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Imitazione di un Sogno
Magazine, AUTOCOSCIENZA – Parte II - Aprile 2024
Tempo di lettura: 17 min
Alina Popa

Imitazione di un Sogno

Esplorazioni filosofiche e sensoriali tra sogno e realtà.

Nel saggio Imitazione di un Sogno, qui tradotto da Alice Minervini, Alina Popa sostiene che i sogni siano una realtà altrettanto esistente, un’astrazione per contemplare il nostro posizionamento nel mondo ed esplorare la discontinuità della soggettività. Sfumando i confini tra reale e finzione, mito e storia, l’onirico rompe la linearità del tempo, offrendo immaginari alternativi da trasporre in scrittura. Al limite tra theory-fiction e art writing, Imitazione di un Sogno restituisce le suggestioni allucinatorie attraverso uno stile aforistico e immersivo in cui la prima persona si disperde in una miriade di soggetti. Quasi come la notte interrompe il passare dei giorni, le sequenze oniriche interrompono le argomentazioni filosofiche rispecchiando l’interdipendenza tra vita vigile e dormiente. Facendo eco allo sperimentalismo di Clarice Lispector e J. G. Ballard, il testo è scandito da cambiamenti improvvisi di argomenti senza relazioni causa-effetto rigide, procedendo piuttosto attraverso associazioni di idee e immagini caleidoscopiche. Un’accumulazione di voci, tropi letterari e punti di vista che si stratificano in una narrazione fantasmagorica.

Alina Popa (Bucarest, 1982 – Ploiești, 2019) è stata un’artista transdisciplinare che ha unito teoria critica, autofiction e pratiche performative, per esplorare la relazione tra neoliberismo e melodramma, nazionalismo e affects theory. Al limite tra arte contemporanea e attivismo, la sua pratica ha una dimensione collettiva che spazia dall’analisi della sessualizzazione dei corpi femminili e la feticizzazione delle emozioni nelle società tardocapitaliste alla creazione di piattaforme per denunciare la violazione dei diritti dei lavoratori culturali e alla produzione di testi collettivi sperimentali. Popa ha co-fondato collettivi internazionali come il Bureau of Melodramatic Research (2009) con Irina Gheorghe, e Unsorcery (2012) con Florin Flueras. Deceduta prematuramente nel 2019, nel suo ultimo testo, intitolato La malattia come progetto estetico, ha scritto: «Il corpo è reale, ma ciò che pensiamo di esso è finzione. Le opinioni mediche sono la finzione che ci viene imposta dalla modernità e dal capitalismo. Questa è una finzione consensuale. Il modo in cui consideri il corpo, come lo nomini, determina come agisci su di esso e anche come esso agisce di rimando… Il corpo è alieno quanto il mondo. E dobbiamo abbracciare la sua estraneità».


Drawing by Alina Popa with closed eyes, notebook on her chest. Courtesy di Florin Flueras.

Eravamo in un corridoio stretto quando le scale hanno iniziato a distorcersi nello spazio, i lati eruttavano verso i margini, spingendo i margini verso l’indefinito. Era come se le scale percorressero sé stesse sotto i nostri piedi; una salita astratta, incompleta, che saltava dei gradini lungo la via.

Stavamo andando a prendere qualcosa dall’ultimo piano di un edificio, una casa popolare, priva di esseri umani, immersa nell’oscurità. Le ho detto qualcosa di molto familiare; il tono usuale delle nostre conversazioni riempiva quella stanza senza eco. Lei guidava la strada, io, come succede sempre, ero troppo immersa nello spaziotempo dei miei pensieri per mantenere qualsiasi senso di orientamento, qualsiasi coordinata della mappa che scorreva sotto i miei piedi.

«Ci siamo allenate a lungo per comprendere il modello astratto della relazione tra una cosa e il mondo in cui si trova».

Mentre salivamo, il tempo si espandeva, la durata dei passi era scandita dalla lunghezza della frase appena pronunciata. Una frase che si celava lì, spettrale, nell’oscurità della situazione.

«..Ma se abbiamo due cose, in due mondi separati, allora dovremmo essere in grado di decifrare la relazione della relazione: tra una cosa e il mondo in cui si trova, e la seconda cosa e il mondo corrispondente».

