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Dichiarare pubblicamente
Magazine, LINGUAGGI - Part II - Gennaio 2022
Tempo di lettura: 12 min
Cristina Morales, Matteo Binci

Dichiarare pubblicamente

Lingue espulse, azioni di protesta e desideri infetti.

Mujeres Libres fu un’organizzazione femminista all’interno dell’anarcosindacalismo spagnolo che è esistita tra l’aprile 1936 e il febbraio 1939, durante la Guerra Civile Spagnola.

Nella sua origine latina, protestare significa “dichiarare pubblicamente”. La dichiarazione conflittuale necessita l’attenzione da parte degli individui e dei movimenti sociali a non istituire linguaggi sistemici e identità prefigurate. In questo processo, l’agire e l’attitudine alla protesta detengono in loro stessi la potenza di originare nuove grammatiche politiche. 

La dichiarazione che segue è un dialogo a distanza tra le riflessioni condivise dagli autori sui linguaggi di protesta e alcuni frammenti del libro “Lettura Facile” di Cristina Morales11 Cristina Morales: Lettura facile, Guanda, Milano, 2021, pp. 129-135.
. Un libro che è un manifesto contro la violenza dell’eteropatriarcato presente nella società e nelle istituzioni, ma anche una celebrazione del corpo, della sessualità femminile e un inno alla capacità rivoluzionaria del linguaggio. 

Cristina Morales, Lectura fácil, Barcellona, Editorial Anagrama, 2018.

Cristina Morales: «Per i tuoi anarchici, la pulsione sessuale è pericolosa. Sono d’accordo con loro: scopare è pericoloso. Scopare è un atto di volontà, un atto politico, un luogo di debolezza dove si va dal ridicolo alla morte, passando per la trance, l’estasi e l’annichilimento. Solo che questo rischio gli anarchici non vogliono assumerselo.

Se ne assumono altri, numerosi e svariati, ma non questo. Perché gli anarchici di oggi non si assumono il rischio di scopare mentre gli anarchici di cento anni fa se lo sono assunto abbondantemente?». […] «Questo cambiamento di mentalità merita di essere studiato con attenzione. La domanda è: gli anarchici di oggi considerano l’emancipazione del desiderio sessuale parte integrante della loro lotta per l’emancipazione da tutte le oppressioni?». […] «Sembrerebbe di no. Questa lotta li spaventa?». […] «Sembrerebbe di sì. Li spaventa scopare? Stringi stringi, lì si va a parare, lì vanno a parare i proiettili di gomma degli antisommossa sessuali. Hanno inteso liberazione sessuale meramente come accettazione e uscita allo scoperto della personalità non eteronormativa di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. Hanno coniato il nobile concetto di “dissidenza sessuale” per riferirsi a quello che di più superficiale c’è nel sesso: l’identità e l’apparenza, proprio ciò che dovrebbe dissolversi quando si scopa. Dissidente sessuale è una donna che si lascia i baffi. Dissidente sessuale è un uomo che comincia a parlare di sé al femminile. Dissidente sessuale è uno che prende gli estrogeni o una che prende il testosterone. Siamo d’accordo che questi sono tutti dissidenti sessuali dell’eteropatriarcato. Ma come la mettiamo con la tipa truccatissima che si veste come Beyoncé, magari con le tette rifatte e fresca di liposuzione, e che vuole essere guardata, avvicinata e toccata per il semplice motivo che è una donna e ha voglia di scopare, non per ottenere soldi, non per ottenere vantaggi sul lavoro, non per fare ingelosire qualcuno, no, vuole scopare perché scopare per lei è la cosa più bella che ci sia, e non idealizza, né categorizza, né classifica l’atto sessuale e i corpi che agiscono sessualmente, perché concepisce il sesso come qualcosa di più prossimo alla fornicazione che non al simbolico, più prossimo cioè al compito di mettere tutte le nostre potenze al servizio del piacere. È anche lei una dissidente sessuale?».

