In una scala da uno a cinque, dove uno è «per niente» e cinque «molto»
come valuti il tuo senso di perdita di identità? Come valuti la tua esperienza di puro Essere?
Come valuti la tua percezione di fusione in un tutto più ampio?
Caro papà,
i funghi psichedelici non fanno male, anzi, fanno bene. Non ho grossi dubbi a riguardo. Conscio della tua avversione e del tuo scetticismo, ti scrivo questa lettera-saggio, con l’ambizione di dissipare le tue certezze e stimolare, perlomeno, il dubbio. Per far ciò, utilizzerò gli strumenti della logica, dello studio, dell’esperienza. In queste poche righe posso solo condensare alcuni accenni: oramai le ricerche sperimentali e i testi divulgativi sui “funghetti” sono davvero numerosi e dettagliati. Articolerò il testo in brevi paragrafi titolati con sette asserzioni da argomentare, discutere e confutare, più un “trip-report” di tuo figlio. Con l’augurio di farti cambiare idea, ti invito, se vorrai, a una replica, da pubblicare in calce a questo scritto.
SONO UNA DROGA
Cerchiamo di definire cos’è una droga. Prima di tutto sarebbe sempre meglio parlare di “droghe”, al plurale, essendo raggruppate intorno a questo sostantivo sostanze profondamente diverse. D’altronde, come ci segnala Giorgio Magini (2020, p. 300): «Raramente ci si ricorda che è una parola sequestrata da un impiego tradizionale, che voleva, secondo l’etimo di Ottorino Pianigiani, una “pianta secca riserbata agli usi della farmacia e della cucina”». La Treccani ci dice che la droga «nel linguaggio corrente, [è] qualsiasi sostanza capace di modificare temporaneamente lo stato di coscienza o comunque lo stato psichico dell’individuo».
Culturalmente, seppur resiste ancora qualche insegna “droghiere”, associamo al suo significato concetti quali “proibito”, “illegale”, “dipendenza”, “danno”. In effetti, l’Enciclopedia popolare Wikipedia così esordisce nel definirla: «Una droga, nell’uso più comune del termine dalla metà del XX secolo, è una sostanza, naturale o di sintesi, che altera la coscienza o la percezione o l’umore, il cui consumo può portare a dipendenza fisica o psichica o a danni alla salute, dell’utilizzatore o di altri, e la cui fabbricazione, distribuzione e uso è nella maggioranza dei casi vietato o regolato dalla legge». Quale definizione vogliamo seguire?
Se ci affidiamo alla percezione “pop”, rifiuto di definire i funghi psichedelici come “droga”, in quanto, come vedremo a breve, non causano danni alla salute e neppure dipendenza. In effetti, se proprio vogliamo affidarli a una famiglia, indicherei quella degli “psichedelici”, ovvero, nel suo etimo: unione del termine greco psyché (“soffio, respiro, spirito, mente”) e deluon (“manifestare”). Con Eduardo Kohn (2013, p. 35), che ha l’ambizione di fondare una «scienza psichedelica» ispirata «alla foresta vivente», diciamo: «Pensare in modo psichedelico ci apre a pensieri psichedelici che emergono nel mondo vivente. Ciò ci consente di scoprire l’Io più grande da cui nasciamo, quell’Io che sorge quando facciamo morire il piccolo Io individuale e umano». Ecco, forse, i funghi psichedelici sono induttori di una forma specifica di pensiero, magari di linguaggio. Per rimanere nei termini di Kohn, possiamo ipotizzare che riducano il campo del pensiero simbolico a vantaggio di quello iconico. Così facendo, manifestano il soffio di un Io tentacolare e diffuso, il respiro del cosmo nella sua totalità, al di là della sua rappresentazione guidata nel regime della coscienza individuale e del linguaggio simbolico.
Vedremo poi, con l’ausilio di numerosi esperimenti neuroscientifici, come e perché questo dissolvimento dell’Io accade. Per ora limitiamoci a dire che la famiglia delle “droghe” non facilita l’accesso e la comprensione della sostanza dei funghetti. Una sostanza «“enteogena” (“che rivela il dio che è in te”), in riferimento al fatto che lo scopo principale del loro uso è quello di ottenere stati mentali di ispirazione religiosa» (Pagani 1993, p. 6). Proprio l’esperienza mistica può definire la funzione più “elevata” dei funghi psichedelici. A conferma di ciò, la letteratura è immensa: nei migliaia di trip report (si veda Fiore 2020, pp. 75-91), nella ricerca sperimentale, fino alla divulgazione streaming.