Mi stava ancora guidando all’ultimo piano di una casa popolare, priva di esseri umani, immersa nell’oscurità.

All’ultimo piano, vicino alla porta, in una visione sfocata, c’era un uomo, in piedi, accovacciato, buio nel buio. Volevamo ancora raggiungere la cima delle scale, convinte che un po’ di filosofia ci proteggesse dagli spiriti.

All’improvviso l’uomo disse con una voce ferma e un leggero accento dell’Est Europa: «Fareste meglio a non farlo».

La discesa fu così rapida che la stanza si disintegrò: smettemmo di sentire il nostro corpo muoversi, i nostri piedi divorare le scale, i nostri salti verso la fuga, una fuga che era essa stessa in fuga. Mi sentii come una vaga presenza sospesa ai margini dello spaziotempo, svegliandomi.

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Quando sognare viene trattato come una pratica, e il sogno come un altro medium, al pari del mondo reale, allora muoversi dalla vita nello stato di veglia al mondo dei sogni significa passare tra mondi ugualmente esistenti, viaggiare da un medium all’altro. Il passaggio trasversale tra questi mondi-come-medium è reso possibile dai momenti di cesura del risveglio e dell’addormentarsi. Nell’addormentarsi o risvegliarsi, i mondi si infiltrano l’uno nell’altro, deviandosi a vicenda, attraverso una corruzione reciproca dei loro rispettivi modi di (dis)organizzazione.

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Un medium è uno spazio comportamentale completo di una propria sintassi affettiva e logica. Un mondo è una lingua parlata in abitudini. Perdersi nel mondo è parlare una lingua massivamente indifferente al significato, spingersi al limite non andando avanti, ma cadendo attraverso.

[..]

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Perdendosi nel mondo, si viaggia con la guida dell’equivocazione verso il proprio inganno. I referenti si biforcano in mondi separati, mondi perduti. Perdere il mondo nella traduzione, perdere la traduzione nella fessura tra mondi. Tradurre una caduta in un’altra caduta.

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Attraverso i buchi si cade. Attraverso la caduta si perde. Attraverso la perdita si perde di nuovo.

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Mettere in scena un’imitazione del sogno della vita.

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I disegni di Alina Popa a occhi chiusi, con il quaderno sul petto. Courtesy di Florin Flueras.

Permettersi un mondo significa permettersi una prospettiva. Permettersi più mondi significa oscillare tra prospettive incompatibili. Permettersi tutti i mondi significa non permettersi alcuna prospettiva. Permettersi tutti i mondi significa essere universalmente oggettivi e soggettivamente estinti.

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Parlare da una prospettiva significa parlare come qualcuno. Parlare da piÙ prospettive significa parlare come qualcuno per conto di qualcun altro. Parlare dall’orizzonte significa parlare come nessuno.

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Parlo dal sogno.Voglio vivere nell’ultimo sogno mai sognato sulla Terra.

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Nel sogno, il mondo annega in uno specchio. È nel sogno che la specularità del mondo si riflette. Lo specchio è sé stesso proprio perché cieco a sé stesso. Per un sognatore cronico, che si perde costantemente nel mondo, se guardi il mondo senza espressione, ((il mondo ti restituirà lo sguardo senza espressione)) (Clarice Lispector). Una prassi del sogno si nutre della narcolessia della filosofia, del sopore concettuale e della sterilità percettiva. Attraverso la sterilità del mondo, il sognatore diventa un conduttore per la sospensione del significato, per la proliferazione dell’incoerenza sintattica, per un oltre che va al di là. La perdita come portale per un’altra perdita.

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Il mondo dei sogni e la vita di veglia fanno ugualmente parte del campo dell’esperienza. Avere coscienza, o sognare, implica un’immersione virtuale in uno spaziotempo. Sognare, così come essere svegli, è un’auto-esperienza dell’impersonale, un uscire (“es-”, da “ex-”) da sé attraverso (“-spe-” da “per”) sé stessi in un campo a-soggettivo (“-ienza” da “ience”), attraverso le disposizioni percettive, affettive e razionali di qualcuno.

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Undream di Alina Popa e Florin Flueras, 2015. Courtesy di Florin Flueras.

