Negli ultimi anni l’espressione fake news è entrata nel linguaggio comune, divenendo oggetto di dibattiti a più livelli. In generale, con tale espressione ci si riferisce alla circolazione di notizie dal contenuto ingannevole e non veritiero. Tuttavia, non si tratta di un trend inedito. La divulgazione di notizie false è sempre esistita quale forma di comunicazione tesa a orientare l’opinione pubblica verso determinati obiettivi, in tutte le epoche. Tra le fake news più celebri dell’antichità merita menzione la cosiddetta Donazione di Costantino.
Durante il Medioevo, al fine di giustificare le mire papali sul potere temporale, iniziò a circolare la voce, poi rivelatasi non vera, secondo cui l’imperatore Costantino, in segno di gratitudine verso papa Silvestro, che lo avrebbe guarito dalla lebbra, non soltanto si fosse convertito al Cristianesimo, ma avrebbe addirittura donato un terzo dell’Impero Romano alla Chiesa di Roma. Una vera e propria bufala talmente diffusa da essere persino citata da Dante nel XIX canto dell’Inferno: «Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco».
In tempi più recenti rispetto alla fantomatica donazione di Costantino, quale esempio di manipolazione dell’opinione pubblica, ricordiamo l’enorme e imponente macchina propagandistica messa a punto dal Terzo Reich, in particolare da Joseph Goebbels, durante il nazifascismo, che si reggeva sulla diffusione di notizie e aneddoti totalmente infondati e tesi a giustificare le teorie razziste e antisemite del regime. Esempio emblematico è la serie di notizie sulle abitudini abiette attribuite agli ebrei, allo scopo di favorirne l’isolamento sociale.
La stessa invasione militare della Polonia era stata preceduta da una feroce campagna pubblicitaria di continue informazioni, trasmesse via radio e giornali, su atrocità commesse dalla popolazione polacca: ciò allo scopo, da un lato, di giustificare l’aggressione militare nei confronti della Polonia, dall’altro di conquistare il consenso popolare di una siffatta operazione da parte degli stessi cittadini tedeschi. Attraverso questa pressante campagna di informazioni, la vile aggressione al popolo polacco fu, infatti, sostenuta dalla popolazione.
Risulta pertanto evidente come la diffusione di informazioni non vere o inesatte sia in grado di influenzare il dibattito pubblico, sino ad arrivare a conseguenze rilevanti per la stessa salute di uno Stato democratico.
Oggi, con la diffusione capillare dei nuovi massmedia, tra cui i social network, la diffusione delle fake news ha assunto contorni ben più vasti. È innegabile che l’accesso libero – o quasi – alla rete abbia portato con sé diversi vantaggi nella vita quotidiana di ciascun individuo. Attraverso Internet e le piattaforme social è infatti possibile attingere a un’enorme quantità di sapere, informazioni e dati, dando a chiunque la possibilità di informarsi, ma altresì di informare.
Tuttavia, se da una parte questa libertà appare come massima realizzazione del diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero, che trova il suo referente costituzionale all’art. 21 Cost.,11L’art. 21 Cost., che al primo comma sancisce in maniera lapidaria: «Tutti hanno diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
il contraltare è costituito dalla sempre più frequente scarsa abilità, per il singolo utente, di effettuare una cernita tra le informazioni ricevute, spesso verosimili, sebbene false o non verificabili. Si pone, dunque, il problema della coesistenza tra l’inalienabile diritto a informare ed essere informati e il suo travalicamento, ossia l’abuso che può generare conseguenze pericolose per la stessa tenuta dello Stato democratico.
Il timore dell’alterazione del dibattito pubblico a causa di informazioni false è argomento largamente diffuso, tanto a livello politico, quanto a livello giurisdizionale. Si pensi, solo per fare un esempio, al danno creato, nemmeno qualche anno fa, dalla diffusione di video contro le vaccinazioni, millantando un rapporto, smentito dalla comunità scientifica, tra queste e l’autismo.
