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Klaus Zaugg e l’Italia che non c’è più
Magazine, HYPER – Part I - Marzo 2020
Tempo di lettura: 9 min
Alberta Romano

Klaus Zaugg e l’Italia che non c’è più

Storia e ricerca del fotografo svizzero che contribuì a costruire l’immaginario collettivo italiano a cavallo tra gli anni ’70 e i ’90.

Pubblicità Petrus, s.d. Klaus Zaugg © Eredi – Regione Lombardia / Museo di Fotografia Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo.

 

È difficile stabilire perché guardare la tv italiana di trenta o quarant’anni fa procuri ancora in alcuni di noi dei brividi sotto pelle, sarebbe troppo semplicistico ricondurre questa sensazione alla nostalgia. Non si tratta, infatti, di rimpiangere un determinato momento storico, bensì di avvertire una netta incongruenza con quello che si ha oggi di fronte.

In quelle prime entrate in punta di piedi nel privato degli italiani, in quei discorsi senza peli sulla lingua, in quegli screzi iniziali tra tv pubblica e privata, persino in quelle interviste fatte ai passanti un po’ spaesati, è possibile avvertire una tensione culturale e ideologica che oggi sembra del tutto tagliata fuori dall’intrattenimento di massa.

Siamo agli inizi degli anni ’80, Mike Bongiorno è già il re indiscusso della tv italiana, i politici in carica (e quelli che verranno) sfilano insieme come vallette tra Massimo Boldi e Gullit e non si preoccupano di farsi immortalare prima a un comizio e, appena dopo, sdraiati a chiacchierare con una pornostar; il pubblico da casa, scopertosi tale in quegli anni, vota, telefona, scrive lettere e si affeziona a chi riempie di musica e sketch le sue giornate; la pubblicità appare come il messia che insieme a qualche lungimirante imprenditore ha permesso a tutto quello scintillio di lustrini e paillettes di brillare davanti agli occhi di milioni di italiani. Il tutto viene oliato, con innegabile maestria, da un programma di autocelebrazione costruito a tavolino che, inizialmente, inserisce i propri canali accanto ai palinsesti pubblici e poi li glorifica tramite premi, tappeti rossi, teatri e giornali (tutti magicamente appartenenti allo stesso proprietario).

Questa è l’Italia tra televisione e pubblicità, in un periodo in cui nemmeno gli artisti e gli intellettuali riescono del tutto a distogliere lo sguardo dalle possibilità offerte dall’intrattenimento. Alcuni, con instancabile entusiasmo e speranza, tentano di accrescere lo spessore e la qualità dei programmi a cui si prestano (Federico Fellini, Ermanno Olmi, Aldo Busi ecc.); altri che, seppur a fatica riescono a nascondere il proprio disappunto, rimangono lì dove lo stipendio è assicurato, ma hanno occhi già pieni di consapevolezza su ciò che sarà il domani, e non solo il loro (Enzo Biagi, Gianfranco Funari, Luciano De Crescenzo, Paolo Villaggio ecc.).

A far parte di quel gruppo di intellettuali, romantici e consapevoli del loro destino, vi era anche Klaus Zaugg. Lui non sedeva davanti ai riflettori. Li puntava, sistemando le luci, modificando gli schermi e sperimentando, con tutti i mezzi che all’epoca possedeva, le inquadrature migliori per scattare le immagini pubblicitarie più convincenti.

La modella Cyssa sospesa nel vuoto mentre Zaugg la fotografa, 1984. Klaus Zaugg © Eredi – Regione Lombardia / Museo di Fotografia
Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo.

Nato a Solothurn (in Svizzera) nel 1937, si diploma nel ’59 alla Kunstgewerbeschule di Zurigo, la medesima scuola in cui si era precedentemente formato Sergio Libis (fotografo che ha letteralmente costruito l’identità pubblicitaria della Rinascente) e che, qualche anno dopo, formerà anche Oliviero Toscani. Dopo un breve periodo di attività in Svizzera, a metà degli anni ’60, Zaugg decide di trasferirsi a Milano, città che, in quel periodo, rappresentava a tutti gli effetti la capitale italiana del progresso. Dapprima nel suo studio in via Turati e in seguito in quello di via Voghera, Zaugg comincia a lavorare con architetti e designer (storica è la campagna pubblicitaria del 1969 che realizza per il lancio della celebre Serie Up di Gaetano Pesce), oltre che con alcuni dei marchi più importanti dell’epoca come Alfa Romeo, Fiat, SAMET, Averna, Perugina, Alitalia, Saiwa, Honda, Ellesse ecc. Uomo simpatico, gioviale e molto generoso – come lo ricordano amici e assistenti tra cui Guido Daniele e Davide Carrari –, sul set Zaugg mostra un’attitudine precisa e intransigente. La moglie Cyssa è una delle ragazze del celebre programma Drive In, nonché spesso modella dei suoi scatti. È insieme a lei che si ritira dalla frenesia milanese per recarsi nella casa di Castell’Arquato dove, tra l’altro, conserva la sua enorme collezione di Swatch (compagnia per la quale disegna tre modelli in tiratura limitata).

