KABUL magazine presenta la seconda e ultima parte di Specific Objects, testo-chiave della Minimal Art scritto da Donald Judd, pubblicato nel 1965 sull’ottavo numero di «ArtsYearBook» e mai tradotto prima in italiano.
In questa seconda parte, Judd discute dei lavori dei suoi colleghi Bontecou, Brecht, Chamberlain, Flavin, Klein, Kusama, Morris, Newman, Stella, soffermandosi particolarmente sull’opera di Oldenburg.
La traduzione è realizzata da Beatrice Biggio, in collaborazione con lo scrittore e poeta Claudio Salvi, le cui note al testo, in chiusura, suggeriscono al lettore una possibile chiave interpretativa. Le note assumono la forma del frammento, hanno una lunghezza di poche righe e non sono troppo dissimili dalla forma usata da Salvi in poesia. Attraverso esse, l’autore intende suscitare nella mente del lettore una serie di quesiti, per mettere in crisi la certezza con cui Judd definisce gli «specific objects» e rimarcare l’importanza di riflettere sul rapporto, innescato nel processo creativo, tra oggetto fisico e oggetto mentale.
Di seguito, il testo di Judd, a cui seguono immediatamente le note di Salvi.
Per recuperare la prima parte di Specific Objects clicca qui.
Pittura e scultura sono diventate forme d’arte istituzionali. Gran parte del loro significato non è credibile. L’utilizzo di tre dimensioni non è l’utilizzo di una forma data. Non c’è stato abbastanza tempo né è stato fatto abbastanza perché se ne possano già vedere i limiti. Finora, se considerate in un senso molto ampio, le tre dimensioni sono perlopiù uno spazio da conquistare. Le caratteristiche del lavoro sulle tre dimensioni sono ancora legate a un numero di opere molto ristretto, troppo poche rispetto a quelle prodotte in pittura e scultura. Alcuni degli aspetti più generali potranno persistere, per esempio l’oggettività o la specificità, ma altre caratteristiche sono destinate a svilupparsi in futuro. Data l’enorme gamma possibile di declinazioni, la tridimensionalità si evolverà probabilmente in un certo numero di forme diverse. A ogni modo, la sua diffusione sarà certamente maggiore rispetto alla pittura e ancor più rispetto alla scultura che, a differenza della pittura, è abbastanza particolare, molto più vicina a quella che chiamiamo una forma, essendo la scultura già dotata di forma. Dato che la natura della tridimensionalità non è stabilita o data in precedenza, si può realizzare quasi sempre qualcosa di credibile. Naturalmente questo può accadere anche all’interno di una forma data, come nel caso della pittura, ma in modo limitato e con meno forza e possibilità di variazioni. Nel caso della scultura, non essendo questa una forma così generica, è probabile che resti uguale a se stessa – il che significa che se dovessero intervenire grandi cambiamenti diventerebbe semplicemente qualcos’altro, ovvero si estinguerebbe.
Tre dimensioni sono uno spazio reale. Bisogna sbarazzarsi del problema dell’illusionismo e dello spazio letterale, spazio dentro e attorno ai segni e ai colori, il che significa liberarsi di una delle reliquie più rilevanti e insieme più criticabili dell’arte europea. I molti limiti della pittura non sono più presenti. Un’opera d’arte può essere potente tanto quanto si può immaginare che lo sia. Lo spazio effettivo è intrinsecamente più potente e specifico del colore su una superficie piatta. Ovviamente, qualsiasi opera in tre dimensioni può avere qualsiasi forma, regolare o irregolare, e qualsiasi relazione con la parete, il pavimento, il soffitto, la stanza o le stanze, l’esterno o con niente del tutto. Qualsiasi materiale può essere usato, così com’è o dipinto.
