Tra il 22 e il 25 agosto 2024 si è svolta la quarta edizione di Opera Festival, il “festival musicale più alto della Sicilia”, ospitata dal comune etneo Milo. Nato nel 2021, il festival ha continuato la sua evoluzione con significativi cambiamenti per l’edizione 2024, tra cui l’introduzione di una nuova location: un terreno recentemente riqualificato in seguito agli incendi che hanno colpito la Sicilia orientale nell’estate del 2023. Questa nuova area, denominata “Ballroom”, è stata destinata alle principali attività musicali notturne, ospitando artisti come Carl H., il collettivo berlinese Satelliet Studio, Nosedrip e Interstellar Funk.
Pur modificando il contesto, il festival ha preservato alcuni elementi distintivi, tra cui il suo consueto appuntamento all’alba, l’Etna Morning. Questa edizione si è svolta nei vigneti della zona e ha ospitato la performance dell’artista Laila Sakini. Parallelamente, Opera Festival ha ampliato il proprio orizzonte includendo una dimensione culturale e multimediale. Tra le novità, un’area collaterale separata dagli stage musicali ha ospitato presentazioni di libri, workshop e talk, con la presenza di un bookshop che ha proposto una selezione di editori indipendenti e progetti editoriali. Tra questi, CESURA PUBLISH, Istituto Sicilia, Agenzia X, Palermo Publishing, e altre realtà come Sali e Tabacchi, t-mag, Suq, oltre alla storica Legatoria Prampolini di Catania.
Tra gli eventi di rilievo, spicca l’incontro con Davide Coppo, in dialogo con Mara Russo, ispirato all’opera d’esordio di Coppo, La parte sbagliata. L’incontro ha offerto un’occasione di riflessione su temi attuali, quali la diffusione del neofascismo contemporaneo in Italia e i meccanismi che ne favoriscono il radicamento. Si è analizzato come questi movimenti siano capaci di esercitare un’influenza culturale sfruttando vulnerabilità sociali, con un’attenzione particolare alla capacità di attrazione esercitata su giovani e individui marginalizzati.
Il percorso narrativo di Ettore, protagonista del romanzo, ha rappresentato un punto di partenza per indagare le dinamiche sociali e culturali che permettono la persistenza di ideologie estremiste. Ambientato nella Milano dei primi anni 2000, il romanzo di Coppo offre uno sguardo critico sulle modalità con cui il “folklore nero” continua ad affascinare una parte della società, evidenziando la relazione tra l’attrattiva esercitata da simboli e miti distorti e il contesto sociale che ne facilita la proliferazione.
L’incontro si è concluso con una riflessione sulle possibili strategie per contrastare il rafforzamento degli estremismi. È emersa l’importanza di affrontare questi temi senza pregiudizi, analizzando a fondo le condizioni sociali, culturali ed economiche che ne costituiscono le fondamenta. Tra le strategie discusse, è stato sottolineato il valore della conoscenza e della consapevolezza: l’analisi critica e il ridimensionamento simbolico possono contribuire a indebolire l’attrattiva esercitata da tali movimenti, privandoli della loro carica evocativa. Questo approccio, combinato con politiche inclusive, può favorire la costruzione di una società resiliente, in grado di contrastare l’ascesa di ideologie estremiste.
A seguire un estratto dell’incontro.
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Mara Russo: Buon pomeriggio a tutti, io sono Mara e vi presento Davide, giornalista che ha lavorato per diverse realtà editoriali, tra cui «Rivista Studio», un magazine di lifestyle e cultura generale. Oggi, però, è qui come autore di un libro pubblicato questa primavera, La parte sbagliata, che introdurrò brevemente prima di lasciargli la parola.
Ho voluto includere questo libro nell’Area Talk perché lo considero pienamente coerente con il progetto della biblioteca che stiamo curando insieme a Opera, FireStudio e l’Associazione Musiculture. Questo progetto ha l’obiettivo di rivalorizzare l’archivio della biblioteca di Milo, chiusa fino a pochi anni fa. Sentivamo il bisogno di dedicare spazio ai libri. Da parte mia, ho sempre sfruttato i momenti in cui mi trovo a curare qualcosa per Opera come occasione di ricerca personale. Quando Davide ha pubblicato questo libro, l’ho percepito come un faro di speranza e al contempo di innovazione, per il modo in cui esplora la formazione culturale di un ragazzo che, a causa di una combinazione di condizionamenti sociali e vicende apparentemente semplici, finisce per unirsi a un movimento di estrema destra.
