Marcel Broodthaers – Musée d’Art Moderne – Département des Aigles – Brussels – 1968.
«Il futuro dei musei pubblici, luoghi in grado di rappresentare gli interessi del 99% piuttosto che consolidare i privilegi dei privati, non è mai sembrato più triste».
Questa è una delle riflessioni da cui parte Claire Bishop nel 2013 con “Radical Museology”.11C. Bishop, Radical Museology, or, What’s Contemporary in Museums of Contemporary Art?, Koening Books, 2013.
Il riposizionamento del museo all’interno del sistema sociale è un argomento ciclico e costante perché, a differenza delle altre istituzioni culturali che si occupano di conservazione del sapere – le biblioteche, ad esempio –, il museo si trova a dover ripensare continuamente al linguaggio attraverso cui comunica al pubblico. Pertanto ri-allestimenti, display e politiche di acquisizione devono costantemente evolversi in parallelo alla percezione del mondo che il senso comune costruisce, poiché «il museo è uno specchio gigantesco nel quale l’uomo osserva se stesso, in sintesi, in ogni suo aspetto».22G. Bataille, Museum, in G. Bataille, I. Walberg, R. Lebel (eds.), Encyclopedia Acephalica: Comprising the Critical Dictionary and Related Texts, White Atlas Press, London 1995, p.64.
Le considerazioni che riguardano il rapporto tra istituzioni museali e ‘poteri forti’ provengono dalle considerazioni sul museo e sulla sua funzione sociale e politica articolate da Michel Foucault negli anni ’70.33Cf. M. Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, Milano 1998 [ed. or. 1970]; e M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1993 (ed. or. 1977).
Secondo Foucault, il museo rappresenta il prototipo ideale di un’istituzione di impronta illuminista, in cui è possibile riscontrare la tendenza a totalizzare, categorizzare, allineare e controllare il mondo della conoscenza e della divulgazione, nella convinzione che esistano una sola modalità e un solo tipo di conoscenza. Tuttavia, per Foucault il museo non è soltanto esemplare illuministico da intendere come ‘era storica’ o attitudine soggettiva nell’interpretare il mondo e la società, ma rappresenta anche un’«eterotopia», vale a dire «uno spazio con la peculiare caratteristica di essere connesso a tutti gli altri spazi ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano».44M. Foucault, Eterotopia, in Eterotopia. Luoghi e non luoghi metropolitani, Mimesis, Milano 1994, p. 13.
È in quest’ottica che il concetto di museo può far parte del processo di sviluppo e progresso, intesi questi ultimi non come avanzamento di una ‘storia unitaria’, o connessi al raggiungimento di obiettivi specifici o ideali, ma più legati a un’idea di crescente resistenza all’establishment politico dei ‘sistemi forti’. È dunque in quest’ottica che il museo va considerato come documentazione di un pensiero aperto alla complessità, come uno spazio dialogico di comprensione ed elaborazione di consapevolezza non solo culturale, ma anche sociale.
Marcel Broodthaers – Musée d’Art Moderne – Département des Aigles – Brussels – 1968.
Bishop, invece, in Radical Museology analizza il rapporto tra le strategie museali e l’attuale contesto politico-economico, avanzando l’idea che, all’interno dei musei, ‘contemporanea’ debba essere la metodologia di gestione e concezione dell’istituzione. In tal senso, il termine ‘contemporaneo’ non si può riferire unicamente alla periodizzazione delle opere d’arte conservate all’interno di un edificio, poiché tale categorizzazione risulterebbe oggi poco utile e incapace di considerare e accogliere la diversità. Il concetto di contemporaneità va pertanto ripensato in termini più complessi, facendo riferimento a quando i musei d’arte moderna – così come siamo abituati a pensarli – si sono affermati, ossia in piena fase modernista. Boris Groys considera il modernismo come caratterizzato dal desiderio di superamento del presente, in virtù della realizzazione di un futuro migliore. Per contrasto, la contemporaneità, appare segnata da un senso di indugio prolungato che tende verso l’infinito, da una sorta di ‘staticità in loop’, potremmo definirla.
Marcel Broodthaers – Musée d’Art Moderne – Département des Aigles – Brussels – 1968.