Il Movimiento 15-M, anche chiamato Movimento de los indignados. Immagine della Puerta del Sol la notte del 15M del 2011. Efe.

 

Matteo Binci: «Nelle azioni di protesta e nei movimenti sociali, la propensione a istituire linguaggi sistemici e prefigurare identità arresta perversamente il loro processo emancipativo attraverso politiche di conformità e istruzioni ideologiche. Il pericolo risiede, come nel passato, nella costituzione dei movimenti sociali su base identitaria e autoreferenziale. Questo non significa sottovalutare la rilevanza della lotta di classe (storicamente fondata sulla figura dell’operaio) o minimizzare l’impatto dei primi movimenti femministi, bensì rivendicare la necessità di alleanze inaspettate tra pensieri illegittimi e corpi disobbedienti. Se è vero che si può pensare solo camminando, i movimenti sociali necessitano di agitarsi e di movimentare le proprie identità linguistiche. Agire il linguaggio è un fatto personale e collettivo, in entrambi i casi, politico. Agendo si comprende come l’attitudine alla protesta e alla ribellione detiene in sé stessa la potenza di originare nuovi linguaggi e grammatiche politiche. Che sintassi possiamo utilizzare per fare della passione un atto linguistico di disobbedienza?
L’attuale sistema economico scrive il suo libro per mezzo dei nostri corpi, dei nostri desideri e delle punteggiature delle nostre intelligenze. Il suo pensiero è unico come il suo titolo: produrre linguaggio equivale a governare. Abbiamo allora bisogno di inventare luoghi e versi dove vivere una lingua straniera, meticcia, bastarda, ma soprattutto concreta. La lingua di forme di vita esuberanti e gioiose che mostrano lo scandalo delle proprie emozioni. Nella capitalizzazione delle esistenze che impiega gli strumenti della razza, della tecnologia, della precarietà economica, del genere e dell’antropocentrismo per costruire insistentemente identità da sfruttare e marginalizzare, i nostri affetti e le nostre parole possono divenire sia merci di un capitale affettivo che stratagemmi di rivolta per una nuova comunità linguistica. Penso che se oscuro può essere a volte l’oggetto del desiderio, scriviamo e parliamo per affermare con chiarezza il suo soggetto: indocile, eccentrico e in movimento».

Cristina Morales: […] «Questa donna per il tuo collettivo anarchico non è una dissidente sessuale. Questa per loro è una demente. È una che se la va a cercare. È una che vuole provocare, che fa il gioco dei violentatori, o se non altro dei maschi fasci o dei maschi sensibili che dir si voglia, e sta mettendo a repentaglio i pilastri del femminismo negatore, il femminismo della negazione, il femminismo castratore al cui interno la donna, paradossalmente, torna ad assolvere il ruolo di sottomessa dal momento che conferisce a chi la approccia con intenzioni sessuali uno strapotere fallico al cospetto del quale l’unica è non già contrattaccare, il che implicherebbe un atteggiamento dignitosamente combattivo, ma difendersi. La femminista castratrice si considera oggetto di dominazione da parte di chi vuole scoparsela, e considera quest’ultimo un soggetto immancabilmente dominatore. Da brava sottomessa, in questa relazione sadica che lei, lungi dal combattere, consolida adagiandovisi, la femminista autocastrata trae piacere dal rifiuto che il suo sadico le infligge. Crede di negare il fallo, la femminista della negazione, ma si sbaglia: quello che davvero vuole è che il fallo neghi lei. Quello che davvero vuole è invertire i classici ruoli della attizzacazzi e dell’uomo zerbino. Non vuole più essere la seduttrice che non concede neanche un bacio al ragazzo che le ha offerto da bere. Invece di far saltare in aria questi ruoli di merda, questa relazione dove non c’è né carne né verità ma solo retorica e seduzione, l’autocastrata vuole assumere il ruolo di zerbino e vuole che l’altro sia il suo attizzafica, il suo negatore della carne, e a lui si sottomette senza riserve perché le piace mancare di iniziativa sessuale, iniziativa parecchio faticosa dato che comporta molta creatività, molta responsabilità e molti rischi. Negando, quindi, si evitano le conseguenze impreviste che possono derivare dallo scopare non premeditato, premesso che l’assenza di premeditazione è senza dubbio ciò che distingue lo scopare bene dallo scopare male. E premesso anche che questa assenza di premeditazione è ciò che ci allontana dal feticismo e ci avvicina alla vera copula sfrenata, sfrenata non nel senso di veloce ma di illimitata, incondizionata e priva di formalismi». […] «Sennonché, questo femminismo negatore sentenzia che rifiutarsi di scopare è liberatorio perché interpreta l’atto sessuale come uno storico strumento di dominazione dell’uomo sulla donna. Donna: meno tempo ed energie dedicherai al sesso, barbara attività , più tempo avrai a disposizione per te stessa, per istruirti e persino fare la rivoluzione. Donna che non scopa è donna indipendente e liberata. Non sa tutto questo di mistica del celibato? Si definiscono anarchiche e poi dettano legge sulla fica! Per quanto paradossale, difendono lo scopare male, lo scopare premeditato, in una parola, lo scopare borghese. Il femminismo castratore trae piacere dalla scelta consapevole e calcolata del partner sessuale come trae piacere il consumatore dalla scelta di una maionese anziché un’altra al supermercato, perché ritengono questi femministi che scopare sia una questione di gusti. Di gusti nientemeno che personali!».