((Quanto di te stesso puoi sopportare? Forse hai bisogno di otto ore di pausa al giorno solo per dimenticare lo shock di essere te stesso)) (J.G. Ballard).

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Lo spazio impersonale si conosce come un altro in una proliferazione di stadi. Lo stadio della veglia è uno stadio del sogno. Lo stadio dello specchio dell’impersonale.

Uno stadio appare quando ((un organismo riconosce un ambiente come un altro ambiente)) (Scott Bakker). La cognizione è la proliferazione e l’intensificazione dell’inganno spaziotemporale.

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Dato che il sonno comporta un quasi radicale ritiro dalla spaziotemporalità attuale e dalla relativa omogeneità del campo di esperienza nel mondo della veglia, alcune pratiche, da quelle scientifiche a quelle sciamaniche, assomigliano a quelle del sonnambulo. Tutte le pratiche che portano a una complessificazione spaziotemporale attraverso la distorsione e la perturbazione della relazione ben progettata tra sé e mondo comportano un rischioso cadere (addormentarsi) del sé da sé stesso. Il sé è costruito addormentandosi a sé stesso, cadendo nello spazio di ciò che non è sé, sognando l’ambiente di un altro sopra il proprio. Tutti gli inganni spaziotemporali e le distorsioni topologiche, come quelle dello sciamano o del geometra o persino del predatore animale, necessitano di un sonno-dentro-la-veglia, un addormentarsi al mondo. Sia lo sciamano che il geometra portano con sé un corteo di corpi-fantasma e una moltitudine di mappe somatiche virtuali. Il predatore impara a portare la mappa somatica della sua preda. Lo sciamano e il geometra sono sognatori di mondi multipli, si addormentano da mondi multipli, cadono attraverso mondi. Mondi che non possiedono sintassi intercambiabili. Il mondo impersonale cade preda di sé stesso.

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Mantenere a disposizione mezzi incompatibili, mondi i cui parametri non si sostengono a vicenda, lingue che non si parlano l’un l’altra.

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Gangsters spaziotemporali. Perdenti del mondo.

Spacciatrici di medium.

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Unsorcery, Alina Popa & Florin Flueras, at Atelier 35, 2012. Foto di Alexandru Dan. Courtesy di Florin Flueras.

Una volta l’ho portato a fare una passeggiata nella foresta. Non era una foresta selvaggia. Era attraversata da un grande viale, comodamente percorribile anche con delle scarpe fatte per l’asfalto. Lo stavo facendo volare a una distanza non molto più alta di quella di due persone di altezza media che si trovano una sopra l’altra. Volevo che si godesse la prospettiva dal ramo di un albero alto e guardasse in basso verso di me, sì, l’astratto guarda sempre in basso verso noi umani. Mi immagino anche più giovane da quella prospettiva, un po’ meno alta, come una ragazza che guarda verso l’alto, con l’aria leggermente sognante. Un minuscolo animale domestico è adatto a tutte le età.

Stavo camminando, a volte perdendolo tra la giungla di rami e pensieri. Tornava sempre al suo guinzaglio vuoto se succedeva questo. Riuscivamo a mantenere quasi lo stesso ritmo, c’era quiete. Scorgere la vista dall’alto è dolce. Ci sentivamo leggère. senza preoccupazioni. […] Stavamo camminando nel bosco, quando di fronte a me ho visto una donna di mezza età che passeggiava sul viale, non era sola. Era forte e procedeva verso una direzione che conosceva senza determinazione. Io lo stavo portando a passeggio e lei teneva due guinzagli. Stava camminando con un grosso cavallo e un alano. La biforcazione dei guinzagli catturò la mia attenzione. Avevamo degli animali domestici.Io stavo portando a passeggio il mio unico compagno, camminando umilmente dietro di lei ma con un’aria arrogante.

Alcune persone hanno cani o insetti, anche ratti o maialini. Io ho lui. È generico, un animale domestico astratto, una disposizione e dislocazione, il suo guinzaglio è la mia coscienza e lo spazzo via con i miei pensieri. Non può ingrassare, ma oscilla con stile. È un animale domestico eccelso, compagnia come alienazione. Dà insensatezza all’insensatezza. È l’unico animale domestico in grado di accompagnare gli esseri umani nel mondo dei sogni. È un animale domestico flebile […]. Come il sonno nella veglia e il sogno nel sogno. Un sogno sognato accanto alla realtà, un sogno sognato dentro il sogno.