Nel corso degli anni Zaugg sviluppa una grande passione per la produzione pubblicitaria, probabilmente perché non fatica a coglierne i meccanismi e a sfruttarne tutte le potenzialità. Per Perugina, ad esempio, realizza una campagna fotografica interamente ambientata nelle sale di uno sfarzoso palazzo storico in cui si svolge un party esclusivo. Gli invitati scherzano, si scambiano sguardi maliziosi e, in modo ironico, sembrano raccontare storie troppo grandi per essere catturate da un solo obiettivo. Tuttavia, la costruzione di un’ampia narrazione attorno a un singolo fotogramma corrisponde semplicemente a un consolidato escamotage pubblicitario per attirare di più l’attenzione del consumatore che, incuriosito dai possibili sviluppi della storia, si lascia sedurre con più facilità da ciò che osserva. Scopo della pubblicità è di suscitare nel possibile acquirente un desiderio rivolto non solo nei confronti del cioccolatino ma dell’intero contesto che gli consentirebbe di gustarlo al meglio: l’autentico prodotto da offrire è dunque un preciso status quo da raggiungere.

Campagna pubblicitaria Ellesse, 1980-’89. Klaus Zaugg © Eredi – Regione Lombardia / Museo di Fotografia
Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo

A cambiare, in quegli anni, non è solo la portata dei desideri da stimolare, ma anche e soprattutto  il modo in cui farlo. Si evita infatti di evocare atmosfere oniriche e sognanti (come era stato per i primi fotografi di moda del Novecento come De Meyer e Steichen), l’obiettivo diviene quello di costruire ambientazioni sfacciatamente realistiche, raggiungibili attraverso il faticoso ma remunerativo lavoro giornaliero. Come sottolinea anche Ian Svenonius in Censura subito!!!, sono proprio i beni materiali ad assicurare una forza lavoro più anfetaminica e allucinata.11I. Svenonius, Censura subito!!!, NERO, Collana Not, Roma, 2019, p. 95.

Zaugg non si lascia sfuggire l’occasione e realizza pubblicità che, senza troppi giri di parole, fanno chiaro riferimento al successo, come se il prodotto protagonista di questo e di quello spot fossero i mezzi essenziali per raggiungerlo. Ne è un valido esempio la pubblicità dell’amaro Petrus. Un distinto uomo d’affari – che nel tempo libero legge Il Sole 24 ORE e The Wall Street Journal e che possiede un dipinto di Mirò appeso al muro – guarda fuori dalla finestra: tra i cartelloni luminosi, lo slogan dell’amaro si trasforma immediatamente in metafora di una vita densa di difficoltà ma ricca di soddisfazioni: «Petrus: il successo ha un gusto amaro».

La comunicazione pubblicitaria, che per sua natura nasce e si sviluppa parallelamente alle esigenze economiche, sociali e politiche di un paese, in quegli anni ruggenti diviene specchio e motore dei cambiamenti di una società in forte ascesa economica. Zaugg lo sa bene e non perde occasione per dimostrarlo attraverso scatti che ritraggono modelle impavidamente in bilico su scalinate d’emergenza (pubblicità Ellesse, 1980-’89) o folle di uomini e donne, provenienti dai mestieri più disparati, uniti tuttavia da un unico e grande desiderio: la nuova Fiat (Fiat Ritmo, 1979-1994).

FIAT Ritmo, 1979-1994. Klaus Zaugg © Eredi – Regione Lombardia / Museo di Fotografia
Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo.

Sono anni di benessere in cui la spensieratezza sembra premiata e supportata da risultati economici concreti in cui tutto appare possibile e facilmente realizzabile. Tuttavia, Zaugg fa parte di quella cerchia di produttori culturali che, sebbene a contatto con la mondanità, non hanno alcuna intenzione di prendere le distanze da una lucida consapevolezza della realtà. Da grande sperimentatore non ha mai smesso di accostare al proprio lavoro una ricerca personale, utilizzando tecniche innovative e dando vita a immaginari surreali.