La questione delle fake news si ripropone persino in questi giorni, in piena emergenza Covid-19, che vede tutte le nazioni impegnate in una seria campagna di contenimento. Colossi telematici come Facebook, Instagram, Google, YouTube, Twitter, Apple e TikTok sono corsi ai ripari, adottando misure drastiche per combattere il dilagare di informazioni false che vanifichino gli sforzi di prevenzione.22F. Tortora, Coronavirus, Facebook, YouTube, Apple e TikTok: ecco come combattono le fake news, 12 marzo 2020, apparso su www.corriere.it/tecnologia.
Per quanto concerne il più giovane dei social network, TikTok, per ogni ricerca attraverso l’hashtag #coronavirus, invita i propri utenti a rivolgersi a fonti attendibili in materia, come il sito dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. E proprio l’OMS e altre organizzazioni sanitarie, come la Croce Rossa Italiana, hanno scelto TikTok quale social network, utilizzato soprattutto da giovanissimi, per aprire canali finalizzati alla diffusione di informazioni corrette sulle misure di contenimento del contagio.33C. Piotto, Coronavirus, l’Oms arriva su Tik Tok per combattere le fake news, 2 marzo 2020, apparso su www.tg24.sky.it/tecnologia.
la libertà di manifestare il proprio pensiero assume una funzione fondamentalE all’interno di uno Stato democratico.
A prescindere dall’innegabile utilità sociale delle azioni di prevenzione di diffusione di notizie false e potenzialmente pericolose in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, occorre chiedersi se sia corretto demandare ai giganti telematici la regolazione di un fenomeno dilagante come quello delle fake news. O se, al contrario, tale regolamentazione non spetti, piuttosto, al legislatore, tanto a livello nazionale quanto europeo e internazionale.
Con riguardo all’estrema libertà di circolazione delle informazioni sul web, alcuni hanno richiamato la teoria del mercato delle idee, elaborata in seno alla giurisprudenza statunitense a inizio ’900.44In particolare, è stata citata per la prima volta nella dissenting opinion del giudice Holmes nella pronuncia della Corte Suprema degli Stati Uniti Abrams v. United States del 1919.
Essa richiamerebbe il funzionamento dei mercati secondo la teoria liberale. In un’economia di mercato la prevalenza del prodotto migliore è data dalla libera scelta dei consumatori, che scelgono sulla base del libero confronto tra i beni a disposizione. Trasponendo tale ragionamento al mondo delle idee che circolano sul web, ne deriverebbe che spetta a chi naviga in rete confrontare le varie informazioni e stabilire che cosa sia vero o attendibile e cosa no.
In realtà questo ragionamento solleva diversi dubbi. Per alcuni,55G. Pitruzzella, La libertà di informazione nell’era di Internet, «Rivista di diritto dei media», 1/2018, contributo dell’omonimo capitolo pubblicato sul volume a cura di Pitruzzella, Pollicino, Quintarelli, Parole e potere. Libertà di espressione, hate speech e fake news, Milano, 2017.
infatti, una simile teoria trovava valida applicazione nella tradizionale industria dell’informazione, caratterizzata da un limitato numero di editori e fonti di informazione. È inoltre indispensabile notare che su Internet le informazioni sono filtrate attraverso algoritmi fondati sulle scelte precedenti del singolo utente, creando di fatto quella che siamo soliti definire come “filter bubble”,66Espressione utilizzata per la prima volta da Eli Pariser, nel 2011, nel suo saggio The Filter Bubble, ove l’autore sottolineava il fenomeno della personalizzazione del web.
una bolla di contenuti che «isola l’utente da informazioni diverse da quelle coerenti con i suoi pregiudizi e quindi impedisce che davanti a lui si svolga quella competizione che avrebbe dovuto animare il mercato delle idee».77Cf. Pitruzzella, infra.