CAUSANO DANNI AL CERVELLO
La retorica associata alla “droga” del tipo “brucia le cellule del cervello”, “può farti impazzire”, “ci puoi rimanere sotto” è del tutto fuorviante se riferita ai funghetti. E allora, che succede al cervello quando si assumono funghi psichedelici?
Negli ultimi anni, grazie agli strumenti e alle tecnologie fornite e sviluppate dalle neuroscienze, abbiamo avanzato alcune ipotesi. Il Center for Psychedelic Research dell’Imperial College di Londra, guidato da Robin Carhart-Harris e David Nutt, sta svolgendo un’intensa ricerca sperimentale. Grazie alle tecniche di brain imaging siamo in grado di osservare che cosa succede al cervello durante l’assunzione di funghi psichedelici. Ebbene, diversi esperimenti hanno registrato che la psilocibina (il principio attivo dei funghetti) altera l’attività della rete neuronale che connette diverse aree cerebrali nota come il DMN – Default Mode Network (Carhart-Harris et al. 2012, 2014a, 2014b). Il DMN è considerato implicato nella costruzione del senso soggettivo del sé e si attiva nelle fasi di apparente riposo (resting state), quando la mente non è concentrata su un compito preciso. Favorisce soprattutto i processi “metacognitivi” di livello superiore come l’autoriflessione, i sogni a occhi aperti (daydreaming), il problem solving, gli insight e le costruzioni mentali. Tutte queste funzioni sono probabilmente esclusive degli esseri umani e, più specificamente, degli esseri umani adulti, giacché il DMN entra in funzione tardi nel corso dello sviluppo (Pollan 2018, p. 316). Possiamo quindi ipotizzare che l’esperienza metafisica di dissoluzione dell’ego sia legata proprio alla rimodulazione del sistema, permettendo cambiamenti nella narrativa di sé. I funghi psichedelici sembrano, infatti, implicati nell’alterazione degli schemi neuronali del DMN, permettendo letteralmente nuove connessioni tra le regioni del cervello e di guadagnare flessibilità cognitiva:
«Quando […] il cervello è sotto l’influenza della psilocibina, si formano migliaia di nuove connessioni tra regioni cerebrali lontane che nella coscienza in un normale stato di veglia non si scambiano molta informazione. In effetti, il traffico viene reindirizzato da un numero relativamente contenuto di autostrade a una miriade di strade più piccole che collegano molte più destinazioni. Il cervello sembra diventare meno specializzato e, nell’insieme, più interconnesso, con una quantità considerevolmente superiore di rapporti o “conversazioni”, tra i suoi quartieri» (ibid. pp. 331-332).
Inoltre, Carhart-Harris e Nutt parlano di «cervello entropico», capace di attivare uno «stato di coscienza primitiva o primaria che precede lo sviluppo di quella moderna, adulta, umana» (Carhart-Harris et al. 2014b).
Uno stato di coscienza che permette di prescindere le sovrastrutture e le conoscenze individuali. Un accesso diretto all’inconscio e a forme di percezione e pensiero “pre conoscenza umana”? Uno strumento per sperimentare nuovi stati di coscienza? Possibile, quindi, che i funghetti stimolino le condizioni per l’esperienza di un “cervello-cosmico” che permette ai cervelli di diverse specie di entrare in contatto e comunicazione? Insomma, in quella forma di «pensiero iconico» sopracitato, attribuito da Kohn alle foreste. Possiamo quindi ragionevolmente ipotizzare che l’assunzione dei funghi psichedelici può determinare l’aumento della plasticità cerebrale tramite l’ampliamento connettivo delle reti neuronali.