Un’opera deve soltanto essere interessante. La maggior parte delle opere acquisisce alla fine una qualità unitaria. In opere d’arte precedenti, la complessità veniva mostrata e in questo modo costruiva la qualità. In opere di pittura più recenti la complessità sta nel formato e nelle poche figure principali, realizzate a partire da vari interessi e problemi. Un quadro di Newman non è in fondo meno complesso di uno di Cézanne. Nell’ambito tridimensionale, tutta l’opera viene realizzata secondo scopi complessi, e questi non sono sparpagliati ma riaffermati da una sola forma. Non è necessario siano presenti molti elementi da guardare, da paragonare, da analizzare uno a uno, da contemplare. Ciò che è interessante è la cosa in sé, la sua qualità di oggetto a sé stante. Le cose essenziali sono entità unitarie e molto intense, chiare e potenti. Non sono diluite da un formato ereditato, da variazioni di una forma, da leggeri contrasti o da parti e aree connettive. L’arte europea doveva rappresentare uno spazio e il suo contenuto e allo stesso tempo essere unitaria e interessante esteticamente. Nella pittura astratta antecedente al 1946 e in molta di quella successiva, la rappresentazione del tutto rimaneva subordinata a quella delle sue parti. Nella scultura, è ancora così. Nei nuovi lavori la forma, l’immagine, il colore e la superficie sono un tutt’uno e non parziali e sparpagliate. Non ci sono aree o parti neutrali o moderate, né zone di connessione o di transizione. La differenza fra i nuovi lavori, la pittura di oggi e di ieri e la scultura attuale è la stessa che esiste fra una delle finestre di Brunelleschi nella Badia di Fiesole e la facciata di Palazzo Rucellai, che è soltanto un rettangolo non sviluppato del tutto e fondamentalmente una collezione di parti ben ordinate.
La tridimensionalità rende possibile usare tutti i materiali e i colori. La maggior parte dei lavori include nuovi materiali, invenzioni recenti o cose mai usate prima nell’arte. Finora si è utilizzata pochissimo in arte l’immensa gamma esistente di materiali industriali. Quasi nulla si è realizzato con tecniche industriali e, a causa dei costi, probabilmente ciò non sarà possibile ancora per qualche tempo. L’arte potrebbe essere prodotta in maniera massificata e si potrebbe accedere a tecniche altrimenti non accessibili, come lo stampaggio. Dan Flavin, che usa luci fluorescenti, ha fatto suoi i risultati della produzione industriale. I materiali variano molto e sono, semplicemente, materiali – formica, alluminio, acciaio laminato a freddo, plexiglas, ottone rosso o comune e così via. Sono specifici. Se usati direttamente, sono più specifici ancora. Inoltre, in genere sono aggressivi. C’è una certa oggettività nell’identità caparbia di un materiale. Inoltre, naturalmente, le qualità dei materiali – massa solida, massa morbida, spessore (1/32, 1/16, 1/8 di pollice), flessibilità, lucentezza, traslucidità, opacità – hanno utilizzi non oggettivi. Il vinile degli oggetti soffici di Oldenburg ha lo stesso aspetto di sempre, lucido, flaccido e leggermente sgradevole, ed è oggettivo, ma è anche flessibile e può essere cucito e riempito d’aria e kapok e appeso o appoggiato, cadente o collassato. Molti dei nuovi materiali non sono accessibili come l’olio su tela, ed è difficile metterli in relazione fra loro. Non sono arte, ovviamente. La forma di un’opera e i suoi materiali sono strettamente collegati. Storicamente, la struttura e l’immagine erano realizzati con materiali neutri e omogenei. Dato che non molti oggetti sono dei blocchi unici, è difficile combinare le diverse superfici e i colori e mettere in relazione le parti senza indebolire l’unità dell’opera. I lavori tridimensionali di solito non rappresentano ordinarie immagini antropomorfe. Se ci sono riferimenti, questi sono sempre singoli ed espliciti. In ogni caso l’interesse principale è ovvio. Ciascuno dei rilievi di Bontecou è un’immagine. L’immagine, tutte le parti e l’intera forma sono concomitanti. Nelle sue opere, le parti appartengono o al buco o alla massa che forma il buco. Il buco e le masse circostanti sono gli unici due elementi, che poi sono in fondo la stessa cosa. Le parti e gli elementi divisori sono radiali o concentrici rispetto al buco, conducono dentro o fuori e lo circondano. Le parti radiali e concentriche s’incontrano più o meno ad angolo retto e nel dettaglio rappresentano la struttura in senso classico, sebbene collettivamente siano subordinate alla singola forma. La maggior parte dei nuovi lavori non ha una struttura in senso classico, specialmente i lavori di Oldenburg e Stella. Quello di Chamberlain invece ha elementi compositivi. La natura delle singole immagini di Bontecou non è così diversa da quella delle immagini che a tratti possiamo rintracciare nella pittura semi-astratta. L’immagine è principalmente unitaria ed emotiva che in sé non somiglierebbe tanto a quella classica, ma alla quale sono stati aggiunti riferimenti interni ed esterni, come la violenza e la guerra. Gli elementi aggiuntivi sono in qualche modo pittorici, ma l’immagine è essenzialmente nuova e sorprendente; un’immagine non è mai stata prima equiparabile all’intera opera, o così grande, esplicita e aggressiva. L’orifizio fortificato è un oggetto strano e pericoloso. La qualità è intensa, angusta e ossessiva. La barca e i mobili che Kusama ha coperto con delle protuberanze bianche hanno una relativa intensità e ossessività e sono anch’essi oggetti strani. Kusama è interessato alla ripetizione ossessiva, che è un interesse unitario. Anche i quadri blu di Yves Klein sono circoscritti ed angusti.
