Leone Contini, Ricollezioni, 2019.
La seguente bibliografia riunisce insieme alcuni dei testi che hanno ispirato il passato anno di ricerca e produzione artistica del progetto HIDDEN HISTORIES, giunto alla sua terza edizione. HH è un programma pubblico site-specific di performance, laboratori, talk ed esplorazioni urbane per riflettere in chiave decoloniale sul patrimonio storico-artistico della città di Roma.
All’edizione 2021 hanno preso parte Josèfa Ntjam, Leone Contini, Daniela Ortiz, Adila Bennedjaï-Zou.
Adila Bennedjaï-Zou, courtesy l’artista.
Allǝ artistǝ sono state commissionate nuove opere in dialogo con luoghi legati alla vita sociale, politica e comunitaria della città di Roma, che contribuiscono a diffondere contro-narrazioni e propongono immaginari alternativi all’ordine patriarcale e coloniale che condiziona il nostro passato e presente. La questione del linguaggio è stata posta fin da subito come uno degli strumenti attraverso cui scardinare le narrazioni egemoniche, e allo stesso tempo comunicare in maniera chiara i contenuti dei progetti artistici proposti.
Marta Federici si è aggiunta al team nel 2021 nel ruolo di “curatrice delle narrazioni”, per provare a gestire la difficile macchina del rapporto tra linguaggio artistico simbolico, il dischiudersi di tematiche complesse, la presenza di un passato ingombrante, con la velocità di mezzi di comunicazione che permettono pochi approfondimenti. HH ha prodotto dei momenti di approfondimento in forma di newsletter, ha invitato lǝ artistǝ a rilasciare delle interviste che potessero sciogliere i nodi più complessi delle loro ricerche, ha tenuto le fila del linguaggio utilizzato nelle rassegne stampa per mantenere spessore e opacità.
HH è un programma curatoriale concepito da LOCALES – Sara Alberani e Valerio Del Baglivo, con la partecipazione dal 2021 di Marta Federici.
Daniela Ortiz, I figli non sono della Lupa. Foto di Margherita Panizon, “Hidden Histories”, 2021.
La bibliografia è frutto delle nostre letture recenti ed è certamente incompleta per affrontare tutti i temi snocciolati dallǝ artistǝ invitatǝ. L’abbiamo concepita in modo da unire saggistica, narrativa e poesia perché non crediamo ci sia una distinzione netta tra questi generi nel costruire un immaginario decoloniale. E anzi, in fondo tuttǝ questǝ autorǝ utilizzano fatti, immagini ed emozioni in maniera legittima per chiarire e dispiegare i loro argomenti. Abbiamo cercato di inserire testi in italiano, perché il nostro territorio di azione è Roma, ma ci sono troppe lacune per affrontare un compito del genere senza includere la letteratura straniera.
Grazie al lavoro prezioso di Igiaba Scego abbiamo la fortuna di avere un compendio dei luoghi romani nei quali la storia del colonialismo italiano assume forme di visibilità pubblica, attraverso targhe, monumenti e toponomastica che esaltano il progetto imperialista prima, e fascista-coloniale poi.
Impossibile non includere due poetesse – e non solo – come Etel Adnan e Audre Lorde, perché il linguaggio non lineare della poesia ha la forza di destabilizzare il pensiero logico e il sapere scientifico che ordinano il mondo sul binomio verità/subalternità: qui abbiamo indicato due saggi che parlano di linguaggio.
Rachele Borghi è tra le poche autrici bianche italiane a confrontarsi con questo tema, e per chi si avvicina a queste tematiche per la prima volta, il suo libro costituisce un compendio interessante di pratiche, oltre a marcare un interessante distinzione tra il concetto di decoloniale e decolonialità.
Josèfa Ntjam, Mélas de Saturne, film co-prodotto con Sean Hart, 11’ 32min, 2020.
I libri di Octavia E. Butler si leggono tutti d’un fiato, e la recente traduzione di Legami di Sangue è un avvincente romanzo di science fiction in cui i protagonisti superano i confini tra passato e presente, per spiegarci i terribili meccanismi di controllo su cui si basavano lo stato d’eccezione della piantagione schiavista e il suo linguaggio.