In altri termini, attraverso l’utilizzo di algoritmi, i maggiori motori di ricerca, in base alle scelte precedenti effettuate dall’utente, selezionano in modo automatico le notizie e le informazioni da mettere in evidenza, privilegiando i risultati simili a quelli già in passato ricercati dall’utente medesimo. Se ciò si traduce, da un lato, in una maggiore personalizzazione, dall’altro lato si sostanzia nel fatto che ogni persona avrà a disposizione principalmente le medesime fonti da cui trarre le proprie informazioni. Di contro, la libertà di manifestare il proprio pensiero assume così una funzione e un ruolo fondamentali all’interno di uno Stato democratico: una sua limitazione non potrà mai assumere i confini della censura.88In tal senso, Temistocle Martines, nel suo manuale di Diritto Costituzionale, XIV ed. riveduta da Gaetano Silvestri, Giuffrè Editore, afferma che «la democraticità di un ordinamento è direttamente proporzionale al grado in cui la libera manifestazione del pensiero viene riconosciuta e in concreto attuata».
Un ruolo e una funzione che tuttavia non escludono limiti al loro esercizio, soprattutto nel caso in cui questo si trovi a confliggere con ulteriori interessi di rango costituzionale. Con la sentenza n. 105/1972,99Sentenza reperibile sul sito della Consulta, www.cortecostituzionale.it.
la stessa Corte Costituzionale ha tracciato la linea di confine di tale libertà. La Consulta ha specificato che, sebbene a ciascuno sia riconosciuta la possibilità di manifestare, con i mezzi già visti, il proprio pensiero, ciò non può tradursi nel principio in base al quale «tutti debbano avere, in fatto, una materiale disponibilità di tutti i possibili mezzi di diffusione, ma vuol dire, più realisticamente, che a tutti la legge deve garantire la giuridica possibilità di usarne o di accedervi, con le modalità ed entro i limiti resi eventualmente necessari dalle particolari caratteristiche dei singoli mezzi o dalla esigenza di assicurare l’armonica coesistenza del pari diritto di ciascuno o dalla tutela di altri interessi costituzionalmente apprezzabili».
Certo, alla luce delle nuove frontiere tracciate dal web, dovremmo interrogarci sull’effettiva attualità di tali affermazioni. E infatti, fintantoché questo diritto veniva di fatto esercitato con i soli mezzi tradizionali (stampa, radio, televisione), esso rappresentava appannaggio esclusivo di chi, possedendo i capitali necessari per far fronte agli investimenti economici richiesti per il mantenimento della macchina dell’informazione, deteneva il potere economico. Soggetti, pertanto, determinati e determinabili. A fare da contraltare di questo oligopolio, l’ordinamento aveva sancito una serie di disposizioni in grado di contemperare la libera manifestazione del pensiero quando questa andasse a collidere con ulteriori interessi meritevoli di tutela.
Benché non potesse essere sottoposta ad alcun tipo di autorizzazione preventiva, per espressa previsione costituzionale,1010Al secondo comma dell’art. 21 Cost. è espressamente previsto che «la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».
la stampa tradizionale era – ed è – di fatto sottoposta a una serie di adempimenti che rendono sempre rintracciabile il soggetto responsabile di ciò che è divulgato. È proprio questa la ratio della legge sull’editoria,1111Ci si riferisce alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, che reca Disposizioni sulla stampa. All’art. 1 del testo normativo, viene definita “stampa” o “stampato” ogni riproduzione tipografica o comunque ottenuta con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinata alla pubblicazione. Il successivo art. 5 prevede, invece, la necessità della registrazione presso la cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi, che ha lo scopo di rendere noto il nome del proprietario e del direttore o vice-direttore responsabile, il loro domicilio e quello della persona che esercita, se diverso, l’impresa giornalistica.
che ha sancito regole in materia di stampa, soprattutto per quel che concerne i suoi limiti:1212Ulteriori norme tese a reprimere la violazione di diritti qualora effettuati con il mezzo della stampa sono state inserite nel Codice Penale. Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, al reato di diffamazione.
