Dal “genio musicale” al “computer compositore”
L’utilizzo sempre più pervasivo delle Intelligenze Artificiali (Artificial Intelligence, AI) e del machine learning ha segnato una svolta nel modo di intendere molte attività umane. Secondo lo storico Harari,11Y. N. Harari, Homo Deus. Breve storia del futuro, Giunti, Firenze, 2017, pp. 36-48 e passim.
non solo alcune attività di concetto, ma anche diverse professioni connesse alla creatività e all’innovazione, saranno in futuro svolte dalle AI. Questa «ingegnerizzazione della creatività»22D. T. Gruner, M. Csikszentmihalyi, Engineering creativity in an age of artificial intelligence, in I. Lebuda, V. P. Glavenau (a cura di), The Palgrave Handbook of Social Creativity Research, Palgrave MacMillan, New York, 2019, pp. 447-462.
ha alla base l’idea che non vi sia una differenza ontologica tra il pensiero creativo umano e quello di una macchina e che quest’ultima, se dotata di sufficiente potenza computazionale e capacità di apprendimento, sarà in grado di sviluppare prodotti creativi o vere e proprie opere d’arte, al pari di un artista in carne e ossa.
Non solo: seguendo questa linea di ragionamento, l’AI sarebbe in grado di raggiungere una maturità artistica e creativa in tempi sensibilmente più brevi rispetto a quelli che sono, di solito, richiesti a un autore umano. Vanno infatti considerati sia i decenni necessari a formare una certa sensibilità estetica e consapevolezza tecnica, sia l’opportuna esperienza sul campo: tempi che nel caso delle AI possono essere abbreviati attraverso la programmazione. Allo stesso modo, si possono accorciare sensibilmente le tempistiche necessarie a produrre una nuova composizione, un aspetto di cui, nella cosiddetta industria musicale, si tiene conto.
Infine, va considerato che mentre nel caso dell’essere umano la “genialità” non si può programmare né creare in vitro, ma è frutto di un delicato e irripetibile connubio di predisposizione innata ed esperienze di vita, nel caso delle AI vi è l’ambizione di creare un “genio” in provetta, sfruttando i progressi interdisciplinari nella comprensione dei processi creativi umani.33Ibid.
Ciò renderebbe, almeno in teoria, riproducibile sia l’opera d’arte, che lo stesso artista, visto non più come essere umano in carne e ossa, ma come computer o AI dotato delle stesse capacità creative e sensibilità estetiche del suo corrispettivo umano.
Prima di mettere in luce i limiti di questa concezione e i possibili elementi di contraddizione e ambiguità, può essere utile entrare più nel dettaglio delle caratteristiche della composizione digitale, esplorando lo “stato dell’arte” dal punto di vista delle AI per comprendere su quali basi poggiano la creazione artistica digitale e le sue implicazioni per l’estetica.
Fondamenti di composizione musicale
Questo breve paragrafo esplorerà dal punto di vista tecnico le procedure di composizione musicale adottate dalle AI nell’ambito della Digital Music, prima di fornirne un’interpretazione critica. Per esplorare questo aspetto del tema, ci baseremo primariamente su articoli scientifici recenti.44Cf. J. W. Hong, K. Fischer, Y. Ha, Y. Zeng, Human, I wrote a song for you: An experiment testing the influence of machines’ attributes on the AI-composed music evaluation, in “Computers in Human Behavior”, vol. 131, 2022, e107239.
Le AI di attuale generazione sono in grado di comporre in maniera autonoma partiture, utilizzando algoritmi completamente automatizzati, che non richiedono alcun input umano. Un algoritmo è una sequenza finita di operazioni che si basano su una serie di regole e che sono finalizzate a risolvere un problema e/o a eseguire un compito. La sequenzialità delle procedure si basa su calcoli, ha dunque una base computazionale. Per questo, tale procedimento di composizione viene anche definito «composizione algoritmica».55Ibid.
Se adeguatamente programmate, le AI sono in grado di comporre brani musicali in maniera “antropomorfa”, cioè emulando l’approccio alla composizione di un essere umano. La programmazione prevede di “insegnare” al dispositivo (chiaramente in linguaggio-macchina o mediante l’interfaccia utente) le regole della composizione. Attraverso un processo noto come deep learning, la macchina apprende una moltitudine di metodi algoritmici per la composizione, sviluppando una «rete generativa» che le consente di rielaborare in maniera creativa le regole apprese, sfruttandole per comporre qualcosa di totalmente nuovo e originale.66 Ibid.
