«Lo sciopero internazionale degli artisti del 1979 doveva essere ‘una protesta contro la repressione dilagante nel mondo dell’arte e l’alienazione degli artisti dal risultato del loro lavoro’. Djordjevic mandò una lettera di invito a numerosi artisti nel mondo, chiedendo se volessero prendere parte a uno sciopero generale. Ricevette trentanove risposte, la maggior parte delle quali non solidali, da artisti come Sol Lewitt, Lucy Lippard e Vito Acconci. Susan Hiller rispose: “Sono stata, in effetti, in sciopero per tutta l’estate, ma ciò non ha portato ad alcun cambiamento e ora sono ansiosa di ricominciare a lavorare, cosa che farò molto presto”.»11http://penguinrandomhouse.ca/hazlitt/longreads/investigation-reappearance-walter-benjamin.
«Caro Goran, Grazie per la tua lettera. Personalmente sono già in sciopero dal produrre qualsiasi nuova forma nel mio lavoro dal 1965 (ovvero 14 anni). Non vedo cosa potrei fare di più – I migliori riguardi (Daniel) Buren.»22https://www.stewarthomesociety.org/features/artstrik26.htm.
Quando il leggendario artista concettuale Goran Djorjevic tentò di trascinare gli artisti nella realizzazione di uno sciopero generale dell’arte nel 1979, alcuni di loro risposero che erano già in sciopero – ovvero, non stavano producendo lavori o nuovi lavori, ma non avrebbe fatto differenza in ogni caso. Chiaramente, oggi vediamo la risposta come una messa in discussione dei luoghi comuni su cosa fosse e come funzionasse uno sciopero: lo scopo dello sciopero era teoricamente quello di prosciugare la forza-lavoro necessaria ai datori di lavoro, che avrebbero di conseguenza dovuto fare delle concessioni alle richieste dei lavoratori, ma nel campo dell’arte le cose funzionavano diversamente.
Oggi, la reazione degli artisti ci sembra ovvia. Nessuno che lavori nel campo dell’arte si aspetta che il suo lavoro sia insostituibile e neanche vagamente importante per nessuno. Nell’epoca dell’auto-assunzione – o piuttosto, dell’auto-disoccupazione – rampante, l’idea che qualcuno possa avere a cuore la forza-lavoro specifica di qualcun altro ci sembra per lo meno esotica. Certo, il lavoro nel campo dell’arte è sempre stato diverso dal lavoro in altri contesti.
Una delle ragioni più attuali, comunque, potrebbe essere che l’economia contemporanea dell’arte si basa più sulla presenza che sull’idea tradizionale di forza-lavoro legata alla produzione di oggetti. Intendo qui ‘presenza’ come presenza fisica, come nella partecipazione a un evento o nell’ ‘essere lì’ in persona. Perché la presenza dovrebbe essere così desiderabile? L’idea di presenza invoca la promessa di una comunicazione diretta, lo splendore di un’esistenza priva di inibizioni, un’esperienza apparentemente non alienante e un incontro autentico tra esseri umani. Implica che non solo l’artista, ma chiunque altro sia presente, qualunque cosa ciò significhi e per qualsiasi cosa possa essere utile. La presenza, a quanto si dice, consente una discussione vera, uno scambio, una comunicazione: l’happening, l’evento, l’assistere dal vivo, la cosa in carne e ossa – avete capito cosa intendo.