Matteo Binci: «Nella sua origine latina, protestare significa “dichiarare pubblicamente”. Dichiarando, i movimenti sociali generano uno spazio di azione, nuove estetiche e inaspettate possibilità di autorappresentazione. La rivendicazione dello spazio pubblico e della piazza, l’occupazione di case, fabbriche e centri sociali, il porre in questione forme di vita e intimità, la militanza e le manifestazioni nelle strade sono stati storicamente gli strumenti di emancipazione sociale ed estetica degli indesiderati dalla società. Le estetiche derivate implicano una dimensione simbolica che, con l’emergere della comunicazione di massa e digitale, ha accentuato la spettacolarizzazione delle proteste. L’arena dello spettacolo è divenuta così il terreno di contesa tra i vari soggetti in contrapposizione. L’estetizzazione del politico distoglie tuttavia l’attenzione dalle finalità materiali del conflitto, costituendo il regime dell’immagine quale territorio ambiguo di neutralizzazione. La rappresentazione mediatica minaccia anche la pluralità delle soggettività in lotta e delle loro forme di espressione, attraverso la loro unificazione in un’esclusiva immagine di riferimento. Al contrario, è necessario creare processi di connessione tra i soggetti plurimi partecipanti, affinché l’emancipazione collettiva possa passare anche attraverso la proliferazione delle estetiche e delle forme di vita incarnate. Il territorio dell’arte – e la sua capacità di ipervisibilizzare i conflitti – può facilmente tramutarsi in un terreno di cattura dei simboli e dei termini da parte della produzione linguistica dominante. Per esempio, mentre nei musei, nelle istituzioni culturali, nelle università, nelle biennali e nei festival assistiamo frequentemente alla teatralizzazione dei corpi subalterni e delle loro rivendicazioni di diritti, la realtà politica quotidiana riproduce soggettività centrate e forme governamentali escludenti. Dobbiamo quindi comprendere come l’attuale sistema economico e culturale sia un regime linguistico che ci illude di assumersi la responsabilità della rivendicazione delle minoranze, mentre genera nuovo valore sopra di esse».

Iniciativa Sexual Femenina (Cristina Morales, Elisa Keisanen e Élise Moreau), Catalina, 2018, Foto Joan Manrique.