La macchina (o AI), dunque, compone nel senso che essa com-pone, pone insieme, “assembla” unità discrete che acquistano un senso coerente in virtù di princìpi matematici dalla valenza piacevole o spiacevole per l’uomo che la utilizza. Teoricamente, l’AI è anche in grado di registrare questi brani, sfruttando la quantizzazione e digitalizzazione del materiale sonoro. Ciò rende la macchina, una volta programmata dall’essere umano (o da un’altra macchina), relativamente autonoma lungo tutte le tappe che portano dall’iniziale concepimento di un brano alla sua effettiva composizione, esecuzione e pubblicazione.77 Ibid.
L’artista (ma anche il semplice utente) si riserva così il ruolo iniziale: egli fornisce l’input o il comando alla macchina, magari dandole anche alcune coordinate sulle quali basare la propria composizione, che vanno dalla tonalità alle sfumature armoniche e ritmiche desiderate, oppure al genere di musica nel quale si desidera che essa componga, o ancora al mood, al tipo di “umore” che ci si aspetta dalla composizione, e così via.
Un “vicolo cieco” nell’estetica digitale?
La semplicità nel descrivere i meccanismi computazionali alla base della composizione musicale si scontra con la difficoltà di definire l’estetica digitale, sia dal punto di vista compositivo che da quello della fruizione, come documentato di recente da Fazi.88M. B. Fazi, Digital Aesthetics: The Discrete and the Continuous, in “Theory, Culture & Society”, vol. 36, 2018, e026327641877024.
Molti elementi, sia di forma che di sostanza, separano ormai l’estetica musicale “classica” da quella digitale, proprio per effetto delle mutate abitudini di fruizione, composizione e registrazione delle opere musicali rispetto al passato.
In parte, la difficoltà nel definire l’estetica digitale nasce dalla convinzione che quest’ultima sia carente sotto il profilo sensoriale, poiché priva di un substrato biologico. Si tratta di un aspetto centrale del nostro ragionamento, in quanto, finora, si è considerata la composizione musicale come un processo disincarnato, che avviene nella mente dell’autore e che, come tale, può essere replicato anche da un dispositivo digitale, se dotato di sufficiente potenza di calcolo.
Una possibile obiezione all’idea che la composizione musicale sia un processo esclusivamente mentale e abbia una base computazionale deriva proprio da una concezione “forte” di estetica.99Ibid.
Non va dimenticato che il termine αἴσθησις indica, in sé, una mediazione esercitata dai sensi, sensi che hanno una base fisica, biologica, organismica, del tutto assente in un calcolatore.
Deleuze, tra gli altri, ha contrapposto in maniera netta la continuità del pensiero e della sensazione alla discrezione delle tecniche formali e computazionali, che riconducono il sentimento a un meccanismo automatizzato, sempre disponibile.1010G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Cortina, Milano, 1997, pp. 165-184.
Tra la qualità del pensiero e del sentimento umano (dunque anche dell’estetica) e la quantità dei processi computazionali non vi sarebbe dunque possibilità di transizione, per via di uno iato incolmabile, e questo costituirebbe un limite ontologico delle nuove tecnologie, incluse quelle afferenti alla Digital Music.
Per di più, un calcolatore è in grado di assemblare in maniera armonicamente ordinata ed esteticamente piacevole le note, fino a formare una composizione, ma non avendo un corpo, non è in grado di “sentirle”, di far risuonare le sensazioni associate a questa composizione dentro di sé.1111E. S. Mikalonytè, M. Kneer, Can Artificial Intelligence Make Art?: Folk Intuitions as to whether AI-driven Robots Can Be Viewed as Artists and Produce Art, in “ACM Transactions on Human-Robot Interaction”, vol. 11, n. 4, 2022, pp. 1-19.
In altre parole, un limite della composizione digitale a opera di AI e calcolatori è legato al fatto che questi dispositivi sono privi di corpo e non hanno, dunque, la possibilità di intrattenere un rapporto esclusivo, di natura estetica, con la propria opera. Questo renderebbe difficile il passaggio dalla quantità alla qualità, ovvero da una mera procedura di calcolo a una “incarnazione” della musica, che è ciò che la rende ineffabile, non riducibile alle proprietà fisiche del suono così come a quelle strettamente matematiche.1212Fazi, cit., e026327641877024.