È l’esempio di una serie di scatti che porta a termine nel 1983 su commissione dell’allora sindaco di Castellamonte, Eugenio Bozzello Verole. L’idea alla base è quella di realizzare un ritratto della città e dei suoi abitanti, e a Zaugg viene lasciata carta bianca. Il ritratto è ambientato all’interno della Rotonda Antonelliana che, costruita nel 1842, doveva far parte di una chiesa grande quasi come la Basilica di San Pietro a Roma, ma che in assenza di fondi non fu mai completata.

Un gruppo di persone, presumibilmente composto dai reali abitanti di Castellamonte, è seraficamente schierato di fronte all’obiettivo del fotografo. Ciascuno di loro è racchiuso in un singolo sacchetto di plastica. In primo piano una modella è rannicchiata al suolo, costretta sotto una semisfera trasparente che, invece di farne intravedere la fisionomia, riflette una schiera di persone che sta in piedi di fronte a lei. Solo a questo punto la ragazza appare circondata. La plastica, qui probabilmente metafora del progresso tecnologico, sembra aver immobilizzato un’intera città e costretto l’unica modella a riflettere solo i bisogni di chi la circonda.

In una location simbolo dell’incompiutezza e delle promesse disilluse prende forma, in questo scatto, tutta la coercizione e la disillusione che Zaugg sembra nutrire nei confronti di un capitalismo sempre più incalzante e spersonalizzante.

La città nella plastica,1983. Klaus Zaugg © Eredi – Regione Lombardia / Museo di Fotografia
Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo.

Un ulteriore esempio – forse il più celebre – della sua ricerca sperimentale è Klaustrofobia. Una serie composta da quaranta autoritratti che Zaugg esegue nel 1991 attraverso proiezioni tradizionali su schermi di ultima generazione modificati artigianalmente, a cui aggiunge l’uso del frontifondografo, uno strumento che consentiva di generare fondali simulati partendo da immagini proiettate da diapositive Ne deriva una raccolta di scatti, per alcuni versi inquietanti, che sembra volutamente trasformarsi in una autoanalisi dell’autore. Maurizio Rebuzzini, giornalista, editore e grande amico di Zaugg li definisce come «il contraltare che ricrea l’equilibrio personale».  Nelle foto è sempre presente il volto plasmato di Zaugg che s’inserisce di volta in volta all’interno di maschere fluttuanti, manichini, oggetti comuni e forme surreali. Klaustrofobia è di certo un esercizio di stile e tecnica, ma allo stesso tempo rappresenta uno strumento di evasione che concede all’autore massima libertà di sperimentazione e un territorio neutro su cui esercitarla: il suo volto. Ogni elemento in cui sovrappone il proprio viso sembra stargli stretto, sia esso un paesaggio o una foglia. Invece, nel momento in cui ritrae in autonomia il proprio volto, lo fa in modo destrutturato e sezionato, talvolta rendendolo irriconoscibile dalle continue trasformazioni che subisce. In sintesi, potremmo leggere Klaustrofobia come una sorta di diario, una diretta conseguenza di quel lavoro pubblicitario estremamente artificioso e spesso spersonalizzante, nonché come una via di fuga dallo stesso. Oppure, potremmo di nuovo utilizzare le parole di Rebuzzini, che a proposito di questi scatti si espresse così: «Oltre i canoni esteriori, le fotografie vivono di altro. Spesso di quell’altro che si muove tormentatamente nell’intimo di ciascuno di noi».22M. Rebuzzini, Klaus Zaugg, «PRO», Dic. 1989.

Klaustrofobia, 1990. Klaus Zaugg © Eredi – Regione Lombardia / Museo di Fotografia
Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo.

Nel 1992, a seguito di un periodo di magra per l’industria pubblicitaria, Klaus Zaugg lascerà Milano per trasferirsi con la moglie in Brasile, dove nel 1994 morirà tragicamente a Buzios. Il suo archivio è oggi conservato presso il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo ed è composto da circa 63.000 unità tra negativi, diapositive, stampe, provini, cibachrome e dye transfer.

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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)

di Alberta Romano
  • Alberta Romano è storica dell’arte e curatrice di arte contemporanea. È attualmente la curatrice della Kunsthalle Lissabon di Lisbona. Dal 2017 collabora anche con la Fondazione CRC di Cuneo per la quale segue le acquisizioni di arte contemporanea. Dopo la laurea in Storia dell’Arte alla Sapienza di Roma e in Pratiche Curatoriali all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, ha frequentato CAMPO16 alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. I suoi testi sono stati pubblicati da Artforum, Flash Art, Contemporânea, Kabul Magazine etc.