«Ma per intraprendere la lotta dobbiamo conoscere il futuro.
È per questo motivo che ti trovi qui».11«But in order to wage the struggle we must know that future. And it is for the sake of such knowledge that you are here». Alexander Bogdanov, Red Star: The First Bolshevik Utopia, Indiana University Press, Bloomington and Indianapolis, 1984.
(Aleksander Bogdanov, La stella rossa)
Lotta, futuro, conoscenza, presenza: parole e concetti che la marziana Netti comunica all’umano Leonid tra le pagine del racconto di fantascienza La stella rossa, trasmettendo il desiderio di rinnovamento su cui poggiavano le istanze pre-rivoluzionarie nella Russia del XX secolo. Pubblicato nel 1908 nell’allora Pietrogrado, La stella rossa è stato il primo racconto in Russia a unire il genere fantascientifico alle teorie marxiste, riuscendo a riscuotere un grandissimo successo. La storia narra del viaggio interstellare con destinazione Marte intrapreso dal bolscevico Leonid assieme al marziano Menni: durante la permanenza sul pianeta, il rivoluzionario scopre una società egualitaria organizzata su attività lavorative intercambiabili svolte su base volontaria, in cui è possibile amare più persone, perché in ogni suo aspetto la realtà marziana rappresenta il compimento del socialismo. Ne risulta un modello da stimare e riprodurre sulla Terra agli occhi di Leonid, ritratto letterario di Lenin, allora leader bolscevico e di cui era grande ammiratore l’autore del racconto, Aleksander Bogdanov. Fervente cosmista, fondatore a sua volta del bolscevismo, pensatore, filosofo e medico, Bogdanov ha praticato la trasfusione di sangue intravedendovi la via per raggiungere l’immortalità dei corpi, fino a che una rara malattia contratta durante un ciclo di trattamento lo ha portato alla morte, rendendo immortale solo la sua storia.
Come altre futurologie, il cosmismo ha attraversato l’intero secolo appianando, secondo uno sguardo attuale e specificamente modulato su tale filosofia, molte delle divergenze che hanno caratterizzato importanti segmenti della storia russa: come ho precedentemente descritto, l’escatologia laica del sogno comunista si legava infatti alla filosofia cosmista della seconda metà del XIX secolo, con cui condivideva il desiderio di costruire una nuova società caratterizzata da fondamenta scientifiche e da valori universali ed egualitari, individuando il cosmo quale obiettivo essenziale per riuscirvi. Ma che cosa è cambiato con il 1989 e il crollo dell’Unione Sovietica?
Molti e profondi cambiamenti hanno segnato la società russa post-comunista – il ritorno alla proprietà privata, la nascita dell’oligarchia, un’ancora più forte divaricazione tra centro e periferia, la graduale perdita di importanza dell’industria aerospaziale. Su quest’ultimo punto, risulta rappresentativo persino il meme apparso sul web il 12 aprile del 2015, giorno in cui coincidevano la celebrazione della Pasqua ortodossa e la giornata internazionale dello spazio. Sopra il volto di Yuri Gagarin sul tradizionale kulich, il pane dolce russo che si cucina per tale festività, e tre uova di Pasqua confezionate con immagini dalla stazione spaziale internazionale, vi era la scritta «Buona Pasquanautica», che ironizzava sulla copertura mediatica data principalmente alla ricorrenza religiosa.22Cf. S. Raspopina, Cult of the cosmic, «The Calvert Journal».
Nonostante tutto, nella cultura russa degli ultimi anni permane l’idea di progettazione del futuro, di un puro utopismo che si spinge al di là del crollo delle certezze seguito alla fine del sogno socialista e che non si è fatto scalfire nemmeno dal capitalismo, e piuttosto si ripropone con costanza oltrepassando le contingenze socio-politiche.
Sia nel mondo intellettuale che artistico i riferimenti al comunismo e al cosmismo sono innumerevoli. Nel 2005 Boris Groys ha affidato all’introduzione del saggio Post-scriptum comunista la sua teoria secondo cui il comunismo è destinato a tornare in futuro, fosse anche tra millenni, in quanto è il sistema socio-economico migliore tra quelli esistenti. Una prospettiva che, come ricorda lo stesso studioso di estetica, si è già verificata nel caso della democrazia, apparsa nella sua forma più sanguinaria nell’antica Grecia e riapparsa in forme nuove duemila anni dopo. Al di là della possibilità che questa ipotesi diventi realtà, si evince dal discorso di Groys una fortissima fiducia nel comunismo marxista che, accompagnata a una ferma critica alla società sovietica, si traduce in una visione del presente fortemente ancorata al futuro, cioè in un utopismo di sfondo socio-politico che nemmeno il crollo dell’Urss è riuscito a demolire.33B. Groys, The Communist Postscript, Verso Books, Londra 2010.