La musica è il prodotto di una RELAZIONE
La musica è il prodotto di una relazione non solo interna, tra nota e nota, ma anche esterna, tra il suono, l’autore e l’ascoltatore: il suo valore non è insito nella semplice produzione sonora, quanto nell’intenzionalità di chi suona (e compone) e di chi ascolta. L’AI sarebbe dunque un autore “sordo” rispetto al piacere (o al dispiacere) che potrebbe provare nell’ascoltare la propria composizione e “cieco” rispetto al piacere (o al dispiacere) che potrebbe provare il pubblico nell’ascoltarla.
La composizione non avverrebbe per un libero gioco delle sensazioni, per un accumulo di esperienze, o anche solo per le semplici motivazioni economiche, affettive, intellettuali che tutte insieme partecipano a ispirare l’autore: avverrebbe su comando dell’utente stesso, mediante un input esterno. La macchina è in grado di comporre, ma non è in grado di decidere in autonomia quando comporre; la sua capacità compositiva è costante nel tempo, non è soggetta alle fluttuazioni di cui vive l’estro creativo dell’autore, frutto di un accumulo di sensazioni, vissuti e moti dell’animo spesso involontari e capricciosi, che proprio nella loro incostanza rivelano la valenza effimera e contingente della produzione artistica.
La capacità generativa della macchina è costante nel tempo, atemporale, e proprio per questo priva di quella continuità qualitativa che deriva dalla sua temporalità e dalla sua finitezza, dalla necessità, per la coscienza intenzionale, di focalizzarsi sulla propria esperienza estetica per valorizzarla e comunicarla all’esterno di sé.1313Baker, S., Time and the Digital: Connecting Technology, Aesthetics, and a Process Philosophy of Time, Dartmouth College Press, Hannover, NH, 2012, pp. 34-49 e passim.
Inoltre, sempre secondo Deleuze,1414Deleuze, cit., pp. 165-184 e passim.
non sono solo il corpo e il soggetto, ma il sensibile in generale a “registrare” le esperienze, convertendole in estetica e, eventualmente, dando loro una forma artistica. Ci si deve dunque chiedere se il digitale sia o possa essere dotato di una qualche forma di sensibilità tale da giustificare l’ingresso in una nuova estetica.
Se questo costituisca un limite effettivo e invalicabile, oppure temporaneo, dell’estetica digitale, è oggetto di dibattito. Fazi1515Fazi, cit., e026327641877024.
suggerisce che a fondamento di un’estetica digitale non vi sarebbe la macchina in sé e per sé, ma l’essere umano – come soggetto pensante e sensibile – colto nella sua relazione mutevole e imprevedibile con la macchina. Allo stesso modo, nella Digital Music l’aspetto di interesse filosofico potrebbe essere l’effetto a livello di aisthesis prodotto da composizioni non umane, ma artificiali.
Il rapporto essere umano-macchina entra in gioco anche quando si parla di composizione digitale a opera di AI. A tale proposito si osserva:
«Si vede qui la difficoltà fondamentale incontrata da un’aisthesis (cioè una conoscenza sensoriale) del digitale. Questa difficoltà riguarda la possibilità (o l’impossibilità) di attribuire una capacità produttiva alle strutture informative, calcolatrici, codificate dell’informatica digitale. Il potere dinamico e generativo della sensazione contrasta con la natura statica dei mezzi formali, finiti e binari attraverso i quali la macchina informatica digitale imbriglia il vissuto. La ricchezza e la densità della sensazione, al centro dell’estetica-come-aisthesis, si scontra così con il computer, inteso sia come prodotto che come produttore di astrazioni cognitive e rappresentazioni logocentriche. Il conflitto che deve affrontare un approccio estetico al digitale, quindi, è quello tra ciò che si suppone possa creare il nuovo e ciò che si suppone non lo possa fare».1616Ibid. Traduzione dell’autrice.