Gli alberi, le figure, il cibo o i mobili in un quadro hanno o contengono forme emotive. Oldenburg ha portato questo antropomorfismo all’eccesso e ha creato la forma emotiva, che in lui è basica e bio-psicologica, uguale alla forma di un oggetto, e ha così spudoratamente sovvertito l’idea della naturale presenza di qualità umane in tutte le cose. E per di più, Oldenburg evita di ritrarre alberi e persone. Tutti gli oggetti grossolanamente antropomorfi di Oldenburg sono fatti a mano – immediatamente diventa una faccenda empirica. Qualcuno o più di qualcuno ha realizzato cose simili incorporando le proprie preferenze. Per quanto concreto possa essere un cono gelato, sono molte le persone che hanno fatto una scelta, e altrettante quelle che l’hanno condivisa, perché venisse creato e per far sì che assumesse proprio quell’aspetto. Questo interesse è ancor più evidente nei recenti elettrodomestici e nelle suppellettili per la casa, specialmente nella camera da letto, dove la scelta è palese. Oldenburg esagera la forma comunemente accettata o scelta e se ne appropria. Niente di ciò che viene creato è totalmente oggettivo, puramente pratico o semplicemente presente. Oldenburg fa benissimo a meno di tutto ciò che normalmente sarebbe identificato come struttura. Una palla di gelato e un grande cono sono per lui sufficienti. L’insieme di questi due elementi è una forma profonda in sé, come succede a volte nell’arte primitiva. Tre grossi strati con uno più piccolo in cima sono sufficienti. Così come lo è la flaccida presa rosa che drappeggia se stessa intorno a due perni. L’uso di una forma semplice e uno o due colori soltanto è considerato minimale secondo vecchi standard. Se paragoniamo i cambiamenti nell’arte a ciò che veniva creato in passato, sembra sempre che si sia progressivamente andati a togliere, dato che si considerano soltanto le caratteristiche del passato e queste sono ovviamente sempre meno numerose. Naturalmente le opere nuove coinvolgono molti più elementi, come nel caso delle tecniche e dei materiali impiegati da Oldenburg, il quale ha bisogno di tre dimensioni per simulare e ingrandire un oggetto reale ed equipararlo a una forma emotiva. Se un hamburger venisse dipinto manterrebbe qualcosa del tradizionale antropomorfismo. George Brecht e Robert Morris usano oggetti reali e il loro lavoro dipende dalla conoscenza di tali oggetti da parte di chi guarda.
«La nozione di credere chi o che cosa qualcuno o qualcosa è, è completamente dipendente dal contesto».
(W. V. O. Quine)
È possibile che l’artista non sappia che oggetto intende realizzare fino a che questo non è collocato fuori dalla sua mente, in un disegno o nello spazio tridimensionale.
«In certi casi, l’ignoranza anche di una sola proprietà dell’oggetto è sufficiente a far sì che uno non sappia di che oggetto si tratti».11D. Davidson, Soggettivo, intersoggettivo, oggettivo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003.
«Il problema di fondo è semplice: se avere un pensiero significa avere un oggetto davanti alla mente, e se l’identità dell’oggetto determina l’identità del pensiero, allora deve essere possibile cadere in errore riguardo a ciò che si stava pensando. Infatti, a meno che non si sappia tutto dell’oggetto, ci sarà sempre un senso in cui non si sa di che oggetto si tratti. […] Il solo oggetto che potrebbe soddisfare la doppia richiesta di essere davanti alla mente e di essere capace di determinare il contenuto di un pensiero dovrà (come le impressioni e le idee di Hume) “essere ciò che sembra e sembrare ciò che è”. Non esistono oggetti del genere, né pubblici né privati, né astratti né concreti».