 

Cristina Morales: […] «Il gusto e il desiderio sono due cose ben distinte, e la nostra donna mascherata da Katy Perry o da elettrice del PP a capodanno lo sa. Il gusto, che ci arriva sempre modellato se non direttamente prefabbricato dal potere, non è la bussola di questa donna. La sua bussola è la convinzione che, nello stato di penuria sessuale in cui viviamo, qualsiasi insinuazione, qualsiasi licenzioso battito di palpebre, provenga da chi provenga, uomo, donna o bambino, è complice e amico, è il segnale di riconoscimento degli iniziati e degli oppositori al regime». […] «Il gusto, la scelta, vengono dopo, a lingua già inserita. Può essere che la lingua non sia granché. Può essere che il dito non ci sappia fare. Può essere che il fiato non infiammi. Ma come saperlo finché non si prova? Provare è il rischio. Avvicinarsi a qualcuno per dare e ricevere, adesso sì, piacere, è il rischio». […] «Gli anarchici di oggi evitano il più possibile di provare ed è per questo che quasi non scopano e, se scopano, lo fanno secondo i precetti borghesi della premeditazione e del gusto personale. A quelli che come me la pensano diversamente sai come ci chiamano, per insultarci? Anarcoindividualisti, che è l’antecedente immediato del libertarian degli yankee, ovvero: capitalisti non plus ultra, innamorati pazzi del parco giochi della libertà e del merito, vale a dire del mercato, detrattori accaniti dell’interventismo statale nell’economia ma per niente detrattori dell’intervento statale implicito nello stabilire e difendere una frontiera, o nell’approvare un codice penale e formare un corpo di polizia addetto a proteggere la proprietà e la morale maschilista, razzista e, in sostanza, fascista che sorregge la proprietà». […] «Ci accusano di essere anarcoindividualisti perché, dicono, pensiamo che non ci sia niente al di sopra dell’individuo. Dicono che non ci sentiamo vincolati alle decisioni prese dall’anarchica assemblea. Ci accusano di non difendere il bene comune e la collettività, ci tacciano di egoismo, dicono che abbiamo anche noi una legge, la legge del desiderio, legge indiscutibilmente più tirannica delle leggi degli anarcosociali perché non adottata in assemblea, e in nome di questa egoistica legge ce ne sbattiamo altamente della comunità».

Matteo Binci: «I nostri corpi conservano una memoria carnale delle oppressioni storiche vissute. Guardando al passato, senza proiettarci nel futuro, possiamo costruire il nostro oggi. I corpi sono infatti archivi di emozioni da esplorare e rivivere per mutare continuamente noi stessi. Dobbiamo percepire il reale a partire dal reale, ovvero farci affettare da esso e comprenderlo in quanto luogo per eccellenza della qualità conflittuale delle relazioni. I rapporti tra i nostri corpi non possono infatti essere scritti solo in forma di dialoghi privi di contrasti, bensì necessitano di negoziazioni incessanti. La ribellione e l’affermazione sono le dinamiche emotive che spingono i soggetti ad autodeterminarsi nelle lotte. Questa lettura drammaturgica e corporea del conflitto afferma il valore esperienziale dei nostri corpi e dei nostri movimenti.
Militanza, lotta, insubordinazione sono parole che rimandano a un campo semantico militare. Le nostre guerre sono tuttavia quelle dello scrivere e leggere poesie, del rompere l’imprenditorialità individualista di noi stessi, del praticare il mutuo aiuto, dell’amare, del riscoprire il carattere contagioso dell’allegria e della vitalità dei nostri corpi. Affermare il potere e il diritto di esistere dei nostri corpi per investirli della responsabilità di non presentarsi come corpo sociale docile. Carni che si esprimono in termini erotici e desideranti per non essere rinchiuse nel dogma produttivo e normalizzato del capitalismo. Danze di movimenti polimorfi che non appartengono alle luci della scena, ma che non per questo scompaiono nella marginalità taciturna. Lingue espulse e intraducibili che infettano la produzione dei codici e annebbiano il significato delle parole».