CREANO DIPENDENZA
In base all’esperienza personale, alle testimonianze con cui ho dialogato e alla letteratura scientifica passata in rassegna possiamo dire seccamente: no. L’esperienza psichedelica è un evento che richiede attenzione, preparazione, tempo. Sta nell’ordine del rituale, e dalle illustrazioni di sacerdoti che stringono funghi ritrovate nella grotta di Tassili n’Ajjer in Algeria possiamo ipotizzare un loro uso “consapevole” da almeno 7.000 anni! (di Vita 2021, p. 12)
Negli ultimi anni, si è sviluppata la pratica del microdosing, ovvero piccole assunzioni giornaliere di psichedelici. Fa notizia la “norma” di questa pratica tra i “creativi” della Silicon Valley. Diversi esperimenti stanno testando la validità del microdosing a scopo terapeutico. Inoltre, mentre la controversia sulla validità del microdosing è ancora molto accesa tra gli scienziati (Kuypers et al. 2019), sono piuttosto concordi gli studi sperimentali sui funghi psichedelici come strumento per combattere diversi tipi di dipendenze, dall’alcool al tabacco oltre che nel trattamento di disturbi depressivi e dell’umore (si veda l’esaustiva review scientifica, Lowe et al. 2021).
POSSONO FARTI SENTIRE MALE
Chiariamo subito che non si può morire di “funghetti”. Una possibile overdose potrebbe avvenire con l’assunzione di 17 kg (17!) di funghi freschi (van Amsterdam et al. 2011) e in ogni caso si vomiterebbe prima. Il “male fisico” che possiamo associare ai funghi è un senso di nausea iniziale (ecco perché è consigliabile mangiarli dopo una leggera colazione). Oppure, al massimo, una grande stanchezza dopo il “viaggio”.
Rimane lo spauracchio del bad trip, ovvero un’esperienza psichedelica infelice, paurosa, ansiogena. Ora, questo può capitare. Però, anche se “negativa”, l’esperienza può essere rivelatrice di qualcosa che varrebbe forse la pena approfondire. In ogni caso, per evitarlo, a mio parere, basterebbe seguire piccole accortezze:
- non avere ansie o pressioni di cose da fare, impellenze, impegni, burocrazie, lavoro ecc.;
- dedicare due giorni al vivere e rielaborare l’esperienza in serenità;
- costruire una dimensione rituale, come per esempio: iniziare il viaggio all’alba, scegliere un luogo particolarmente significativo, avere delle “domande” ecc.;
- stare in natura, avere un “campo-base”, una “zona-rifugio”;
- condividere l’esperienza con persone che si amano, di cui si ha particolare fiducia e stima;
- ricordarsi di bere piccoli sorsi d’acqua per rimanere idratati;
- avere con sé succhi di frutta e cibo.
Così facendo l’esperienza “male” non intaccherà il piacere della vostra esperienza psichedelica. E proprio contro il “male” torno a citare gli incoraggianti esperimenti riguardanti l’uso terapeutico dei funghi psichedelici. Le ricerche empiriche hanno raccolto/stanno raccogliendo dati incoraggianti per la cura della depressione, delle dipendenze, degli stati ossessivi, dell’ansia nei malati terminali di cancro. Si ipotizza quindi un uso associato alle terapie psicologiche.
Inoltre, l’aspetto curativo si riscontra non solo nelle malattie più o meno gravi: i funghi psichedelici possono aiutare l’empatia, i rapporti interpersonali, lo sviluppo del pensiero divergente, il rispetto per le alterità, la predisposizione alla gioia e alla bellezza proprio perché incrementano la plasticità cerebrale (cf. la letteratura raccolta da Giannini 2020, pp. 109-126, Micheal Pollan 2008, pp. 305-407).
HO PAURA DI PERDERE IL CONTROLLO
C’è in effetti una perdita di controllo dovuta alla riduzione di aree corticali di monitoraggio e inibizione a favore dell’attivazione delsopracitato «cervello entropico». Una condizione di “caos cerebrale”, un caos, però, creativo: «Introducendo più rumore o entropia nel cervello, gli psichedelici potrebbero riscuotere chi sta bene dai suoi consueti schemi di pensiero […] in modi forse in grado di aumentare il benessere, renderci più aperti e promuovere la creatività» (Pollan 2008, pp. 341-342).