Lascio quindi la parola a Davide. Vorrei iniziare chiedendoti: perché hai deciso di scrivere questo libro proprio ora, in questo momento della tua vita, e non in un altro?
Davide Coppo: Grazie mille, buon pomeriggio. La parte sbagliata racconta la storia di un ragazzino che, dai 14 ai 18 anni, negli anni tra il 2001 e il 2006-2007, sceglie consapevolmente di frequentare un gruppo che potremmo definire neofascista o postfascista. Si tratta di un estremismo che oggi conosciamo bene: ha una faccia al governo e un’altra, più estrema e sfacciata, nei movimenti giovanili.
Perché è uscito adesso? Il libro nasce da un’esperienza autobiografica che, pur non essendo estrema come quella vissuta dal protagonista del romanzo, trae spunto da un periodo della mia adolescenza. La storia si apre con il protagonista agli arresti domiciliari, da cui prende avvio un lungo flashback. Personalmente, nei primi anni di liceo, mi sono ritrovato quasi per caso, e poi con una certa convinzione, a frequentare ambienti di estrema destra. Era l’inizio degli anni 2000, un periodo che per me si è concluso grazie a una sorta di “illuminazione”, senza la quale probabilmente oggi non sarei qui.
Il libro è un’opera di finzione: i fatti, i personaggi, le motivazioni ideologiche sono inventati. Tuttavia, molte delle sensazioni e delle dinamiche descritte si rifanno a ricordi di quella fase della mia adolescenza. La decisione di pubblicarlo ora è legata al fatto che, per molto tempo, avevo messo a tacere questa parte del mio passato per vergogna, una vergogna che ancora non riesco a superare del tutto. Tuttavia, gli eventi degli ultimi anni in Italia e in Europa hanno riportato a galla quei ricordi, spingendomi a fare i conti con quella storia.
Un nodo centrale per me è una domanda che mi pongo spesso e a cui non trovo risposta: “Cosa sarebbe stata la mia vita se non me ne fossi allontanato?”. È un pensiero che mi spaventa e che ho provato a esplorare attraverso il protagonista del romanzo. In qualche modo, Ettore rappresenta ciò che ero a quell’età e ciò che avrei potuto diventare.
Mara Russo: Vorrei collegarmi con un commento. Ho letto molti dei tuoi articoli su «Rivista Studio» e ho sempre apprezzato il tuo stile critico, deciso e tagliente. Nel libro, invece, emerge una delicatezza narrativa che colpisce. È un’opera empatica, capace di affrontare un tema complesso e multisfaccettato senza ridurlo ai minimi termini. Il fenomeno descritto, infatti, non si riduce a un fatto esclusivamente politico: è sociale, umano, comunitario.
Attraverso le riflessioni di Ettore, il lettore entra nella mente di un giovane ragazzo, cogliendo quanto sia facile perdersi in certe dinamiche. Ho segnato una frase in cui Ettore spiega di aver iniziato a frequentare quell’ambiente perché gli sembrava meno crudele rispetto al mondo del liceo, un luogo che, per alcuni, può essere socialmente difficile da affrontare, soprattutto per chi ha un carattere meno forte.
Anche se io e te abbiamo un gap generazionale di dieci anni, mi sono ritrovata molto in questa storia, perché tocca dinamiche che riconosco, anche se vissute in un tempo diverso. A un certo punto, poni una domanda fondamentale: “Cosa possiamo fare? Cosa possiamo fare è parlarne”. Partendo da questa premessa, ti chiedo: quali pensi possano essere le vie percorribili?
