Nico Vascellari – REVENGE – 2007 – Installation and three performances with John Wiese – 52a Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea – la Biennale Di Venezia – Courtesy dell’artista e Museo Maxxi – Roma
[la prima parte: Dal Rumore al Noise: Breve excursus di un’invasione estetica ed etica]
Francesca Vason: Agli inizi degli anni ’60 Duchamp sosteneva che il miglior artista del domani avrebbe agito nel sottosuolo («The great artist of tomorrow will go underground»), ovvero in un ambiente alternativo al panorama culturale mainstream determinato da ragioni economiche. A distanza di cinquant’anni è evidente che ci sono stati diversi cambiamenti mediatici e sociali che hanno inciso sul rapporto tra sottoculture e mondo di ‘superficie’. Oggi, in virtù del tuo background musicale e di questo ‘sottobosco’, che è sempre stato presente nella tua ricerca, come ti poni rispetto al recente dibattito sulla presunta fine dell’era delle sottoculture? Pensi che l’ambiente underground, che hai conosciuto e in cui sei cresciuto, resista e abbia ancora un impatto oggi, soprattutto per quello che possiamo definire un impegno etico che l’ha contraddistinto?
Nico Vascellari: Credo che sia natura dell’underground rinnovare le ragioni che hanno condotto alla necessità di creare un avamposto di resistenza, una voce fuori dal coro. Il sottosuolo rimane tutt’oggi molto fertile, anche se di tanto in tanto viene fagocitato dal mondo di “superficie”. È sempre stato così e credo che continuerà a esserlo. Sicuramente il mondo è molto cambiato negli ultimi anni. Ad esempio con Internet tutto quello che una volta era fare ricerca del ‘sottosuolo’, è ora alla portata di tutti. Una volta per metterti in contatto con un musicista di New York dovevi trovare l’indirizzo, spedire una lettera, sperare che lui la ricevesse e rispondesse, e per questo processo era necessaria un’attesa di mesi, non minuti, come oggi. C’era una ricerca più profonda. Il momento del live diventava l’unico modo per entrare in contatto con artisti e musicisti internazionali. Oggi c’è Youtube, certo non è lo stesso tipo di esperienza, anche se per molti lo potrebbe sembrare.
Una delle cose che mi interessa e mi solleva allo stesso tempo è che la mia esperienza personale torna fuori sempre e per ragioni diverse: a volte è la ricerca di un materiale, di un contenuto, può avere a che fare con un’attitudine o una visione delle cose. Se inizialmente questo legame era forse più “letterale”, soprattutto per chi come me veniva dalla stessa esperienza, adesso credo invece sia un po’ più – concedimi il termine – ‘filosofico’.
Francesca Vason: A proposito di capacità di rigenerazione ed esistenza, tempo fa hai affermato «mi sento un attivista a livello del sottosuolo», e in effetti di attivismo si nutrono molti dei progetti che hai realizzato, soprattutto legati all’idea sottostante di poter indurre un cambiamento, di incentivare una reazione o di opporsi a un sistema. Credi che l’underground possa trovare una coerente libertà d’espressione all’interno di un contesto istituzionale?
Nico Vascellari: La coerenza, della quale da sempre qualsiasi cultura underground fa la propria bandiera, è interessante e valida fino a quando non rappresenta una necessità dell’adolescenza di sopravvivere in vita adulta. Per quanto mi riguarda, la coerenza è legata a una costante necessità di autonomia e libertà.
Francesca Vason: Un altro aspetto che caratterizza il tuo lavoro, avvicinandoti in questo modo alle prime pratiche rumoriste, è la presenza di una buona dose di imprevedibilità, di “cose che accadono” senza poterle direttamente controllare, soprattutto quando si parla di performance. In che modo l’imprevisto riesce a delinearsi, nel tuo lavoro, come stimolo o canale in grado di favorire la produzione artistica?
Nico Vascellari: Quello dell’imprevisto è un aspetto che ho sempre legato alla performance. In alcune opere ho ideato dei processi quasi matematici che mi imponessero di accettare il risultato finale senza che per me fosse necessariamente gradevole da un punto di vista estetico; in quel caso prediligevo il processo di creazione piuttosto che il risultato stesso. Il motivo per il quale ho cominciato a fare performance di questo tipo è perché si trattava dello stesso modo in cui avevo imparato a fare concerti, di cui le mie prime performance prendevano in analisi alcuni degli aspetti che avevo trovato interessanti. Allora, quando venivo invitato da una galleria o da un museo, solitamente il pubblico veniva segregato, contenuto in uno spazio, e gli veniva chiesto di guardare fuori dalla finestra. Per fare la mia azione utilizzavo le strade, in modo da confrontarmi con un pubblico che non era preparato e per prepararmi a mia volta all’imprevisto, come ad esempio il passaggio di una macchina o il fatto che qualcuno si sedesse su una panchina.