Cristina Morales: «Ti rendi conto che assurdità? Noi proclamiamo il sesso indiscriminato, noi vogliamo spargere la promiscuità di casa in casa, vogliamo farla finita con la nozione di coppia sessuale e diffondere il sesso collettivo, e loro ci danno degli individualisti! Proprio loro, i premeditatori negatori del piacere, che con i peli di fica e zebedei già bianchi abbassano timidamente gli occhi davanti all’invito sessuale di chicchessia o gli danno direttamente dell’invasore o dell’invaditrice del sovrano spazio personale, vale a dire del sovrano spazio dello status quo, del sovrano spazio che ti garantisce che tornerai a casa sola come ne sei uscita, per farla breve, del sovrano spazio della noia, gli stessi, per intenderci, che scopano con una sola persona alla volta, in stanze con la porta chiusa, proprio loro, dico, si autodefiniscono “anarcosociali”! Hai visto quell’altro slogan che dice SE NE TOCCANO UNA, CI TOCCANO TUTTE? Ma magari!, dico io. Magari non fosse metaforico quello slogan, magari dessero al verbo “toccare” il suo significato comune e letterale invece di farne un eufemismo di “aggredire”! Questa sì che sarebbe solidarietà tra compagni: chi viene toccato, tocca tutti gli altri! SE NE SCOPANO UNA, SI SCOPA CON TUTTE! Fosse vero, vecchia mia. Questi anarchici scopano molto poco, non concepiscono che tu scopi tanto e non vogliono che tu scopi tanto, e per questo ti hanno portato via l’amante col pretesto che il tuo amante è uno sbirro. Ora dimmi se non sono fascisti questi anarchici, porco cane».

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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)

Autori
  • Cristina Morales
    Cristina Morales è laureata in Diritto e Scienze Politiche e specializzata in Relazioni Internazionali. Autrice dei romanzi Lectura fácil (Anagrama, Premio Nacional de Narrativa 2019 e Premio Herralde de Novela 2018), Terroristas modernos (Candaya, 2017), Introducción a Teresa de Jesús (Lumen 2015, Anagrama 2020) e Los combatientes (Caballo de Troya 2013, Anagrama 2020), insignita del Premio INJUVE de Narrativa 2012. I suoi racconti sono apparsi in numerose antologie e riviste letterarie. È inoltre membro della compagnia di danza contemporanea Iniciativa Sexual Femenina e produttrice del gruppo punk At-Asko. Come drammaturga ha lavorato per Sol Picó, Sara Molina e per il Teatro Nacional de Cataluña. Nel 2017 le è stata concessa la borsa di studio Beca de Escritura Montserrat Roig, nel 2015 quella della Fundación Han Nefkens e nel 2007 quella della Fundación Antonio Gala per Jóvenes Creadores.
  • Matteo Binci
    Matteo Binci è un ricercatore e curatore con una formazione in gestione del patrimonio culturale, storia dell’arte e pratiche curatoriali. La sua ricerca si concentra sulle dinamiche di determinazione dei corpi e delle soggettività politiche, con particolare attenzione all'estetica dei movimenti sociali e al concetto di spiritualità quale territorio incarnato per l'azione artistica e politica. È stato assistente curatore presso la Fondazione Quadriennale di Roma, dove ha collaborato allo sviluppo della mostra Quadriennale d'arte 2020 FUORI. Tra i progetti curatoriali più recenti: TRAFFIC Festival, San Lorenzo in Campo, 2021; Crepuscolo, Bastione del Sangallo, Loreto, 2020; AMNISTIA. Colonialità italiano tra cinema, critica e arte contemporanea, Accademia di Brera, Milano, 2018; IN/ACTION. Contro lo scacciatempo, la noia; Complesso Museale Santa Maria della Scala, Siena, 2018. Dal 2014 al 2016 è stato membro del collettivo S.a.L.E. DOKES di Venezia.