Questa perdita di controllo esiste nell’esperienza psichedelica, ma come forma di apertura all’orizzonte del possibile. È come se, alla guida di un mezzo anfibio, dapprima negli striati percorsi conosciuti, ci trovassimo nello spazio liscio di una tavola acquatica, senza coordinate, in un campo di acrobazie inedite. È come se la percezione si espandesse, meno legata al controllo, co-guidata da figure mitiche. Inoltre, questo controllo-espanso è responso-abile. I funghi psichedelici non ci co-guidano verso situazioni pericolose. Neanche nei momenti in cui scompare la coordinata spazio-tempo che di solito determina la cognizione del nostro essere.
NON OCCORRE ASSUMERE SOSTANZE PER STARE BENE
Questa asserzione mi genera un po’ di confusione. Tutti noi, a partire semplicemente dal cibo, assumiamo sostanze per stare bene. Capisco che l’equilibrio sia nella misura del danno che l’assunzione di certe sostanze può causare al corpo. Una gustosa carbonara sappiamo non essere un toccasana per la salute. Ogni tanto, però, visto il piacere che può provocare mangiarla, ci concediamo un tale rischio. Stessa cosa per un bicchiere di vino. Insomma, occorre necessariamente assumere sostanze per stare bene. Certo, il cibo è una sostanza essenziale per la vita. Senza, moriremmo. Ma quante sostanze non essenziali assumiamo? E perché una sostanza che può migliorare la qualità della nostra esistenza non può essere ritenuta essenziale? E chi decide cosa sia essenziale per me per stare bene?
In ogni caso, per quanto riguarda i funghi psichedelici, sappiamo che nello spettro male-bene la lancetta oscilla decisamente verso il bene anche se diverso da quello associato per esempio al nutrimento. Di fatto, la psilocibina si sta rivelando una sostanza alternativa e molto meno dannosa per numerose terapie farmacologiche (cf. le fonti di Giannini e Pollan sopracitate).
NON MI INTERESSANO CERTE ESPERIENZE
Qui quasi mi taccio. La prova del fungo psichedelico esige curiosità verso l’esperienza di dissoluzione dell’ego, apertura alla percezione del “tutto” e dell’“essere”, simpatia per l’estasi e la mistica, un po’ di voglia d’avventura, di sorpresa e di meraviglia. E in effetti certi stati, seppur di diversa intensità e sfumatura, si possono raggiungere anche attraverso la meditazione, alcuni esercizi di respirazione, la deprivazione sensoriale, il digiuno, la ripetizione, gli sport estremi, la musica, la ritualità, certi tipi di preghiera ecc. Resta però il fatto che considerati i dati storici, esperienziali e sperimentali, possiamo ritenere che i funghi psichedelici siano uno strumento più immediato e “semplice” per fare esperienze di alterazione della coscienza che qui considero come benefiche per l’individuo e la sua narrazione personale. E quindi mi chiedo: perché i funghi psichedelici sono banditi dalla legge?
UN TRIP-REPORT DI TUO FIGLIO
25 Aprile 2018
Assumo circa 3 grammi di funghi alle 08.40. Siamo in casa. Ci dirigiamo verso il parco della Caffarella, dove arriviamo alle 9.10 circa. Per le 9.20 mangio circa 1 ulteriore grammo. Da notare che i funghi erano di conserva (più di un anno conservati sotto riso). Intorno alle 9.30 sento i primi effetti di euforia, mi sento energizzato. Questo durante la prima sosta vicino a una pozza d’acqua, salgo un leggero pendio, mi isolo e avverto le prime fasi di “connessione” con ciò che mi circonda. Continuiamo a camminare e raggiungiamo il Ninfeo di Egeria. Qui iniziano i primi effetti “psichedelici”. Se fisso i ruderi del ninfeo, grazie alla simmetria dell’architettura, la visione si trasforma in un pattern astratto. Questo pattern copre tutto il campo visivo, tutte le altre sensazioni (specie quelle uditive e olfattive) si attutiscono e diventano “ovattate”. Sono all’interno del pattern. Assumo un atteggiamento di preghiera. Percepisco la funzione e lo scopo del Ninfeo. Continuiamo a camminare seguendo alcuni sentieri. Arriviamo a un pratone, sento che è il momento di fermarsi. Formiamo il primo “accampamento”. Sono le 10.05, capisco che il trip sta per iniziare. Prendo le cuffie e metto un pezzo degli Arcade Fire. Prendo il bastone-flauto e inizio a camminare da solo. Ora sia il tempo che lo spazio sono dilatati. 