Davide Coppo: Sono contento che tu definisca il libro empatico, perché è proprio ciò che volevo ottenere. Il personaggio si muove su un crinale ambiguo e complesso: volevo raccontare una storia personale che potesse rappresentare anche molti giovani che oggi diventano neofascisti, estremisti o membri di quella che potremmo definire “gioventù meloniana”. Volevo mostrare cosa li porta lì, ma senza indulgere nella demonizzazione. Non perché non sia giusto condannare quel fenomeno, ma perché, se lo descriviamo come qualcosa di completamente distante da noi, rischiamo di non comprenderlo e quindi di non trovare le strategie efficaci per contrastarlo politicamente, che è ciò che dovremmo fare.
Un altro punto importante per me era evidenziare come oggi le organizzazioni studentesche di estrema destra stiano rifiorendo, in una misura che non si vedeva forse dagli anni ’70. A Roma, ad esempio, i manifesti di gruppi come Blocco Studentesco sono onnipresenti nei licei, un fenomeno impensabile solo due decenni fa. Mi sono chiesto se questi ragazzi di 14 anni che scelgono quella strada siano già ideologizzati in partenza, o se piuttosto stiano cercando qualcosa che non trovano altrove. È evidente che queste organizzazioni hanno una forte presenza sul territorio, e che l’ideologia arriva dopo: il primo bisogno che soddisfano è quello di comunità, di appartenenza, un vuoto che forse la sinistra ha lasciato scoperto.
E quindi sì, la costruzione del personaggio è stata volutamente empatica, per mettere il lettore in difficoltà, proprio come io mi sono sentito in difficoltà nello scrivere e riflettere su una figura che, pur essendo detestabile per ciò che fa e in cui crede, è umanamente comprensibile. Credo che sia una sfida emotiva necessaria: se vogliamo convincere qualcuno a cambiare idea, dobbiamo prima conoscerlo e comprenderlo.
Mara Russo: Mi collego con una riflessione: credo che una parte del problema risieda nel fascino del proibito. In Italia, spesso abbiamo evitato di affrontare apertamente certi capitoli della nostra storia, e questa omissione ha contribuito a creare un’aura di mistero e attrazione intorno a certi fenomeni. Per molti giovani in cerca di identità e comunità, l’estremismo politico può rappresentare un’alternativa, un luogo in cui sentirsi distinti rispetto agli altri.
Quando parli delle nuove organizzazioni studentesche che stanno crescendo, per me non è così sorprendente. Negli ultimi anni, ho notato come alcuni movimenti politici abbiano saputo fare rete grazie alla loro presenza sul territorio. Al contrario, molti movimenti di sinistra si sono frammentati, perdendo riferimenti e coesione. Certo, anche a destra spesso mancano riferimenti chiari, ma la presenza fisica, la capacità di organizzare eventi e creare connessioni sembra prevalere.
C’è poi un altro aspetto: i cambiamenti sociali hanno ridotto il tempo che i giovani possono dedicare a costruire legami di qualità sul territorio. Viaggi, spostamenti, e la crescente mobilità – con tanti studenti fuori sede – hanno frammentato la possibilità di creare comunità solide. In realtà, chi riesce a restare sul territorio spesso finisce per entrare in contatto con chi lo governa, partecipando a movimenti giovanili che aprono la strada a percorsi politici futuri, anche senza una reale adesione ideologica.
Credo che sia arrivato il momento di riflettere su questa dinamica come comunità giovanile attiva. È necessario svegliarsi e capire che l’opposizione non si fa solo con le parole, ma con azioni concrete. Una questione cruciale è come evitare che il meccanismo di fascinazione ed emulazione continui a crescere. Ad esempio, bisogna analizzare cosa sta succedendo nelle destre nazionali, dove vediamo un’appropriazione di temi come l’ecologia legata al sovranismo. È un fenomeno di appropriazione culturale che merita molta attenzione…
Davide Coppo: Parto dal tema che hai accennato e passo poi a quello dell’appropriazione culturale e della ridicolizzazione dei simboli del potere. Da un lato, penso che ci sia qualcosa che le sinistre europee, e forse mondiali, non abbiano mai del tutto superato: una strategia precisa, messa in atto da forze e poteri, per smantellare i movimenti che avevano una portata globale, politica e territoriale in grado di cambiare il mondo. Da Genova 2001, il mondo è cambiato profondamente. Quell’evento ha rappresentato una rottura netta, un attacco consapevole del G8 che ha distrutto qualcosa di molto importante che stava emergendo. Da allora, anche le sinistre hanno finito per abbracciare il globalismo e la globalizzazione, accettando tacitamente un progressismo capitalista che, solo oggi, inizia a mostrare tutti i suoi enormi limiti.