in altre parole, si è reso necessario, pertanto, consentire l’identificazione di responsabili qualora siano perpetrati reati attraverso il mezzo della stampa.1313L’art. 21 Cost. prevede, quale forma di limitazione espressa alla libertà di stampa, il sequestro, che opera ex post, ossia dopo la pubblicazione dello stampato e soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria. È prevista però, ex comma 4 della norma, la possibilità di procedere a sequestro senza autorizzazione del giudice in casi di assoluta urgenza e qualora il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria non sia possibile.
Questo equilibrio normativo è stato del tutto scardinato dall’avvento di Internet. Sovvertendo le regole sino a quel momento conosciute, il web ha infatti reso a tutti gratuito1414Per quanto attiene il costo della fruizione di Internet e social network, particolarmente interessante è il contributo fornito nel saggio La libertà di espressione: aspetti problematici nell’era di internet, pubblicato sulla rivista «Ius in itinere» il 21 gennaio 2020. E invero, nel caso dei social e dei motori di ricerca sarebbe possibile parlare di gratuità apparente: il prezzo occulto per la fruizione dei loro servizi è costituito dalla cessione dei nostri dati.
l’accesso ai nuovi massmedia. L’informazione su Internet, inoltre, non è soggetta alle medesime norme che regolano e disciplinano la stampa tradizionale“…L’informazione su Internet, inoltre, non è soggetta alle medesime norme che regolano e disciplinano la stampa tradizionale”, e non vi si possono pertanto applicare le stesse cautele, preventive e successive, che l’ordinamento ha previsto per l’industria tradizionale dell’informazione.
Escludendo le ipotesi in cui la notizia falsa arrechi espressamente nocumento a valori costituzionalmente rilevanti, finendo così per integrare ipotesi di reato, anche le Sezioni Unite della Cassazione hanno escluso la possibilità di estendere il concetto di stampa alle informazioni online. Le Sezioni Unite1515Cass. Pen., sez. un., sentenza 31022/2015; Cass. Civ., sez. un., sentenza 23469/2016.
hanno rifiutato tale equiparazione almeno per ciò che concerne l’applicazione del sequestro della pagina o del sito web.
Si pone, dunque, una nuova sfida: il necessario bilanciamento tra le nuove e inedite frontiere della libertà di manifestazione del pensiero, e altri interessi meritevoli di tutela. Davanti alla grande libertà della rete e alla sua diffusione capillare, è evidente come su Internet, e soprattutto sui social, siano maggiori le possibilità di incontrare fake news.
Oltre a notizie false in senso proprio, sul web ha anche larga diffusione il cosiddetto hate speech. Secondo quanto sancito dalla Commissione Jo Cox, istituita presso la camera dei deputati,1616Il rapporto finale, del 6 luglio 2017, è reperibile presso il sito della Camera dei deputati.
l’hate speech è «l’istigazione, la promozione o incitamento alla denigrazione, all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone, o il fatto di sottoporre a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce tale persona o gruppo, e comprende la giustificazione di queste varie forme di espressione, fondata su una serie di motivi, quali la “razza”, il colore, la lingua, la religione o le convinzioni, la nazionalità o l’origine nazionale o etnica, nonché l’ascendenza, l’età, la disabilità, il sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e ogni altra caratteristica o situazione personale». Rispetto a tale fenomeno, in realtà l’ordinamento giuridico ha già posto una parziale regolamentazione. Nella fattispecie, ha previsto l’estensione della categoria dei reati di opinione, poiché una diffamazione di gruppo di vaste dimensioni può essere certamente percepita come una minaccia alla democrazia.1717In particolare, si applicano le norme di cui alla legge sui reati di opinione (l. 85/2006) e la legge sul negazionismo (l. 28 giugno 2016, n. 115).