Oltre a partorire lavori, gli artisti, o più in generale i produttori di contenuti, oggi devono offrire innumerevoli servizi aggiuntivi, che sembrano lentamente essere diventati più importanti di qualsiasi altra forma di lavoro. Il Q&A è più importante dello screening, la lecture dal vivo è più importante del testo, l’incontro con l’artista è più importante dell’incontro con il suo lavoro. Per non parlare del mucchio di formati quasi-accademici o da PR dei social media che moltiplicano i modelli attraverso cui si suppone che venga prodotta questa presenza inalienata. L’artista deve essere presente, come nell’eponima performance di Marina Abramovic. E non solo presente, ma esclusivamente presente, presente per la prima volta o secondo qualche altra modalità iperventilata di novità. L’occupazione artistica si sta ridefinendo come presenza permanente. Nella produzione infinita di eventi apparentemente singoli, lo sfornare serialmente novità e immediatezza, e lo stesso avere luogo dell’evento in sé, diventano una performance generale, come l’ha chiamata Sven Lütticken, una misura di efficienza quantificabile e ‘lavoro sociale totale’.
L’economia dell’arte è immersa profondamente in questa economia della presenza. L’economia del mercato dell’arte ha la sua specifica economia della presenza, che gira intorno alle fiere d’arte con le loro guest list, aree VIP e modalità performative di accesso ed esclusione a ogni livello. La gente sostiene da un po’ che le preview delle mega-mostre siano diventate totalmente inadeguate per gli HNWI (High Network Individuals): le persone veramente importanti presenziano solo alla pre-preview.
Ci sono anche alcune ragioni puramente logiche a motivare l’economia della presenza fisica umana nel campo dell’arte: la presenza fisica delle persone è mediamente più economica della presenza dei lavori, che necessitano di essere spediti, assicurati e/o allestiti. La presenza mette i cosiddetti culi sulle sedie, e perciò garantisce legittimità alle istituzioni culturali in competizione per gli scarsi finanziamenti possibili. Le istituzioni vendono biglietti o addirittura l’accesso alle persone – ciò viene di solito realizzato nell’ambito di formati para-accademici come masterclass o workshop – e capitalizzano sulla speranza della gente di estendere il loro network o di acquisire contatti. In una parola, la presenza può facilmente venire quantificata e monetizzata. È una cosa per cui poca gente viene pagata e molta gente paga, e perciò risulta piuttosto vantaggiosa.
Ma presenza significa anche disponibilità permanente senza alcuna promessa di risarcimento. Si può paragonare al funzionamento dei contratti ‘a zero ore’ in altri settori, nonostante le motivazioni per la disponibilità non siano le stesse. Nell’era della riproducibilità di quasi qualsiasi cosa fisica, la presenza umana è una delle poche cose che non possono venire moltiplicate indefinitamente, una risorsa strutturalmente scarsa. Presenza significa essere impegnati o occupati in un’attività senza essere assunti o impiegati. Significa la maggior parte delle volte venire blindati in modalità standby, come un componente di scorta potenzialmente impegnabile, una folla di supplementi che garantiscono un certo peso stocastico.
Un punto che trovo piuttosto interessante è che la pretesa di presenza e immediatezza totale sorge a partire dalla comunicazione mediata, o, più precisamente, dalla crescente gamma di strumenti di comunicazione possibili che abbiamo, internet incluso: la pretesa di presenza totale non si oppone all’uso della tecnologia, è piuttosto una sua conseguenza.
Secondo William J. Mitchell, l’economia della presenza33William J. Mitchell, ETopia: Urban Life, Jim, But Not As We Know It (Cambridge, MA: MITPress, 1999).
è caratterizzata da un mercato, potenziato dalla tecnologia, dell’attenzione, del tempo e del movimento – un processo di investimento che richiede scelte attente. Il punto è che la tecnologia ti dà gli strumenti che permettono una presenza remota o ritardata, così la presenza fisica diventa l’opzione più scarsa all’interno di una vasta gamma di alternative…
Secondo Mitchell: “La scelta della presenza avviene quando un individuo decide se la sua presenza faccia a faccia valga il tempo e il denaro”. Cosicché la presenza diventa di fatto una modalità di investimento, non opposta alla tecnologia ma a essa conseguente.