Tornando al fascino del proibito e al modo in cui le ideologie di destra, percepite come “proibite”, abbiano attratto così tante persone: trovo molto interessante la tua riflessione. Ridicolizzare i simboli di queste ideologie potrebbe essere un’arma efficace. Negli anni ’70 i punk avevano già tentato di farlo, indossando svastiche e decontestualizzandole per cercare di depotenziare la loro carica violenta. Ovviamente, questo approccio non fu compreso e i punk furono accusati di essere nazisti. È chiaro che ridicolizzare certi apparati iconografici è molto difficile, ma sarebbe un passo importante.
Leggevo di recente una frase che diceva più o meno così: “Solo in Italia potevamo avere un dittatore romagnolo alto un metro e cinquanta con cappelli buffissimi”. Se razionalizziamo al massimo l’estetica del ventennio fascista, effettivamente appare come una carnevalata. Questo non deve farci dimenticare la violenza reale e devastante che ha generato, ma rimane il fatto che l’estetica di quel periodo era grottesca. Negli anni ’70 anche alcune correnti giovanili del Fronte della Gioventù, che rappresentavano l’ala “sinistra” del Movimento Sociale Italiano, avevano intuito la necessità di superare queste rappresentazioni. Stampavano fanzine e cercavano di costruire una controcultura di destra, sostenendo che fosse necessario abbandonare le parate con le braccia tese e il vestirsi di nero, perché i giovani non si identificavano più in quel modello. Tuttavia, quella corrente fu completamente sconfitta, lasciando spazio a figure come Gianfranco Fini e, successivamente, Giorgia Meloni.
Per quanto riguarda l’ecologismo, trovo molto interessante il modo in cui oggi viene riappropriato dall’estrema destra. Negli anni ’70, nei campi giovanili di estrema destra, l’ecologismo era già una materia di pratica concreta. Oggi, questa riappropriazione sta riemergendo con forza. Un esempio recente è il libro Ecofascisti pubblicato da Einaudi, che analizza proprio questo fenomeno. Il testo mostra come movimenti quali Alternative für Deutschland abbiano inserito il tema della sostenibilità ambientale nel loro discorso politico, sostenendo, ad esempio, che i paesi più poveri – ritenuti responsabili di maggiore inquinamento – debbano essere esclusi per prevenire migrazioni.
E allora, cosa possiamo fare? Una delle cose che credo la sinistra abbia trascurato per troppo tempo è il tema del lavoro e dell’occupazione. Parlare di lavoro non significa necessariamente mettere in secondo piano i diritti, ma riconoscere che questi due aspetti sono strettamente collegati. Credo che i risultati relativamente positivi delle ultime elezioni europee siano legati anche al ritorno di una narrazione più centrata sul lavoro. Questo tema è profondamente connesso alle dinamiche territoriali: molte persone lasciano i loro luoghi d’origine per trasferirsi in città come Milano, che accentra risorse e opportunità, svuotando il resto del paese.
Negli ultimi vent’anni, l’Italia ha abbandonato culturalmente e politicamente i suoi territori. Prima la nostra forza era data dalla vivacità culturale di città come Bologna, Bari, Palermo, Catania e Trieste. Oggi, invece, ci stiamo muovendo verso un modello simile a quello francese, in cui Parigi è un buco nero che concentra tutto a discapito delle altre aree. Questo abbandono dei territori ha danneggiato profondamente il sistema culturale italiano e rappresenta una delle sfide principali da affrontare.
Mara Russo: Trovo molto pertinente ciò che hai detto su Milano, che sembra essere diventata una sorta di roccaforte della sinistra. Tuttavia, Milano è una città che, in un certo senso, “economizza” la sinistra: la mette in vendita, la trasforma in un brand. Questo processo alimenta il mito del radical chic, che risulta poco credibile su altri piani. Forse è davvero necessario tornare a operare sui territori e riscoprire cosa significa offrire o costruire un’alternativa concreta.