Per le fake news, invece, il problema è più complesso. Anche perché, come qualcuno ha evidenziato,1818G. Pitruzzella, cit.
nella categoria delle informazioni false in senso proprio, ossia di tutte quelle notizie la cui falsità può essere verificata, sono comprese anche ipotesi molto vicine alle opinioni personali, come nel caso di errori non intenzionali, i “rumors”,1919Ossia quelle notizie che circolano insistentemente, in maniera più o meno confusa, senza però ricevere conferme o verifiche ufficiali.
le teorie cospiratorie ecc.
In altre parole, sanzionando le fake news sulla base del criterio della mera falsità, si rischierebbe di sanzionare – e nuocere – la libertà di manifestazione del pensiero. È innegabile, tuttavia, come le menzogne arrechino danno alla trasparenza del dibattito pubblico nonché, più in generale, alla democrazia.
Si rivela pertanto necessario trovare un argine al dilagare di un fenomeno che, considerata «l’incapacità del pubblico di distinguere tra giornalismo professionale e informazione prodotta da un quisque de populo […], rischia di nuocere seriamente al dibattito pubblico, che si deve nutrire, viceversa, soltanto di dati trasparenti, e merita quindi una risposta sanzionatoria da parte dello Stato».2020In tal senso, C. Melzi d’Eril, Fake news e responsabilità: paradigmi classici e tendenze incriminatrici, «Media Laws», 1/2017.
E oltre a ciò, di contro, va trovato naturalmente un equilibrio che eviti di dare il via a una vera e propria attività censoria.
le fake news integrano un vero e proprio illecito, penalmente rilevante.
Diverse sollecitazioni, rivolte agli Stati affinché arginino il fenomeno,2121Ci si riferisce a due Risoluzioni del Consiglio d’Europa, la n. 2143 e la 2144, entrambe del 2017. Attraverso tali atti, il Consiglio ha chiesto agli Stati anche di provvedere, nel più breve tempo possibile, alla ratifica della Convenzione di Budapest, in materia di criminalità informatica, e del suo Protocollo Addizionale, in ordine alla penalizzazione di atti di natura razzista e xenofoba commessi attraverso gli strumenti informatici.
sono arrivate anche dall’Unione europea. Sollecitazioni che non sono state trascurate dall’Italia. Infatti, al momento pendono, in attesa di essere discussi, diversi disegni di legge in materia.
Il primo, cosiddetto “Disegno di legge Gambaro” (depositato il 7 febbraio 2017), recante Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica, affronta il problema della falsità delle notizie su Internet prevedendo l’introduzione di sanzioni penali2222In particolare, si prevede l’introduzione degli artt. 656 bis, rubricato Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico, attraverso piattaforme informatiche, 265 bis, Diffusione di notizie false che possono destare pubblico allarme o fuorviare settori dell’opinione pubblica, e 265 ter, Diffusione di campagne d’odio volte a minare il processo democratico. Le norme, così come delineate nel disegno di legge, pongono non poche criticità per quanto attiene a profili di legittimità costituzionale e opportunità politica.
e un rafforzamento di iniziative di alfabetizzazione informatica, per consentire alle nuove generazioni un approccio più critico e consapevole ai media informatici.
Un altro disegno di legge è la “Proposta Zanda-Filippin”, recante Norme generali in materia di Social network e per il contrasto della diffusione su Internet di contenuti illeciti e delle fake news, che propone soluzioni diverse dal primo. Innanzitutto, non inserisce nuove fattispecie di reato rispetto a quelle tradizionali già esistenti, ma stabilisce una serie di obblighi per i gestori dei servizi telematici che, se non adempiuti, comporterebbero una responsabilità amministrativa.2323Nel disegno di legge in parola, inoltre, si prevede un meccanismo di autoregolamentazione. In base a un’articolata disciplina, sarebbe consentito ai fornitori di servizi di social network di accreditare come organi di controllo enti da loro costituiti, che si occupino dei reclami eventualmente ricevuti dai fruitori.