L’economia della presenza non concerne solo le persone il cui tempo è effettivamente richiesto e che potrebbero sostanzialmente vendere (o barattare) più tempo di quello che hanno, concerne ancora di più coloro che devono fare molteplici lavori per riuscire a sopravvivere – o addirittura per non riuscire neanche a sopravvivere. Infatti riguarda anche coloro che coordinano un mucchio di micro-lavori, incluso l’incubo logistico di armonizzare agende in competizione tra loro e priorità da negoziare, o che sono in standby permanente nella speranza che il loro tempo e la loro presenza diventino alla fine merce di scambio per qualcos’altro. L’aura della presenza inalienata, immediata e preziosa dipende da un’infrastruttura temporale che consiste in calendari fratturati ed economie dell’ ‘appena in tempo’ disfunzionali e al collasso, in cui la gente cerca freneticamente di trovare un senso nelle asincronicità in riverbero costante e nel guasto continuo di tabelle di marcia improvvisate. È “junktime”44[Letteralmente “tempo-spazzatura”, mantenuto in inglese per il riferimento a “Junkspace” di Rem Koolhaas http://www.cavvia.net/junkspace/ (N.d.T.)].
, guasto, kaputt a ogni livello. Il junktime è sfasciato, discontinuo, distratto, e corre su diversi binari paralleli. Se tendi a essere nel posto sbagliato al momento sbagliato, e se addirittura riesci a trovarti in due posti sbagliati nello stesso momento sbagliato, significa che vivi nel junktime. Con il junktime, ogni collegamento causale è disperso. La fine è prima dell’inizio e l’inizio è stato soppresso per violazione di copyright. Tutto ciò che sta nel mezzo è stato barrato a causa di tagli nel budget. Il junktime è la base materiale dell’idea di presenza pura, immediata e infinita.
Il junktime è esausto, interrotto, instupidito dalla Ketamina, dal Pregabalin, dall’immaginario corporativo. Il junktime ha luogo quando l’informazione non è potere ma sofferenza: l’accelerazione è la delusione di ieri, oggi ti trovi già schiantato e in fallimento. Puoi provare a occupare la piazza o la banda larga, ma nel frattempo chi andrà a prendere il bambino a scuola? Il junktime dipende dalla velocità come dalla sua stessa mancanza. È il sostituto del tempo: è un manichino da crash test. Quindi come si relaziona il junktime con il culto della presenza? Questa è una domanda per tutti i filosofi là fuori – e riguarda il titolo di questo testo.
La domanda è: il culto della presenza sta rivitalizzando le idee heideggeriane sul Dasein nell’epoca di Taskrabbit.com55[https://en.wikipedia.org/wiki/TaskRabbit (N.d.T.)].
e degli Amazon Turkers66[https://it.wikipedia.org/wiki/Amazon_Mechanical_Turk (N.d.T.)].
? Il culto di una presenza incarnata e impegnata che non può venire copia-incollata è forse espressione della quantificazione inarrestabile di qualsiasi cosa all’interno delle occupazioni più contemporanee? Non va forse mano nella mano con la conta delle teste attuata dalle istituzioni per provare la loro importanza percepita grazie ai numeri delle presenze mentre raccolgono informazioni e preferenze dei visitatori? Il junktime frammentario delle occupazioni multiple, la necessità di moltiplicare e destreggiarsi tra rottami e brandelli di tempo sta forse creando le condizioni per un ideale kitch di un inalienato, ininterrotto, raggiante, infinito, consapevole e orrendo Anwesenheit77[Per un approfondimento del concetto di ‘Anwesenheit’ in Heidegger (N.d.T.)].
? Se siete d’accordo, suggerirei di intitolare questo testo ‘Il terrore del Dasein totale’. Suona come un film di Christoph Schlingensief all’inizio della sua carriera.