Francesca Vason: Oggi è ancora così presente e lucida questa consapevolezza rispetto alle possibilità creative che ti offre l’imprevedibilità?
Nico Vascellari: Prendi per esempio gli studi sul tramonto pensati per illuminare il monolite della performance I Hear A Shadow: sono collage creati ritagliando, da una rivista, ogni elemento monocromo che appare dalla prima all’ultima pagina. Questi elementi vengono incollati, nella stessa posizione in cui comparivano nella rivista, su un foglio dello stesso formato. Non sono dunque io a decidere la disposizione dei colori e non so nemmeno quali di questi, alla fine, saranno ancora visibili e quali invece coperti dai colori applicati successivamente. Questo è solo un esempio di come questa pratica concepisca l’imprevisto in opere non performative. Nella performance, invece, fisso essenzialmente 3 momenti: iniziale, centrale e finale, e tutto ciò che avviene tra questi resta sempre aperto.
La mia ultima performance pubblica, quella di Artissima 2014, è ispirata al monologo che appare in Nostalghia di Andrej Tarkovskij in cui il personaggio principale si dà fuoco pubblicamente in Campidoglio, a Roma. Da lì è nato tutto. Per buona parte, quella performance era incontrollabile: sebbene la mia posizione fosse statica, tutto ciò che avevo attorno era pericolosamente in movimento.
Sempre ad Artissima, qualche anno prima, nell’edizione curata da Andrea Bellini (2009) – ero stato invitato da Andrea Busto –, la performance aveva avuto un esito piuttosto imprevedibile. Alcune delle persone del pubblico erano state pagate da me come attori, senza che nessuno lo sapesse, nonostante alla fine il sospetto fosse diventato piuttosto evidente. La cosa strana è che chi pensava di aver individuato l’attore in realtà si sbagliava. Io per primo – ed è stata una fortuna – ho commesso un errore: avrei dovuto distruggere la macchina fotografica dell’attore, ma in realtà, in mezzo al buio, ho preso il telefono di una persona a caso, e da lì ne è nata una rissa, esattamente nel punto e nel momento in cui sarebbe dovuta nascere come da copione, coinvolgendo però delle persone ignare che non dovevano essere coinvolte. Tutto è finito molto prima del previsto, perché a un certo punto sono entrate anche le forze dell’ordine, che chiaramente non sarebbero dovute intervenire. In quel momento si è trattato di una performance per molti aspetti frustrante, ma a distanza di tempo, ripensandoci, mi sembra una performance ben riuscita.
Francesca Vason: Oggi dunque che valore dai a quell’errore?
Nico Vascellari: Quel lavoro mi interessava sotto il profilo della documentazione. Da sempre uno dei punti di ricerca e di interesse della performance è infatti come essa venga documentata, ciò che rimane. Ormai da molto tempo, delego buona parte di questo documentare al pubblico o ai performer che coinvolgo. Affido a delle persone telecamere, macchine fotografiche usa e getta e poche informazioni, e accetto quello che arriva. Un’azione, in fin dei conti, viene creata dalle energie e dalle presenze che ci sono in una stanza. Nel caso della performance di Torino ciò che rimane non è un video, o delle foto, ma sono 12 racconti che ho chiesto al pubblico di scrivere per me.
Francesca Vason: Veniamo all’ultima domanda. Ninos Du Brasil. Dopo due album è recentemente uscito un EP dal titolo Para Araras (2016, Hospital Productions). Prossimi progetti?
Nico Vascellari: Con NdB abbiamo finito di registrare il terzo album che uscirà in autunno. Para Araras è l’EP che anticipa l’album. Araras è il nome di un piccolo paesino in Brasile in cui la maggior parte della popolazione soffre di una malattia dermatologica che impedisce di stare al sole perché, a causa di un problema di pigmentazione e composizione, la loro pelle si scioglie. Si tratta dunque di una sorta di villaggio di vampiri. Il disco parte da questa suggestione e affronta un momento oscuro, cupo, senza perdere affatto, nelle sonorità, quell’aspetto carnevalesco, festoso e leggiadro, di NdB. Questo, in qualche modo, rende più evidente ciò che per me è sempre stato chiaro del gruppo, percepito da molti, ma non da tutti, e cioè che da sempre NdB possiede un’anima piuttosto nera. Quando questo album uscirà ci sarà una rivoluzione sia a livello visivo sia a livello musicale, negli strumenti coinvolti, del live.