Ulteriore disegno di legge è costituito dalla “Proposta De Girolamo e altri”, presentata il 10 ottobre 2017 alla Camera dei Deputati e riguardante l’Introduzione del divieto dell’uso dell’anonimato della rete Internet e disposizioni in materia di tutela del diritto all’oblio.2424Al contrario degli altri due disegni di legge, la proposta “De Girolamo e altri”, così come sottolineato in F. De Simone, “Fake news”, “post truth”, “hate speech”: nuovi fenomeni sociali alla prova del diritto penale, «Archivio penale», 2018, 1, non offre una soluzione diretta al fenomeno delle fake news, a meno di non voler equiparare la falsità sul soggetto che immette una qualsiasi notizia (utente anonimo) alla falsità del contenuto della stessa.
In questo caso, il disegno di legge si pone l’obiettivo di contrastare l’anonimato sul web, a prescindere però dal contenuto pubblicato. Se tale proposta legislativa venisse applicata, chiunque immettesse sul web, avvalendosi dell’anonimato, una notizia, a prescindere dalla sua falsità, andrebbe comunque incontro alla sanzione prevista. Di contro, la falsità rileverebbe solo in relazione al diritto all’oblio, ossia con il diritto del soggetto leso dalla pubblicazione di una notizia falsa sul suo conto di chiederne la rimozione.
Dalla presenza di numerose iniziative legislative, diverse l’una dalle altre, nessuna scevra da critiche, appare evidente come la questione del contrasto alle fake news sia lungi dall’essere risolta. Al momento, manca pertanto un approccio uniforme. Per questa ragione, e in assenza di un quadro giuridico chiaro di riferimento, al momento le soluzioni sono prospettabili solo ragionando caso per caso. Quel che è certo è che è unanimemente riconosciuta come lecita l’estensione della disciplina prevista da norme penali già esistenti nei casi in cui le fake news risultino lesive di beni giuridici rilevanti come l’onore o la reputazione altrui, la pubblica fede, il buon costume e finanche la sicurezza pubblica, nonché nelle ipotesi in cui tali notizie false o distorte siano in grado di istigare altri alla commissione di illeciti.2525In questo specifico caso viene in soccorso la fattispecie penale prevista dagli artt. 414 e 415 cod. pen., ossia l’istigazione a delinquere e l’istigazione a disobbedire alle leggi.
In queste circostanze, le fake news integrano un vero e proprio illecito, penalmente rilevante.
Trova applicazione al fenomeno delle fake news anche l’art. 656 cod. pen., che punisce espressamente chi «pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico». Secondo alcuni,2626R. Perrone, Fake news e libertà di manifestazione del pensiero: brevi coordinate in tema di tutela costituzionale del falso, «Nomos. Le attualità nel diritto. Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale», 9/2018.
la fattispecie, nella sua forma dolosa, ossia nel caso in cui l’autore abbia consapevolezza e volontà di divulgare la notizia falsa, è in grado di «realizzare un corretto bilanciamento di interessi nei confronti delle fake news in senso stretto che si connotino per il loro carattere pregiudizievole per beni giuridici di rilievo costituzionale».
In realtà, anche le fake news prive dell’elemento doloso potrebbero rilevare ai sensi dell’art. 656 cod. pen., nel caso in cui risultino lesive dell’ordine pubblico,2727La norma, infatti, non fa riferimento all’elemento doloso.
e dunque anche se considerate vere o veritiere dal suo divulgatore. Del resto, il divulgatore di fake news è di solito, per l’appunto, un soggetto che divulga la notizia nella (errata) convinzione che sia vera.