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I disegni di Alina Popa a occhi chiusi, con il quaderno sul petto. Courtesy di Florin Flueras.

Sognare può essere definito nella sua forma minima, secondo Jennifer Windt, come un modello allucinatorio spaziotemporale immersivo. L’esperienza allucinatoria del sogno è a-modale, nel senso che è indipendente da contenuti percettivi specifici, come suggestioni visive, uditive, cinestesiche o persino propriocettive. Pertanto, il sogno è sentirsi un punto in uno spazio astratto.

 

Ho sognato di essere su un palco. C’erano persone sparse nel pubblico. Mi accingevo a spostare il punto dell’indifferenza.

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«[I]l sonno è un’esperienza genuinamente traumatica» (J.G. Ballard).

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Stavo per addormentarmi, la mia mente cullava l’idea del sogno come una discontinuità necessaria della soggettività. Allucinazione di nessuno, un vuoto, dove vagavo come una dea attraverso l’aria pesante.

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Stavo per addormentarmi, o svegliarmi, sulla stretta fessura tra due letti uniti in uno. La discontinuità della soggettività. Il lenzuolo interrotto, una linea tra due rive del sonno. Il passaggio del medium: il mondo della veglia tagliava il mondo del sogno. È il sogno una sintesi della realtà o la realtà una sintesi del sogno? Se la realtà è affetti, capacità e comportamenti, intrecciati in una rete ambientale diffusa, allora anche il sogno è realtà. Il mondo è solo un altro medium, e il mondo non è uno.

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E se quando ti svegli è il medium a svegliarsi? Se il mondo si sveglia, siamo finiti.

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Ho commesso un omicidio spaziotemporale. Mi sono svegliata. Ho sentito il suono di una lama che cade tra i mondi e squarcia una fetta di essere senza spessore. Ucciso in modo seriale sulla soglia tra i mondi. Al centro del medium c’è un taglio.

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Da un molo elevato sopra la riva, scrutavo il mare attraverso una lente fumosa, come se fosse coperto da un azzurro latteo, leggermente sfocato. Non riuscivo a distinguere alcun frangente, solo una massa agitata, che si muoveva in loco, senza bordi chiari. Ho visto le nuvole alzarsi sopra l’oceano. Le ho viste trasformarsi in strane forme, geometriche, pervertite e abbastanza lontane da affogare la paura nel sublime e la vita nel sogno. Piccole nuvole amorfe crescevano in ammassi sferici, come l’immagine della NASA della gravità della terra, un conglomerato rotondo di globi soffici, anelli di aria condensata, nebbia densa e fumogena. Piccoli tornado cominciavano a emergere dalla superficie del mare, piccoli vortici visivi si muovevano verso riva. Qualcuno ha detto qualcosa mentre l’immagine svaniva, non reale, non sogno, non nulla, non qualcosa, sospesa dall’improvvisa invocazione di un personaggio dei cartoni animati, a lungo dimenticato, in cima a un uragano cupo che stava spazzando via la costa.

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Secondo Gilles Châtelet, Francis Bailly e Giuseppe Longo, i concetti filosofici e matematici possono essere ricondotti a una gestualità semplice o più complessa, come la geometria di una linea è il percorso più breve dall’occhio del predatore alla posizione anticipata della sua preda – la linea dell’inseguimento. Astrazioni come le linee sono forme di oblio – ciò che rimane dalla situazione di caccia è una linea geodetica, senza spessore, tra predatore e preda. Ciò che viene dimenticato nella realtà della vita di veglia può essere ricordato, anche in maniera frammentaria o parziale, nel mondo dei sogni. Gli schemi mentali e la geometria astratta dei pensieri possono diventare, nei sogni, nuovamente gestuali. I concetti riemergono con un corpo.

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Da svegli si dà pensiero al corpo. I sogni danno corpo al pensiero. Pensare è come sognare a occhi aperti.