In relazione a quanto dicevi sul dittatore “alto un metro e cinquanta”, mi viene in mente Il vecchio con gli stivali di Brancati, in cui si racconta la vestizione forzata di un dipendente, costretto a indossare una divisa con degli stivali che, paradossalmente, non riescono neanche a salire. Questo episodio, che a tratti sembra quasi blasfemo, mi fa riflettere su come si potrebbe “queerizzare” il fascismo. Riappropriarsi di quell’archivio simbolico e reinterpretarlo in chiave dissacrante potrebbe rappresentare una grave offesa per chi ha sacralizzato quel passato, ma al tempo stesso costituirebbe un’occasione per smorzare i toni e interrompere il culto che ancora persiste. È un modo per digerire e, simbolicamente, espellere quella eredità.
Parlando di giovani ed estremismi, vorrei però aggiungere che i movimenti neofascisti variano molto a seconda del territorio, in relazione alla storia del ventennio nelle diverse aree d’Italia. Anche se in modo meno estremo rispetto a Ettore, entrambi conosciamo quegli ambienti, e sappiamo che le due “roccaforti” tematiche del revisionismo storico sono due: la mafia e le foibe. Sono due grandi classici intramontabili su cui si investe moltissimo, anche da parte del governo, sia in termini di ricerca storica sia di aggiornamento culturale, per così dire. Si tratta di occasioni in cui il presidio politico è sempre molto attivo e che, non a caso, riguardano due regioni di confine: il Friuli Venezia Giulia e la Sicilia.
Il Friuli Venezia Giulia è una regione strategica, un collegamento naturale tra Europa, Russia e Balcani. La Sicilia, invece, rappresenta la separazione geografica e simbolica tra Europa e Africa. Sono punti chiave intorno a cui si costruisce un forte senso comunitario. Ricordo amici al liceo che evitavano qualsiasi impegno scolastico, come partecipare alle assemblee d’istituto, ma erano sempre presenti in prima fila alle commemorazioni sulla mafia o al Giorno del Ricordo. Spesso, però, non erano in grado di spiegare perché.
Quest’anno sono stata alla Foiba di Basovizza, dove ho notato una presenza politica molto marcata: c’erano quattro ministri e il Presidente del Consiglio. È stato istituito il “Treno del Ricordo” e presto verrà inaugurato un museo dedicato, insieme a una serie di iniziative particolarmente significative.
Vorrei chiederti, vista anche la nostra differenza generazionale, cosa pensi di questi due temi – mafia e foibe – soprattutto in relazione a ciò che sta accadendo oggi.
Davide Coppo: La situazione più pericolosa che stiamo vivendo oggi è il revisionismo storico che questo governo sta portando avanti in diversi modi. Nel libro parlo di come funziona la propaganda di estrema destra, un meccanismo che ricordo bene. Il primo passo è sempre l’introduzione di storie eroiche. Per esempio, Jan Palach: un ragazzo diciottenne che si diede fuoco in piazza Venceslao a Praga per protestare contro l’occupazione sovietica. È diventato uno dei miti del neofascismo italiano ed europeo. Palach era antisovietico e voleva una Cecoslovacchia libera, ma questo non significa affatto che fosse di destra.
La stessa operazione viene fatta con molte altre battaglie: i movimenti di liberazione della Palestina, per esempio, vengono ridotti a semplici battaglie antisemite. Oppure la lotta per la liberazione dell’Irlanda, perché nel discorso propagandistico della destra, gli alleati che hanno sconfitto il fascismo – come i britannici – non possono essere supportati. Si ignora completamente che l’IRA sia un movimento socialista.