5 minuti sembrano un tempo molto più lungo. Anche le distanze sono estremamente dilatate. Ogni spazio, ogni visione, è inoltre carica di un significato simbolico. I colori si fanno più vividi e intensi. Esploro lo spazio senza però allontanarmi troppo dall’accampamento (ho timore ad allontanarmi troppo). C’è un sentiero che non voglio attraversare… passo per una specie di boschetto con vari alberi… continuo a esplorare finché non scopro una Cisterna Romana. Tutto è bellissimo, anche le persone… Dei ragazzi che giocano presso la Cisterna mi sembrano una cosa stupefacente. Entro, tra le ortiche, nella Cisterna. Ho la sensazione di entrare nel Ventre Materno. Esco da un’altra uscita… mi allontano… questa fessura, che si sovrappone a un’altra fessura, sembra proprio una vagina… rinascita? Incontro e saluto C., ritorno al campo base, c’è S. sdraiata. Sono passati appena 25 minuti ma sembra davvero tantissimo tempo. Provo a parlare con S. Bevo. Aspettiamo il ritorno di C. per spostarci. Credo che nel frattempo ho ascoltato della musica e ballato. Arriva C., decidiamo di spostarci verso la collinetta, in una zona ombreggiata. Durante lo spostamento comunico a C. e S. che ho intuito che parte dei miei atteggiamenti sono un “guardami-guardami” nei confronti di mia madre, probabilmente a causa dell’avvicinata nascita di mia sorella. Nuova “passeggiata”. Colonna sonora “Neon Bible” degli Arcade Fire. Ritorno nel ventre di mia madre. Continuo a esplorare lo spazio. Tutta l’esplorazione avviene ritmicamente, una specie di danza continua con il bastone. Il bastone è stato un elemento vitale, mi riportava alla terra, mi faceva giocare con la gravità, volteggiava, mi dava il ritmo. La presenza del flauto incorporato mi dava sicurezza, la possibilità di un “richiamo al reale”. I colori sono sempre più vividi, i dettagli sempre più presenti: nel prato distinguo con esattezza piante, fiori, insetti… di tanto in tanto inseguo una farfalla. “Studio” la cisterna-ventre, ci giro intorno… trovo un piccolo avvallamento nel terreno, una specie di cerchio sopra-elevato. Mi siedo a gambe incrociate. Mi sento in pace, quasi una figura-sciamano che domina e rispetta la Terra. Ho una sensazione di profondissima fusione con la natura. Continuo il cammino-danza. Mi avvicino a un prato lilla… i colori sono così intensi da lasciarmi sbalordito… attraverso il campo e trovo C. disteso in un angolo che ride… Sono contento di incontrarlo, di averlo incontrato in questo momento, nel prato lilla. Lo saluto, scambiamo due parole e continuo il viaggio. Ora mi allontano. Corro giù per una nuova vallata. Ho sempre più la voglia di esplorare lo spazio, questa volta correndo. Alle volte passo per i sentieri, altre mi inoltro nella boscaglia e tra le piante. Tutto senza timore. Raggiungo un campo di spighe molto alte, qui mi “fondo” e “danzo” con loro. Una profonda sensazione di sinestesia tra tutti i sensi mi raggiunge. Continuo la corsa-danza. Mi sono perso, non so dove sono. Questo mi rende felice, non ho assolutamente paura di perdermi. So che c’è comunque un posto dove tornare, nei pressi del ventre di mia madre. Le persone, che vista l’ora continuano ad aumentare, non le sento minacciose. Sorrido. Durante questa corsa-danza-perdita-esplorazione “penso” alla mia vita. E penso, in sintesi, che le cose vanno bene… che è tutta una questione di ritmo, di saper equilibrare le relazioni, di essere “onesti” e chiari … capisco che la vita è invasa dal superfluo, che il “nocciolo” è davvero altrove ed è fatto da noi e da come ci relazioniamo con il mondo esterno… continuo la corsa e mi ritrovo vicino al