Ma torniamo al tema dello sciopero. In un’economia della presenza, lo sciopero si appropria necessariamente del formato dell’assenza. Ma visto che il tipo di presenza che ho provato a descrivere si compone in realtà di una gamma di gradi di negazione dell’assenza, l’assenza che cerca di opporvisi deve inversamente integrare qualche forma di presenza. Potrebbe aver bisogno di farsi carico di una serie di strategici rifiuti, o di quello che Autonomia Operaia chiamava ‘assenteismo’.
Descriverò una situazione modello molto semplice: uno sciopero potrebbe prendere la forma di un lavoro intitolato ‘L’artista è assente’, in cui c’è solo un portatile su un tavolo con un video in loop dello sguardo pre-registrato dell’artista, o meglio ancora una sua gif animata. È piuttosto banale, ma poi gli spettatori verrebbero, secondo lo stesso criterio, rappresentati da apparati scenografici, perché francamente anche loro non avevano troppo tempo da perdere. O in realtà la soluzione più elegante e, oserei dire, standard, che potete usare per gestire l’economia della presenza, e fare scelte effettive e reali di presenza, è quella di controllare la vostra mail o il newsfeed di Twitter mentre fate finta simultaneamente di ascoltare quello che dico. In questo caso state usando voi stessi, o più precisamente i vostri corpi, come una controfigura, un proxy o un sostituto, mentre in realtà vi prendete cura dei vostri compiti di junktime – attività che ritengo una forma di gestione dell’assenza perfettamente valida. Ritengo che sia anche già in qualche modo una forma di evasione dal terrore del Dasein totale.
Questo piccolo esempio dimostra il ruolo dei proxy e delle controfigure in una situazione nella quale in pratica viene richiesta una presenza multipla in posti diversi simultaneamente, fisicamente impossibile da realizzare: quello è il momento in cui vanno innescate tecniche di evasione, sdoppiamento, abbaglio e sotterfugio. Queste tecniche aprono a una politica del proxy, una politica del rimpiazzo e del diversivo.
Un sostituto o proxy è un dispositivo molto interessante. Potrebbe essere lo sdoppiamento di un corpo o una controfigura. Una scansione o una truffa88[Testo originale: ‘A scan or a scam’ (N.d.T.)].
, un intermediario in un network. Un bot o un diversivo. Carri armati gonfiabili o testi dummy. Un esercito schierato in una proxy war. Un modello. Un readymade. Un bit vettoriale di immaginario in stock. Tutti questi dispositivi hanno una sola cosa in comune: ci aiutano a confrontarci con i classici dilemmi che sorgono da un’economia della presenza.
Ecco un esempio di un dispositivo di questo tipo: è uno degli esempi più semplici di proxy da desktop, ed è piuttosto diffuso. Chiunque ha visto questo modello di testo generico: ‘Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipisicing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore magna aliqua. Ut enim ad minim veniam, quis nostrud exercitation ullamco laboris nisi ut aliquip ex ea commodo consequat. Duis aute irure dolor in reprehenderit in voluptate velit esse cillum dolore eu fugiat nulla pariatur. Excepteur sint occaecat cupidatat non proident, sunt in culpa qui officia deserunt mollit anim id est laborum’.
Sviluppato come un font modello da uno stampatore, il proxy-design Lorem Ipsum è stato integrato nel software standard della pubblicazione come testo dummy random per antonomasia, tanto che è diventato fondamentale nelle industrie digitali che si occupano di testi e nelle loro forme di occupazione da disturbo dell’attenzione.
Perché viene utilizzato Lorem Ipsum? Perché magari non c’è una copia. Forse il testo non è ancora stato scritto o assemblato. O magari non ci sono proprio né tempo né denaro per riempire lo spazio. Forse lo scrittore è morto o è addormentato o è occupato in un’altra finestra. Nel frattempo lo spazio deve venire impaginato, le pubblicità sono già state vendute, la scadenza si avvicina rapidamente. Questo è il momento in cui Lorem Ipsum entra in azione. È un dummy che consente un’ulteriore proroga, soddisfa la richiesta di presenza eterna e senza sosta.