Questo tipo di narrazione si applica anche alle foibe e alle mafie. Non voglio soffermarmi troppo sulla mafia, anche perché vengo da un contesto che mi rende difficile parlarne con sufficiente distacco, ma ricordo bene la sacralizzazione dell’antimafia di Falcone e Borsellino. Addirittura veniva celebrato il fatto che Borsellino fosse stato iscritto al Fronte della Gioventù. È interessante notare come, nella narrazione della destra, alcuni morti fascisti per mano della mafia vengano presi a simbolo, anche se si tratta di episodi isolati. Penso, ad esempio, a Mauro De Mauro, ucciso mentre indagava sull’omicidio Mattei. Tuttavia, si tende a ignorare i legami tra il fascismo – e successivamente il neofascismo – e le mafie. Durante il cosiddetto golpe borghese, la mafia fornì armi in cambio di alleggerimenti di pena per i suoi membri già in carcere, e più avanti ci furono connessioni tra gruppi come i Nuclei Armati Rivoluzionari e le organizzazioni mafiose.
Per quanto riguarda le foibe, è incredibile come ci siamo arresi alla narrazione di destra. E questo è avvenuto, se non sbaglio, con presidenti della Repubblica non di destra, forse già con Ciampi o addirittura con Napolitano. È difficile dirlo apertamente, ma le foibe, per come vengono presentate oggi, sono in larga parte una costruzione ideologica. Ci furono certamente omicidi terribili, con alcune centinaia di italiani uccisi dai partigiani jugoslavi, ma la sistematizzazione e i numeri che vengono raccontati sono totalmente inventati. Questo è stato confermato da storici seri che si occupano del fenomeno, come Predrag Matvejević. Matvejević descrive la narrazione delle foibe come una menzogna costruita a tavolino, che è poi diventata storia nazionale.
Un esempio emblematico di questa distorsione è un episodio accaduto a Porta a Porta una decina di anni fa. Durante una puntata dedicata alle foibe, venne mostrata una fotografia in bianco e nero che ritraeva tre soldati che fucilavano delle persone alla schiena. Una storica italo-slovena presente in studio fece notare che quegli uomini indossavano uniformi italiane, non slovene: erano italiani che giustiziavano comunisti titini. La storica fu allontanata dallo studio per aver osato fare un’osservazione considerata inaccettabile.
Non si tratta di giustificare nessun tipo di violenza, ma bisogna contestualizzare. Durante gli anni ’20 e ’30, l’Italia colonizzò quelle aree della Jugoslavia, e un successivo momento di guerriglia durante la liberazione di quelle terre è storicamente comprensibile. Tuttavia, la narrazione attuale è ormai talmente consolidata che sarà difficile scardinarla nei prossimi decenni. Con l’istituzione di una giornata nazionale per ricordare queste presunte “decine di migliaia di morti” – numeri che non trovano riscontro storico – abbiamo scelto di non combattere questa battaglia, preferendo una pacificazione nazionale che, di fatto, si è rivoltata contro di noi.
Mara Russo: Ti racconto un episodio: la prima volta che sono stata alla Foiba di Basovizza è stato nel 2017, durante la gita del quinto anno. Difendo questa scelta perché credo che la mia insegnante abbia lottato moltissimo per organizzare quella visita. Non l’ha fatto per, come dire, “timbrare il cartellino” di una commemorazione ufficiale, ma per mostrarci un pezzo importante dell’Italia, un frammento della sua storia. Ricordo di essere uscita da lì spaventata, perché ho percepito un livello di rabbia e di estremismo politico che ha lasciato un’impronta profonda sulla mia identità politica.
Trieste è una città completamente diversa dalle città siciliane da cui provengo. È stata, letteralmente, un fronte. Non solo ospita la Foiba di Basovizza, ma anche un campo di concentramento.
Davide Coppo: E di sterminio. È l’unico campo di sterminio in Italia.
Mara Russo: Esatto, e allo stesso tempo ha la Foiba di Basovizza. Trieste sintetizza in modo emblematico uno dei grandi problemi dell’Italia: è una città aperta e complessa, che racchiude le contraddizioni di una memoria storica ancora contesa. Forse chi vuole fare resistenza nelle scuole dovrebbe partire proprio da esperienze come questa, da luoghi che ci costringono a confrontarci con il passato.
Concludendo, voglio augurare al tuo libro di arrivare lontano. Spero davvero che possa essere, per molte persone, una molla capace di innescare riflessioni e processi nuovi. Grazie.
La nuova edizione di Opera Festival si terrà tra il 21 e il 24 agosto 2025.
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