Anche nel caso del cosmismo, un importante ruolo nella sua diffusione è stato ricoperto da Boris Groys assieme e Michael Hagemeister, autori dell’antologia Die neue Menschheit: biopolitische Utopien in Russland zu Beginn des 20. Jahrhunderts, pubblicata nel 2005 in lingua tedesca. Sebbene Hagemeister abbia condotto ricerche diversi anni prima, confluite in una tesi dottorale su Fëdorov, è presumibilmente a Groys che si può attribuire la divulgazione delle teorie cosmiste nella cerchia di artisti russi, con i quali ha contatti duraturi, costanti e diretti, per interesse di studio, progetti curatoriali e artistici. La sua impronta sull’arte russa contemporanea meriterebbe uno studio a parte: dopo essersi occupato dei fenomeni artistici negli anni Settanta e aver scritto importanti testi per l’epoca, Groys ha partecipato in sporadici casi direttamente come artista, in aggiunta alla nota veste di studioso di estetica e curatore di progetti espositivi. Oltre a essere stato un tramite per Anton Vidokle, con cui Groys realizza da tempo progetti curatoriali sul cosmismo, ha senza dubbio creato un dialogo con l’artista Arseny Zhilyaev, la cui produzione artistica è certamente congiunta allo studio e recupero della cultura russa e delle teorie del cosmismo.
Nello specifico, Zhilyaev è interessato alle teorie sulle funzioni della museologia e dell’arte nella costruzione della società ideale, sviluppate in primis dal fondatore del cosmismo, Nikolaj Fëdorov. Nei suoi scritti, il filosofo ha sostenuto la centralità del museo d’arte in quanto mezzo fondamentale per lo sviluppo sociale e umano, individuandone sì il ruolo attivo nella realizzazione del progetto cosmista di resurrezione dei morti, ma ritenendolo anche apice conclusivo dell’espressione umana, vale a dire manifestazione dello stadio di superamento di tutti i limiti – naturali, economici, politici – imposti all’uomo. Per Fëdorov il museo era il luogo in cui conservare gli oggetti appartenuti a ogni essere vivente perché, reputati detentori della memoria e della personalità del defunto, sarebbero stati essenziali nel momento della sua resurrezione. Partita dal cosmismo, la riflessione di Zhilyaev si è allargata allo studio delle teorie museologiche che hanno influenzato il dibattito sull’arte in epoca rivoluzionaria. Nel 2015 ha pubblicato con la casa editrice Sternberg Press il volume Avant-Garde Museology, una raccolta antologica di testi scritti tra gli anni Ottanta del XIX secolo e il 1935 da altri autori, selezionati in quanto di interesse per la museologia russa. Nel libro sono stati inseriti, tra gli altri, i testi di Nikolaj Fëdorov, Pavel Florenskij, Aleksandr Bogdanov, Kasimir Malevič, Osip Brik, Aleksandr Rodčenko e Aleksej Fëdorov-Davydov, alcuni dei quali tradotti dal russo per la prima volta. Appare chiara quindi la volontà di divulgare a livello internazionale una ricerca che Zhilyaev, gli altri editor del volume, Julieta Aranda, Brian Kuan Wood e Anton Vidokle di «e-flux», e la V-a-c foundation di Mosca intendono esportare fuori dai confini russi.
Il volume è tuttavia successivo ad altre pubblicazioni di livello internazionale dedicate al cosmismo, tra cui The Russian Cosmists: The Esoteric Futurism of Nikolai Fedorov and His Followers (2012) di George M. Young, studioso di questa filosofia già da decenni, e A Cosmist Manifesto: Practical Philosophy for the Posthuman Age (2010) di Ben Goertzel; due opere interessate tuttavia ad approfondire le implicazioni più mistico-religiose, futurologiche e tecnologiche del cosmismo.44Cf. M. Simakova, No man’s space: on russian cosmism, «e-flux journal», 74, june 2016.