I sogni danno corpo al pensiero

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Fare una passeggiata in una dimensione fittizia. Ogni passo nel falso deforma la camminata nella quotidianità. Ogni deformazione nella quotidianità deforma il passo nel falso, e nella quotidianità. Allestire un inganno spaziotemporale significa intraprendere una passeggiata che non avresti potuto fare. La cognizione è l’immersione in mondi messi in scena. Agire nel pensiero significa dar corpo al pensiero e poi camminare. Il corpo ha camminato prima del pensiero. La ragione è un sentimento sonnambulo.

L’orizzonte concettuale è mutilato attraverso l’agire, e l’orizzonte dell’immaginazione è mutilato attraverso il pensiero. L’inganno incide un taglio che sanguina reale. Non lasciare che il tuo sguardo si fermi all’orizzonte. Contempla l’orizzonte dell’orizzonte, il piano che arriva a una linea morta, la linea che arriva a un punto di fuga, l’iperspazio tra morto e reale.

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I pesci sognano a occhi aperti, nuotando negli abissi dello specchio.

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Secondo Thomas Metzinger, se il tunnel dell’ego ci impedisce di accedere al reale, e il tunnel stesso costituisce il nostro mondo, il nostro medium, tra la coscienza di veglia e la coscienza del sogno non vi è differenza essenziale. La consapevolezza di tale simulazione (del sé e del mondo), come capacità metacognitiva, si acquisisce solo nei sogni lucidi. I sogni lucidi sono il riflesso dello specchio. Un sognatore lucido è un filosofo che al risveglio ha perso posizione, un perdente lucido. Essere radicati nella perdita e nel dislocamento.

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Lo spazio è un inganno. Tu e io stiamo ancora sognando.

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La percezione, che è l’inibizione del pieno accesso al reale, costruisce una spaziotemporalità sopportabile nel mondo. Una dimensione che corrisponde ai limiti delle proprie azioni e immaginazione sensomotoria. Un varco di apertura e il reale si manifesta attraverso l’orrore: l’ignoto, l’innominabile, l’insopportabile, un buco nero localizzato. «Ho lasciato questo mondo e sono entrata nel mondo» (Clarice Lispector).

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L’orrore è l’incubo della lucidità.

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La realtà era disegnata con precisione

La realtà era disegnata con precisione, quasi bidimensionale, un’architettura di scenografie in bianco e nero, che ingrandivano e ridimensionavano te. Occasionalmente, alcune finestre di colore e profondità, isole di sfocatura e tridimensionalità, si aprivano nel paesaggio paralizzato. Una spaziotemporalità piatta, in cui l’azione è contemplativa, e il movimento è consequenziale. Il mondo era disseminato di varchi, e i varchi erano il mondo della veglia. Questo medium consentiva il movimento attraverso amplificazione e diminuzione.

L’architettura della realtà rivelava oscuri squarci tra sequenze di mondi. Lo spazio scorreva nitidamente come un orologio di dimensioni.

Second Body di Alina Popa e Florin Flueras. Crediti: Teatrul Spălătorie. Courtesy di Florin Flueras.

Un’immagine ingrandita di un occhio, senza profondità, mi raggiungeva dall’orizzonte. Il mondo delle scenografie si ingrandiva, e vedevo una superficie di una lente a contatto rugosa, piegata e deformata. Il mondo-globo diventava la sfera dell’occhio, uno spazio curvo e piatto, evocando la quadratura del cerchio di Nicola Cusano, che è una linea retta. Qualcosa di assoluto si stava nascondendo sotto il mondo. La lente del mondo-occhio-globo era rugosa, deformata da una tale intensità che l’occhio vedeva l’orrore. Contemplavo questo sguardo contorto e deformato, e la vista di questo occhio era il mondo che potevo vedere. Eravamo su sponde diverse di questo mondo.

Dietro una macchina con le porte spalancate, qualcuno guardava il cielo, quasi catalettico, ma in piedi. Confessò che non riusciva più a scrivere perché la sua visione del pensiero si rifletteva in modo superlativo nei suoi occhi neri. Il suo pensiero era intrappolato in un raggio di oscurità emanato dal suo occhio sinistro, o forse destro, dato che non sono sicura se vedevo il mondo riflesso o meno. Notai l’oscurità dei suoi occhi e sapevo che il raggio beam stava trasportando qualcosa di cui avrei dovuto scrivere al mattino.

