualmente vive ad Alcamo dove ha fondato con altri collaboratori Posto Segreto.
Bibliography
G. Agamben, L’uso dei corpi. Homo sacer, IV, 2, Neri Pozza, Milano 2014.
U. Beck, Macht und Gegenmacht im globalen Zeitalter: Neue weltpolitische Ökonomie, Edition Zweite Moderne, Frankfurt 2002.
J. Borges, The circular ruins, in Collected Fictions, Penguin Books, 1999.
M. Foucault, Dits et Écrits, vol. 2: 1970-1975, Gallimard, Paris 1994
M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 2005.
J. E. Stiglitz, The price of inequality: How today’s divided society endangers our future, WW Norton & Company, New York 2012.
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