Ha intenzione di realizzare l’oggetto nello spazio tridimensionale, ma non tutte le sue proprietà possono essere definite nella sua mente.
«Ho la sensazione che la maggior parte dei pittori non sappia cosa ha in mente finché non l’ha dipinta».
Eppure non si può negare facilmente che una persona sappia che cosa pensa o qual è il contenuto del suo pensiero, anche se non si basa su un’evidenza per saperlo.
Nei disegni di progettazione l’oggetto è contestualizzato in riferimento a uno spazio solamente dai numeri che indicano le sue misure.
Il processo di produzione avviene, in un secondo momento, alla cieca (non soggetto al pieno controllo dell’artista) e può portare a situazioni non previste.
«Una volta che l’idea del pezzo sia stabilita nella mente dell’artista e che la forma finale sia decisa, il processo viene portato avanti alla cieca. Ci sono molti effetti collaterali che l’artista non può immaginare. Tali effetti possono essere impiegati come idee per nuovi lavori»33S. LeWitt, Paragraphs on Conceptual Art, Artforum, 1967.
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È possibile che gli effetti collaterali siano già presenti nella mente dell’artista come determinate proprietà dell’oggetto ignorate.
Sembra che l’oggetto si dia nella sua forma compiuta, costruito e collocato nello spazio solido.
E che l’oggetto mentale della situazione iniziale sia diverso dall’oggetto costruito nello spazio esterno.
Nel mezzo esiste il passaggio da una intenzione a ciò che è oggettivo. Questo avviene nel processo di produzione su cui l’artista non ha assoluto controllo.
La presenza dell’oggetto nello spazio implica che sia stato pensato.
Il processo di produzione e il pensiero non sono del tutto noti.
È possibile immaginare il processo di produzione, la costruzione.
Esiste il materiale, alluminio, acciaio, cemento, legno, plexiglas, ecc. Poi la costruzione delle parti.
È un processo che non controllo e di cui non ho piena conoscenza. Si può ricostruire a partire dall’oggetto contenuto nello spazio solido e dal progetto.
Ci sono alcune fasi distinte.
L’oggetto è disegnato senza che lo spazio sia rappresentato. L’oggetto non è cosa tra le cose, è isolato, come non potrebbe essere nello spazio solido di una stanza.
L’oggetto è scomposto nelle sue parti e ricostituito attraverso il processo di produzione.44Analogo al processo di percezione di un oggetto fisico: «Infatti noi sappiamo che nei processi mediatori tra i due poli (oggetto fisico-oggetto fenomenico) l’unità dell’oggetto fisico va completamente perduta. Lungo il tragitto dalla superficie dell’oggetto alla retina dell’osservatore, le radiazioni sono completamente indipendenti l’una dall’altra; la retina a sua volta è costituita da un mosaico di elementi istologicamente separati (coni e bastoncelli) che vengono eccitati distintamente e che inviano ai centri superiori messaggi relativamente isolati». G. Kanizsa, Grammatica del vedere, Il Mulino, Bologna 1980.
È collocato nell’ambiente, nello spazio solido, permanente, percepito o meno da un soggetto
Note al testo di Claudio Salvi
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Donald Judd è stato un artista e critico statunitense, tra i più autorevoli del XX secolo, associato alla corrente del minimalismo, di cui è considerato il principale esponente grazie al testo Specific Objects, pubblicato nel 1965. Le sue opere sono state esposte nelle collezioni di diversi musei di Stati Uniti, Europa e Asia, tra cui Whitney Museum of American Art (New York, 1968-1988), National Gallery of Canada (Ottawa, 1975), Stedelijk Van Abbemuseum (Eindhoven, 1970) e Tate Modern (Londra, 2004).
D. Davidson, Soggettivo, intersoggettivo, oggettivo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003.
The Collected Writings of Robert Motherwell, Oxford University Press, 1992.
S. LeWitt, Paragraphs on Conceptual Art, Artforum, 1967.
G. Kanizsa, Grammatica del vedere, Il Mulino, Bologna 1980.
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