Ma Lorem Ipsum non è solo un dummy. Uno può anche intenderlo come vero e proprio testo. È il frammento di un trattato sull’etica di Cicerone99Derivato dalle sezioni 1.10.32–3 di De finibus bonorum et malorum.
, intitolato ‘De finibus bonorum et malorum’ (Il sommo bene e il sommo male). Nel trattato vengono confrontate le diverse definizioni di bene e di male, e il frammento di Lorem Ipsum si riferisce al dolore, o piuttosto a una versione condensata del dolore, precisamente ‘il dolore in se stesso’.
Concentriamoci sul significato della frase originale. Recita: ‘Neque porro quisquam est qui dolorem ipsum quia dolor sit amet consectetur adipisci velit’. Significa: ‘Non c’è nessuno che ami, ricerchi o desideri il dolore in se stesso in quanto è dolore, ma ci possono essere casi in cui la fatica e il dolore possono procurare anche grandi piaceri’. Quindi in pratica ciò di cui parla è di quando ti fai il mazzo per un grande bene che arriverà solo più avanti. È un classico caso di gratificazione rimandata, che in seguito costituirà uno dei pilastri morali dell’etica del lavoro protestante del capitalismo.
Ma cosa significa esattamente la versione accorciata di Lorem Ipsum? È stata tagliata per togliere la parte della gratificazione del tutto. Tradotta suona: ‘in se stesso in quanto è dolore, ma ci possono essere circostanze in cui la fatica e il dolore possono procurare anche grandi (…)’. La versione Lorem Ipsum ha spensieratamente tagliato del tutto il piacere o la ricompensa dalla frase di Cicerone. Non c’è alcuna gratificazione. Quindi ora non stai sopportando il dolore per qualche bene più grande o futuro, lo stai sopportando e basta, senza sapere esattamente perché. Potrebbe anche non esserci alcun risultato, nessun prodotto, nessun pagamento, nessuna fine. In Lorem Ipsum il dolore non è il mezzo verso un fine, il dolore c’è e basta.
Il junktime, il tempo frammentato dell’occupazione messa in rete, sta al tempo continuativo come Lorem Ipsum sta al testo originale. I suoi frammenti sono disordinati, tagliati, chiusi e confusi nella loro sequenza, il che guasta lo splendore di flusso ininterrotto di testo e significato. Ogni volta che leggo un mucchio mutilato di Lorem Ipsum non posso fare a meno di pensare alla testa e alle mani di Cicerone, tagliate e inchiodate al rostro del Foro Romano dopo il suo omicidio.
C’è un’interessante variazione del Lorem Ipsum sul sito del sexy club gay Berghain Lab.Oratory, che mostra alcune differenze interessanti rispetto al Lorem Ipsum standard. Prima di tutto, è scritto nel sito delle regole di condotta del club, così che la frase di Lorem Ipsum diventa effettivamente un codice di comportamento1010http://www.lab-oratory.de/ Questa è la traduzione: ‘in se stesso in quanto è dolore, ma ci possono essere casi in cui la fatica e il dolore possono procurare anche grandi piaceri. Per fare un esempio triviale, chi di noi si sottoponga a un esercizio fisico intenso. In se stesso in quanto è dolore, ma ci possono essere casi in cui la fatica e il dolore possono procurare anche grandi piaceri. Per fare un esempio triviale, chi di noi si sottoponga a un esercizio fisico intenso, in se stesso in quanto è dolore, ma ci possono essere casi in cui la fatica e il dolore possono procurare anche grandi piaceri. Per fare un esempio triviale, chi di noi si sottoponga a un esercizio fisico intenso, in se stesso in quanto è dolore, ma ci possono essere casi in cui la fatica e il dolore possono procurare anche grandi piaceri. Per fare un esempio triviale, chi di noi si sottoponga a un esercizio fisico intenso’. Grazie a Paul Feigelfeld per essere riuscito a tradurre effettivamente questo casino e a Mikk Madisson per avermelo fatto notare.