Esaminando tre casi studio (il Van Abbemuseum, il Museo Nacional de Reina Sofía e il MSUM Ljubjana), Bishop non solo intende far risaltare un nuovo approccio alla temporalità che emerge particolarmente dal ri-allestimento delle collezioni, ma sottolinea come un’attenzione rivolta alle urgenze sociali e politiche delle singole aree geografiche sia la chiave per aprire un canale diretto con il pubblico, creando delle programmazioni convincenti e soprattutto economicamente più sostenibili.
Oggi è importante che le istituzioni museali sperimentino nuove possibili direzioni. Il loro riposizionamento all’interno di un sistema complesso d’interazione e dialogo con il pubblico è necessario, poiché si trovano in uno scenario sociale, politico ed economico ormai mutato. Gli stimoli della nostra contemporaneità ci fanno riflettere su una possibile tipologia di museo che consenta la costruzione, conservazione e comunicazione del sapere (identificato con gli oggetti d’arte) e la formazione di un’identità specifica legata al territorio. Una sorta di organismo che produca e consumi contenuti, fondato sui valori della diversità e dell’unicità, dunque con una visione in netto contrasto con gli attuali valori di normalizzazione sottesi alla logica del trend, che – specialmente negli ultimi 30 anni – hanno fortemente contribuito a formare l’idea del cosiddetto “Global Museum”.55Cf. The Idea of the Global Museum, conferenza all’Hamburger Bahnhof – Museum für Gegenwart – Berlin, 2-3 Dicembre 2016.
Con tale espressione si intende un insieme non organizzato di istituzioni nelle quali tuttavia sembrano ricorrere medesimi contenuti e acquisizioni, riflesso di un sistema dell’arte globalizzato non interessato ai diversi contesti sociali e background culturali. Tuttavia, proprio i musei non dovrebbero fare a meno di questi due aspetti, poiché il trascurarli rischierebbe di accrescere le distanze tra pubblico e istituzione. E così avviene, tant’è che in molti casi i musei d’arte moderna e soprattutto contemporanea si trovano a essere relegati a ‘prodotto di nicchia’. Per un museo d’arte contemporanea, le strategie globali (o forse sarebbe meglio dire ‘globalizzate’) rischiano di essere pericolose, perché non tengono conto della dimensione locale e del ruolo che il museo ricopre per la comunità.
Premesso che il museo è un’istituzione pubblica con un profondo legame con il territorio e dedita alla conservazione e comunicazione di un patrimonio culturale, è importante capire quale sia il rapporto che intercorre tra museologia e globalizzazione. In The Future of Museum, Beatrix Ruf, direttrice dello Stedelijk Museum di Amsterdam, scrive: «I musei enciclopedici sono sempre stati globalizzati e interculturali. La Tate, il Guggenheim, il Metropolitan Museum, il MoMA attualmente si stanno interrogando su come queste grandissime collezioni devono essere potenziate in un mondo globalizzato, sollevando una moltitudine di dibattiti molto interessanti. Alcune istituzioni stanno ragionando su come includere reperti archeologici e storici provenienti dal loro territorio, altri invece stanno intraprendendo la direzione opposta, spinti dalla volontà di includere all’interno delle loro collezioni oggetti da ogni parte del mondo. Dobbiamo sempre guardare alle singole storie di ogni specifico museo… Non tutti i musei hanno bisogno di collezionare in modo globale. Bisognerebbe guardare più attentamente ciò che è già all’interno delle diverse collezioni e a quali dialoghi sono contenuti al loro interno. Modernismo e colonialismo sembrano essere temi chiave nella ricerca di correlazioni tra diverse culture». La posizione di Ruf in merito alla questione è dunque piuttosto moderata, poiché prima di poterne attuare le strategie di organizzazione e comunicazione, ciascun museo va considerato come un caso specifico a sé da analizzare, senza pertanto estendere aprioristicamente a tutti i musei l’idea del Global Museum. Ruf conclude infatti affermando: «Credo che bisogni alterare il dialogo, invece di pensare alla presenza fisica di un mondo dell’arte globalizzato all’interno delle collezioni. Non è necessario possedere il mondo per poterci entrare in dialogo».
Marcel Broodthaers – Musée d’Art Moderne – Département des Aigles – Brussels – 1968.