Da ciò si comprende come, allo stato attuale dell’indagine filosofica sul rapporto tra composizione, estetica e Digital Music, si possa parlare di un «vicolo cieco ontologico»,1717Ibid. Fazi parla letteralmente di «disaccordo metafisico tra l’indeterminatezza del vissuto, da un lato, e il determinismo di cui la macchina digitale ha bisogno per operare e funzionare, dall’altro».
di un intreccio di contraddizioni ancora lungi dall’essere pienamente districato. Vale la pena di notare che, secondo alcuni autori, il superamento dei procedimenti algoritmici “classici”, fondati su una logica binaria e discreta, in favore di nuove potenzialità generative di tipo stocastico ed euristico, potrebbe avvicinare in maniera radicale la capacità generativa delle AI a quella umana.1818M. Mazzone, A. Elgammal, Art, Creativity, and the Potential of Artificial Intelligence, in “Arts”, vol. 8, 2019, p. 26.
La macchina si troverebbe a quel punto in possesso di una potenzialità creativa e di una struttura cognitiva ed estetica più simile a quella umana, poiché in grado di concepire la contingenza, l’indeterminatezza, in luogo di un costante determinismo. Questo contatto con la contingenza e con il caos che costituiscono, intrinsecamente, la musica, rappresenterebbe un decisivo progresso per l’estetica digitale.1919 Per quanto, comunque, in assenza di un vero e proprio corpo (dunque anche di una coscienza e di vissuti riferibili a sé), la dimensione fenomenologica, biologica e “organica” dell’esperienza estetica e creativa resterebbe, per l’AI, una mera simulazione.
Esempi recenti e prospettive future
Sono trascorsi oltre 65 anni da quando, nel 1957, Music I, un software di sintesi sonora che impiegava modelli stocastici per assemblare toni musicali, compose una melodia lunga 17 secondi, dal titolo The Silver Scale. Questo primo esempio di computer music è stato seguito da tentativi sempre più sofisticati di creare macchine che generano musica.2020Per una rassegna, cf. B. L. T. Sturm, M. Iglesias, O. Ben-Tal, M. Miron, E. Gomez, Artificial Intelligence and Music: Open Questions of Copyright Law and Engineering Praxis, in “Arts”, vol. 8, n. 3, 2019, p. 115.
Le più recenti, MidiNet e MuseGAN, si basano sui Generative Adversarial Network (GAN) descritti in precedenza, ma non è da escludere l’utilizzo, in futuro, di nuovi sistemi di generazione musicale in grado di comporre non a partire da algoritmi, bensì sulla base di processi di pensiero più simili a quelli umani, di natura euristica e stocastica.2121Ibid.
Le AI sopracitate compongono a partire da un repertorio sconfinato di tracce memorizzate, che vengono combinate tra loro fino a formare un brano originale. Un percorso diverso è quello intrapreso dalla nota multinazionale Google, che ha sviluppato un altro software, ancora sperimentale, chiamato MusicLM, in grado di comporre musica a partire da un’analisi di differenti media.
Parallelamente, fin dagli anni Ottanta, autori e musicisti nell’ambito della Digital Music, da Brian Eno2222A Eno si deve la popolarizzazione dell’espressione “musica generativa” intesa come musica che viene creata da un sistema appositamente programmato e che cambia costantemente, auto-generando sé stessa. Il primo esempio di musica generativa sviluppata da Eno è Discreet Music (1975).
a David Bowie, si sono avvalsi di queste tecnologie per produrre partiture e testi. Il caso di Eno è emblematico, poiché dopo aver sperimentato nel campo della musica ambient auto-generativa negli ultimi vent’anni, precorrendo i tempi, recentemente ha rilasciato un album, Reflection, di cui esiste una versione auto-generativa che riproduce i brani a ciclo continuo, modificandoli a seconda dell’orario della giornata.
In conclusione, l’estetica digitale può rappresentare una nuova prospettiva da cui guardare agli effetti della digitalizzazione e della diffusione delle AI, superando vecchie dicotomie e aprendo nuovi interrogativi. È opportuno indagare le prospettive future di questa interazione e anche gli eventuali rischi, che è compito della filosofia intercettare, lontano sia da facili allarmismi e da populismi, che da banalizzazioni, dovute anche a scarsa conoscenza del fenomeno.
L’articolo è un estratto della sua tesi magistrale in estetica riguardante il problema dell’autore nella musica composta in AI.
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