. Ci sono poi alcune differenze rispetto al mash-up di Cicerone. La parola piacere, o una variazione della stessa, è stata reintrodotta in questa versione. Il testo finisce anche con l’esaltare le virtù dell’esercizio fisico, il che ha decisamente senso in un posto che sta offrendo un atletico fetish party. Questa versione ripete in loop dolore e fatica come piacere e come esercizio fisico o sport. Le regole di condotta del sexy club diventano un set di istruzioni che suona estremamente stressante, in cui la ricerca del piacere, la fatica e l’esercizio fisico formano un loop senza fine: devi trovare il piacere attraverso la fatica, poi devi allenarti e anche avere sesso, il tutto in quest’ordine e senza alcuna pausa. Poi ripeti. Suona come la versione-junktime della famosa battuta di Churchill: se stai attraversando l’inferno, allora continua a camminare. Solo che ora non c’è più un’uscita e se continui a camminare significa solo che ci sarà altro inferno davanti a te.
Ma il set di regole di impegno del Lorem Ipsum potrebbe anche venire letto diversamente. Nel senso che il mix di piacere, sport e dolore è così stancante che uno potrebbe piuttosto mandare un proxy o un dummy o il Lorem Ipsum stesso al suo posto a fare sesso, provare dolore, faticare duro e fare sport. Perché, francamente, andare avanti secondo questa modalità è uno spreco di tempo eccessivo, e in più potrebbe essere un po’ scomodo controllare le mail mentre lo fai. Quindi lascia a Lorem Ipsum il compito di occuparsene al posto tuo e organizza il tuo assenteismo.
Forse la nostra preoccupazione con il footage in stock, la fotografia di merci serializzata in stock, qualsiasi tipo di modello standardizzato per il lavoro creativo, il copia e incolla, l’aggregazione ma anche la fascinazione con l’estetica corporativa e la corporazione come proxy potrebbero venire viste come una risposta potenziale al bisogno di essere assenti. Tutti questi sono proxy che uno può usare al posto di se stesso o del suo lavoro. Possiamo considerare ciò come una sorta di assenteismo applicato? Un boicottaggio furtivo della presenza costante? Usare footage e modelli in stock è un po’ l’equivalente di dire periodicamente ‘fantastico’ per fare finta di star ascoltando una conversazione seccante, mentre uno ha lasciato cartonati raffiguranti se stesso in giro, per fingere la partecipazione e la presenza in una serie di posti diversi.
Il punto è: la gente usa i proxy per poter convivere con il Terrore del Dasein Totale o con un’economia della presenza basata sulla scarsità, tecnologicamente amplificata, di attenzione e presenza fisica umane. Perfino l’organizzatore dello sciopero Djordjevic cominciò a portare avanti una forma di politica proxy dopo che il suo sciopero dell’arte fallì: infatti smise di fare arte sotto il suo nome. Anni dopo riemerse come assistente tecnico di un certo tour di lezioni di Walter Benjamin, e da allora fino a oggi ha praticamente fatto da suo rappresentante. Se Benjamin stesso sia in sciopero o meno a sua volta tuttavia ancora non è dato a sapersi.
Questo testo è apparso originariamente su DIS Magazine.
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Hito Steyerl è tra gli artisti e teorici più attivi della contemporaneità e le sue riflessioni sulla possibilità di pensiero critico nell’era digitale hanno influenzato il lavoro di numerosi artisti. Ha rappresentato la Germania, nel 2015, alla 56. Biennale di Venezia. La sua ricerca si concentra sul ruolo dei media, della tecnologia e della circolazione delle immagini nell’era della globalizzazione. Sconfinando dal cinema all’arte visiva, l’artista realizza installazioni in cui la produzione filmica è associata alla costruzione di ambienti immersivi e stranianti.
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