Sempre nel 2015 Zhilyaev ha presentato a Venezia Cradle of Humankind (‘La culla dell’umanità’) presso Ca’ Tre Oci come parte di Future Histories, esposizione realizzata con Mark Dion in concomitanza con la Biennale di arti visive. Concepita come un immaginario museo del futuro, l’intervento di Zhilyaev presentava un chiarissimo riferimento al cosmismo, così come reso evidente dal titolo scelto. Cradle of Humankind è infatti una palese citazione della frase «Terra – la culla dell’umanità, ma non si può vivere per sempre in una culla», attribuita allo scienziato e cosmista Konstantin Ciolkovskij55Ciolkovskij è stato un importante ingegnere e scienziato russo. Per aver progettato la prima navicella spaziale negli anni Ottanta del XIX secolo, è considerato pioniere dell’astronautica. I suoi studi sulla necessità di raggiungere altri pianeti erano connessi al progetto cosmista dell’immortalità e resurrezione dei morti.
, ideatore della prima navicella spaziale. Zhilyaev presentava la possibile configurazione di un museo dell’umanità, che in un futuro lontano dovrebbe sostituire definitivamente la Terra così come noi la conosciamo. Secondo le teorie cosmiste, la moltitudine di oggetti da raccogliere e collezionare in vista della resurrezione laica di tutte le persone che hanno vissuto sulla Terra, darebbe infatti vita a una serie di musei della civiltà umana in cui verrebbero conservati esemplari e oggetti di tutte le epoche, a partire dal Big Bang.66Cf. A. Zhilyaev, Cradle of Humankind, Zhilyaev’website.
«Mi piacerebbe inoltre imbattermi nel Big Bang; credo che sia un museo ideale perché hai tutte le epoche espresse simultaneamente in un unico spazio e momento. Tutte le rappresentazioni museologiche e le installazioni d’arte affiorano forse da un tentativo inconscio di ripeterlo».77«I would also like to encounter the Big Bang itself; I guess it is an ideal museum because you have all times simultaneously expressed in one space and moment. It is maybe out of an unconscious attempt to repeat this that all museological representations and art installations emerge». Cf. E. Hall, Cosmos, the time before time and the work of Arseny Zhilyaev, Liverpool Biennial site, 5 oct 2016.
In mostra erano quindi presentate opere con la funzione di rappresentare elementi chiave della cultura dell’umanità, come una preistorica navicella spaziale sferica geodetica e di colore oro, decorata con motivi che si riferiscono invece al padiglione realizzato dall’architetto, filosofo, designer, scrittore e conduttore televisivo Buckminster Fuller per l’esposizione nazionale americana tenutasi al parco Sokolniki di Mosca nel 1959. Secondo quanto dichiarato da Zhilyaev, la citazione si basa sul fatto che il progetto dello statunitense rappresentava uno sviluppo personale e indipendente della dottrina del cosmismo, capace inoltre di esercitare una certa influenza sugli artisti cinetici russi, interessati a perseguire aspetti della filosofia russa.88Cf. A. Zhilyaev, Cradle of Humankind, Zhilyaev’website.
Numerosi riferimenti alla propria cultura e al mito sovietico dello spazio emergono in Cradle of Humankind, che si struttura in diverse stanze poste in connessione da un tema principale. Ogni spazio ospita opere colme di richiami a eventi e vicende. A una scultura dalle fattezze umane, sdraiata, colorata d’oro e recante il titolo Yuri Gagarin – il primo astronauta ad aver volato nello spazio – seguono riferimenti al Quadrato Nero di Malevič, alla navicella Voskhod-2 di Alexey Leonov, che condusse attività extra-veicolari nello spazio e che dipinse immagini dello spazio profondo. Infine il ritratto di Laika – il primo cane ad aver compiuto un viaggio nell’orbita della Terra –, riferimenti al gruppo di artisti avanguardisti Amaravella e, ovviamente, a Ciolkovskij.
In questa volontaria e filologicamente libera sovrapposizione di riferimenti culturali così tipica dei suoi progetti artistici, Zhilyaev colloca il principio costitutivo del museo e dell’atto creativo come momento chiave che, nella sovrapposizione di dati, evidenzia l’inesattezza del concetto lineare di spazio-tempo. La collezione assume il valore di conservazione, in parte legato al concetto di memoria sia individuale sia collettiva, eppure si risolve anche in un’accumulazione di dati che, al di là di ogni riferimento culturale possibile, può apparire come un blob denso di informazioni, una somma che si trasfigura nel tentativo di superare l’oblio e, in ultima istanza, persino la morte stessa dei corpi. La ricerca dell’immortalità desunta dal cosmismo, nella sua produzione artistica di Zhilyaev, appare trasposta proprio nella ricerca dei dati, nell’assemblaggio degli stessi in nuove forme e nella creazione di network di senso, azioni che rivendicano la legittimità dell’atto creativo nel montaggio degli elementi, da cui traspare il desiderio di immortalità perlomeno autoriale. Sebbene negli ultimi anni si siano intensificati gli studi e i progetti per il raggiungimento dell’immortalità, tra criogenia e simili, secondo Zhilyaev i progetti di natura scientifica trattano l’immortalità considerando la popolazione mondiale alla stregua di un cliente. Differentemente la sua ricerca si pone ancora un obiettivo tipico del cosmismo, ovvero quello dello ‘scopo comune’, una definizione che cita senza intermediazione La filosofia della cosa comune (1913), opera summa delle teorie cosmiste di Fëdorov compilata dai suoi seguaci dopo la morte del filosofo.99Cf. B. Vickers, A fresh start in space, «Flashart online», nov-dec 2015.