Di fronte a questo scenario, le soluzioni sono molteplici. Non è mancato chi2828In tal senso, C. Melzi d’Evril, cit.
ha proposto una responsabilità in capo a terzi (cioè i gestori delle piattaforme social) al verificarsi di determinate condizioni, come nel caso, per esempio, della mancata collaborazione al contrasto di contenuti illeciti da parte di soggetti anonimi. Per tali casi, sarebbe possibile estendere quanto già previsto dall’art. 16 del d.lgs. 70/2003, che esclude la responsabilità per i gestori dei siti o piattaforme web per i contenuti prodotti da terzi soggetti, a meno che non siano a conoscenza del contenuto illecito e non provvedano alla sua rimozione, nonostante l’esplicita richiesta dell’autorità. In tal modo, di fatto, fermo restando la responsabilità dell’autore del contenuto lesivo, potrebbe comunque stabilirsi una responsabilità di tipo risarcitorio nel caso di inattività del gestore del sito.
Altra soluzione consiste nell’estensione del diritto di replica e rettifica già previsto per la stampa tradizionale, vale a dire il diritto per il soggetto interessato a replicare o rettificare a fatti che lo riguardano.
Altri, invece, ipotizzano l’introduzione di istituzioni specializzate,2929In questo senso, G. Pitruzzella, cit.
terze e indipendenti che, sul modello delle Autorità Amministrative Indipendenti già previste dal nostro ordinamento,3030Si pensi alla Consob, al Garante per la Privacy, l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ecc.
in base a princìpi prestabiliti, intervengano ex post, su richiesta degli interessati, per far rimuovere dalla rete quei contenuti considerati lesivi.
Quale che sia la soluzione prospettabile, è evidente che essa non possa essere ancora demandata alle Corti territoriali. Il legislatore deve necessariamente assumersi la responsabilità di legiferare in materia, stabilendo regole che siano chiare e a tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, nonché della stessa trasparenza e genuinità del dibattito pubblico, senza cedere alla tentazione di demandare a soggetti privati la scelta di decidere cosa censurare e cosa no, ma, al contrario, coinvolgendo i diretti interessati a una leale collaborazione.
Di contro, tuttavia, non appare convincente nemmeno la scelta di demandare la risoluzione del problema al diritto penale. In un ordinamento democratico, infatti, un’aprioristica azione censoria non può mai costituire una soluzione legittima.
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Veronica Sicari è avvocata presso il Foro di Catania, diplomata alla Scuola di Specializzazione in Professioni Legali. Di recente ha conseguito il Master in Diritto dell’ambiente e gestione del territorio dell’Università di Catania Ha pubblicato articoli e note a sentenza su alcune riviste giuridiche on line. Interessata ad ambiente e tutela delle donne, si occupa prevalentemente di reati endofamiliari e degli aspetti civilistici del diritto di famiglia.
F. De Simone, “Fake news”, “post truth”, “hate speech”: nuovi fenomeni sociali alla prova del diritto penale, «Archivio penale», 2018, 1.
T. Martines, Diritto Costituzionale, Giuffrè, Milano, 2000.
C. Melzi d’Eril, Fake news e responsabilità: paradigmi classici e tendenze incriminatrici, «Media Laws», 1/2017.
E. Pariser, The Filter Bubble: What the Internet is hiding from you, Viking/Penguin Press, London, 2011.
R. Perrone, Fake news e libertà di manifestazione del pensiero: brevi coordinate in tema di tutela costituzionale del falso, «Nomos. Le attualità nel diritto. Quadrimestrale di teoria generale, diritto pubblico comparato e storia costituzionale», 9/2018.
C. Piotto, Coronavirus, l’Oms arriva su Tik Tok per combattere le fake news, «Sky Tg24», 2 marzo 2020.
G. Pitruzzella, La libertà di informazione nell’era di Internet, «Rivista di diritto dei media», 1/2018, in Pitruzzella, Pollicino, Quintarelli (a cura di), Parole e potere. Libertà di espressione, hate speech e fake news, Milano, 2017.
F. Tortora, Coronavirus, Facebook, YouTube, Apple e TikTok: ecco come combattono le fake news, «Corriere della sera», 12 marzo 2020.
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