La sociologa e attivista Avery F. Gordon è riuscita a spiegare con il termine “haunting” come i sistemi di oppressione e violenza statali tornino a manifestarsi, soprattutto se, come le dittature, vengono negati, o se, come lo schiavismo transatlantico, vengono considerati a torto processi conclusi: i fantasmi non sono perciò lo sconosciuto, l’imponderabile, bensì qualcosa che riemerge e richiede la nostra attenzione“…i fantasmi non sono perciò lo sconosciuto, l’imponderabile, bensì qualcosa che riemerge e richiede la nostra attenzione” mettendo in crisi forme di oppressione, contenimento e violenza.
Probabilmente tra le più acute intellettuali contemporanee, Saidiya Hartman ci spiega nel suo testo come lavorare per dare un nome a una donna schiava assassinata, soprannominata “Venus” negli atti processuali, come comportarci con le lacune degli archivi storici e la loro pretesa di obiettività e come lavorare con la finzione della Storia per pretendere una contro-narrativa, una contro-trama e una diversa fine.
Sulle stesse tracce, In the Wake di Christina Sharp parte da quattro parole (“the wake”, “the ship”, “the hold”, e “the weather”) per ricordare come lo spettro “dell’esperienza della stiva” produca ancora oggi effetti normativi sulla vita degli afroamericani, ma indichi anche traiettorie di possibilità per sconfiggere la supremazia bianca e vivere oggi nella condizione di diaspora.
Il testo di Spivak è un classico quando parliamo di colonialismo, e di come sia costruito il binomio asimmetrico “noi-voi” su cui l’impianto coloniale europeo e occidentale continua a reggersi ancora oggi.
Françoise Vergès ci ricorda da anni come il problema dello schiavismo non possa essere relegato alla sola tratta atlantica, ma riguardi anche la storia delle tratte nel Mediterraneo: e in questo libro ci rammenta come le città europee – Parigi, così come Roma, spesso indicate come città dell’amore, del romanticismo – siano in realtà organizzate urbanisticamente per «mettere in scena lo spirito di conquista, il patriarcato, l’oppressione e l’espansione».
Leone Contini, The scattered colonial body, frame da video, 2017.
Aa. Vv., Le città ingovernabili, «Jacobin Italia», 12, Roma, 2021.
Aa. Vv., «The Against Nature Journal», Issue 2, Winter 2021, published by Council, Paris, 2021.
Etel Adnan, To Write in a Foreign Language, «Electronic Poetry Review», 1, 1996.
Chimamanda Ngozi Adichie, Il pericolo di un’unica storia, Einaudi, Torino, 2020.
Rino Bianchi, Igiaba Scego, Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città, Ediesse, Roma, 2014.
Rachele Borghi, Decolonialità e privilegio: Pratiche femministe e critica al sistema-mondo, Meltemi, Sesto San Giovanni, 2020.
Octavia E. Butler, Legami di sangue, SUR, Roma, 2020.
Avery F. Gordon, Ghostly Matters, Haunting and the Sociological Imagination, University of Minnesota Press, 2008.
Saidiya Hartman, Venus in two Acts, «Small Axe», 26, vol. 12, n. 2, Indiana University Press, June 2008.
Audre Lorde, ZAMI. Così riscrivo il mio nome, ETS, Pisa, 2014 [1982].
Djamila Ribeiro, Il luogo della parola, Capovolte, Alessandria, 2020 [2017].
Christina Sharp, In the Wake: on blackness and being, Duke University Press, 2016.
Rebecca Solnit, Chiamare le cose con il loro nome. Bugie, verità e speranze nell’era di Trump e del cambiamento climatico, Ponte alle Grazie, Firenze, 2019 [2018].
Gayatri Chakravorty Spivak, Can the Subaltern Speak?, in Cary Nelson and Lawrence Grossberg (eds.), Marxism and the Interpretation of Culture, Macmillan, Basingstoke, 1988, pp. 271-313.
Françoise Vergès, De la violence coloniale dans l’espace publique, Shed Publishing, 2021.
Monique Wittig, Sande Zeig, Appunti per un dizionario delle amanti, Meltemi, Sesto San Giovanni, 2020 [1976].