Nella produzione di Zhilyaev il coinvolgimento con il cosmismo sembra tradursi precipuamente nello studio e nel recupero di storie meno note, nell’impostare connessioni inedite e quindi nel fornire nuovi approfondimenti sul tema, se non persino possibili interpretazioni del fenomeno e della sua applicazione contemporanea. Diversamente, lo sfondo utilitaristico che sottostà alla ricerca cosmista sembra non essere presente. Prendendo per esempio il tema dell’immortalità, l’opera d’arte non assume un ruolo specifico e concreto nel raggiungimento di questo ideale, come invece appare esistere nella teoria e nella pratica del lavoro di Anton Vidokle.
«Ciò non significa che Zhilyaev mantenga una posizione neutrale nelle lotte ideologiche, politiche e artistiche del suo tempo. Per lui, così come per tutti noi, la differenza tra l’artista performativo nel Cremlino e gli artisti performativi condannati a scontare diversi anni ai lavori forzati è ovviamente abbastanza. Piuttosto, confrontando con la tipica scelta contemporanea tra diventare un eroe mediatico imitando un meteorite o facendo lo spettatore analitico dei meccanismi e delle strategie del successo mediatico, Zhilyaev sceglie la seconda opzione. Descrive le condizioni discorsive e mediatiche del diventare un meteorite piuttosto che provare a diventarne uno».1010«That does not mean that Zhilyaev holds a neutral position in the ideological, political and artistic struggles of his time. For him, as for all of us, the difference between the performance artist in the Kremlin and performance artists sentenced to spend several years in Russian labor camps is obvious enough. Rather, being confronted with the typical contemporary choice between becoming a media hero by imitating a meteorite or acting as an analytical spectator of the mechanisms and strategies of media success, Zhilyaev chooses the second option. He describes the discursive and media conditions of becoming a meteorite instead of trying to become one. Among its other aspects, his Museum of Russian History offers a persuasive explanation of this personal choice made by its author» B. Groys, Becoming a Meteorite, Arseny Zhilyaev’s website.
L’apporto principale della sua ricerca è quindi l’analisi ‘distaccata da osservatore’ delle modalità attraverso cui è possibile recuperare il cosmismo oggi, offrendo riferimenti e collegamenti scoperti tramite indagini tra il filologico e l’originale. La personalità che ne traspare è di un ibrido tra lo studioso e l’ingenuo: «Senza ingenuità non possiamo fare niente, perciò credo che dovremmo essere persone naif».1111«Without naivety we cannot do anything, so we should be naive persons I think» (cf. B. Vickers, A fresh start in space, «Flashart online», nov-dec 2015).
«In un’intervista realizzata tra Zhilyaev e Vidokle, il primo chiede al secondo “Per me una delle domande più intriganti per l’artista contemporaneo che lavora con il cosmismo russo, o uno che è interessato a raggiungere una condizione non umana nell’arte è: Vuoi veramente essere immortale? Perché per me, come evento conscio, la morte è uno dei punti più cruciali dell’umanità. Puoi immaginarti la tua vita artistica senza morte o invecchiamento1212«For me one of the most intriguing questions for the contemporary artist who works with Russian Cosmism, or one who has an interest in reaching a non-human condition in art, is: Do you personally want to be immortal? Because for me, as a conscious event, death is one of the most crucial points of humanity. Can you personally imagine your artistic life without death or aging at all?» (cf. A. Vidokle, A. Zhilyaev, Are we human?, «Superhumanity»).
?”».
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Alessandra Franetovich è laureata in Storia dell'arte all'Università di Pisa, ha studiato e svolto ricerca presso la Freie Universität di Berlino e la Universidad Autonoma di Madrid. Si occupa di arte contemporanea, in particolare di concettualismo moscovita, arte sovietica non conforme e post-sovietica. Nel ruolo di assistente curatoriale ha collaborato con il Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea e il Centro Luigi Pecci per l'Arte Contemporanea, come curatrice indipendente ha curato mostre e collaborato con gallerie d'arte e spazi no profit.
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