Confessò che non riusciva più a scrivere

Qualcosa riguardo al pensiero come riflessione negli occhi dell’impossibilità. Il suo pensiero era un movimento ipnotico di una proiezione eterea. Il suo pensiero era prigioniero di un ciclo oscuro, una trasmutazione infinita di uno sguardo fissato sull’impossibile. L’intera scena mi ha ricordato i manga horror di Junji Ito che leggevo l’altro giorno. Il raggio di oscurità era infestato da significato e non-senso allo stesso tempo. Una conoscenza offuscata che le parole non possono trasmettere, il pensiero non può pensare. Un Grand Guignol giapponese che si dispiega tra un occhio scurissimo (quasi un occhio-pupilla) e l’impossibilità che vi è riflessa.

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L’orrore è l’incubo della lucidità.

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Il mondo della veglia, ciò che è presumibilmente lì, è un medium allucinatorio, e non ciò che è là fuori. Il reale è proprio ciò che non è mediato, il medium è una fortezza percettiva nel reale. Il reale non è introvabile senza fortezza. Se il fenomenale è una gabbia dentro il noumenale, come ha mostrato Kant, non vi è via d’uscita. Tuttavia, coloro che sono chiusi in gabbia sono indivisibili dalla loro stessa gabbia. I fenomeni intrecciati con i noumeni permettono l’allargamento, sbarra per sbarra, delle gabbie dell’esperienza.

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O forse il reale è sopportabile; solo la vita è insopportabile.

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La profondità è perforata dalla superficie. Il reale è perforato dall’imitazione a scala reale. L’imitazione del sogno.

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Sognare è una forma di viaggio flebile: vai da qualche parte tra ovunque e da nessun luogo.

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Sognare è una forma di viaggio flebile

La lama che taglia una nuova spaziotemporalità nel mondo è indebolita dalla costante mobilità della natura e dalle sue continue metamorfosi. Il coltello del sognatore ha una lama flebile come una linea tratteggiata che sogna l’immacolatezza.

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Tagliare sogni flebili nella giungla dell’adesso, e uscirne camminando.

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Qualsiasi fuga verso l’esterno è una fuga nel falso. Qualsiasi fuga da questa spaziotemporalità è una variazione e una stratificazione complessa di allucinazioni spaziotemporali. Questa variazione dipende dalle strutture di potere spaziotemporale: le strutture politiche, e i vincoli materiali del pensiero, i vincoli corporei della libertà spaziotemporale (il quadro trascendentale kantiano che, anche se variato, è limitato dalla propria corporeità idiosincratica).

Il sogno politico costruisce discorsi moderni specifici che plasmano l’immersione e l’immaginazione spaziotemporale. I manifesti sono l’accelerazione dell’immersione in un’allucinazione spaziotemporale, con uno scopo. L’egemonia spaziotemporale confronta e persino interrompe le passeggiate nel falso là fuori. Sostituisce una passeggiata determinata ma senza scopo nel falso con una passeggiata orientata a uno scopo che si esaurisce all’esterno.

La passeggiata della sognatrice è senza scopo. Lo scopo e la sua mappa risiedono all’interno del sogno. Il sogno vuole solo sognare sé stesso.

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La variazione spaziotemporale è la militanza sonnambula per la liberazione del sogno dal sopore umano.

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Ho soluzioni senza un problema.

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Lo spazio si è addormentato sognando il tempo.

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Mi è capitato di cadere.

Unsorcery, Alina Popa & Florin Flueras, all’Atelier 35, 2012. Foto di Alexandru Dan. Courtesy di Florin Flueras.

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  • Alina Popa (Bucarest, 1982 – Ploiești, 2019) è stata un’artista transdisciplinare che ha unito teoria critica, autofiction e pratiche performative, per esplorare la relazione tra neoliberismo e melodramma, nazionalismo e affects theory. Al limite tra arte contemporanea e attivismo, la sua pratica ha una dimensione collettiva che spazia dall’analisi della sessualizzazione dei corpi femminili e la feticizzazione delle emozioni nelle società tardocapitaliste alla creazione di piattaforme per denunciare la violazione dei diritti dei lavoratori culturali e alla produzione di testi collettivi sperimentali. Popa ha co-fondato collettivi internazionali come il Bureau of Melodramatic Research (2009) con Irina Gheorghe, e Unsorcery (2012) con Florin Flueras.