fiume… osservo lo scorrere dell’acqua… ricordo che sono già stato in quel luogo l’anno scorso con S… supero il ponte correndo… vado verso il grande albero ormai a terra da tempo. Mi avvicino all’albero, lo osservo da vicino, gli salto sopra. Di scatto, sempre correndo, torno sui miei passi. Vedo un signore anziano. Lo osservo, “vedo” la sua melanconia di fronte alla morte. Mi fa tenerezza, la morte mi sembra in fondo tenera. Continuo a esplorare, salgo un lieve pendio, lo scavalco. Mi appare un gregge di pecore. Momento di intensa contemplazione della natura. Bellezza totale. Vedo il ventre-cisterna, e mentre mi dirigo per raggiungerlo, incontro un cane pastore. È felice e sorridente. Lo osservo. Abbiamo una specie di dialogo. In qualche modo dialogo con il cane pastore che mi dice che va tutto bene. Lo saluto con un inchino, lui mi saluta con un sorriso. Vado verso il ventre di mia madre. Lo osservo. Lo studio. Decido di ri-entrare e ri-uscire. Decido, quasi di istinto, che posso salire sulla cisterna (c’è una specie di corridoio laterale che permette di raggiungere il tetto). Con estrema velocità e agilità raggiungo il tetto. Sono solo. Ho la sensazione di aver raggiunto qualcosa, di aver finalmente scalato il ventre-materno. Penso di aver raggiunto una certa maturità grazie a questa “scalata”. Tolgo la musica. Osservo il panorama. Sensazione di pienezza, consapevolezza di aver chiuso una fase del trip. Osservo le persone. Penso che ognuno, a proprio modo, possa trovare la propria strada. Un bambino vestito come il padre: esplora, cappello e occhiali da sole; attività ginniche… arriva un gruppo in bici, scendo e torno al campo base. Parlo con S., gli chiedo sempre se va tutto bene e sono molto tenero, sono circa le 11.00-11.30. Bevo, decido di prendere circa altri 0,20 grammi di funghi. Sono molto sudato e indifferente ai segni delle “corse-selvagge”. Torna C. Decido di portarlo a vedere l’interno della cisterna. Gli racconto le mie teorie… e lo porto sul tetto. Qui parlo molto con C., parliamo anche con due ragazzi… parliamo della Roma che ha perso, parliamo della cisterna… scendiamo con C. e torniamo alla base. Sono circa le 11.30-12.00 e sento che l’effetto sta calando. Decido di fare un’ultima passeggiata-esplorazione. Metto gli LCD Soundsystem. Ancora un lungo ballo, dove mi diverto molto con il bastone… penso che dovrei iniziare una disciplina con il bastone… ritorno nel campo lilla, mi godo le sensazioni di armonia. Tutto il trip è come una grande coreografia. Dopo circa mezz’ora torno al campo base. Intorno alle 13.00 ci ritroviamo con S. e C. Se gli effetti “psichedelici” e di perdita spazio-temporale sono conclusi, rimane un effetto di grande apertura al dialogo e di pace con l’ambiente esterno. Intanto il parco si è popolato (è comunque il 25 aprile di una bellissima giornata di sole). Rimane anche la capacità di focalizzare i dettagli. Osservo molto le persone attorno a me e le trovo tutte molto interessanti e belle.
DIRITTO DI REPLICA
Caro figlio. Non mi devi convincere, devi sapere che alcune parole mi attivano delle risonanze emotive e cognitive con cui ho bisogno di dialogare, con cui in qualche modo devo fare i conti.
Comincio con la parola: “funghi”. Da ragazzo i funghi andavo a cercarli nel bosco a pochi chilometri di casa da dove sono nato. Tra gli altri, i più famosi si chiamavano porcini, che riuscivano a sfamare famiglie intere che si nutrivano principalmente di broccoletti, fagiolini e patate. I porcini venivano raccolti e trattati, messi da parte per utilizzarli nei giorni di festa perché la fame era tanta. Da allora sono passati 55 anni e oggi li mangio ancora con le fettuccine.
Proseguo la lettura: “psichedelici”. «Sono droghe che, alterando le sensazioni, danno l’illusione di una espansione della coscienza». Ma c’è chi afferma che i “funghi psichedelici” fanno bene. Chissà chi è in grado di dimostrarlo prove in mano.
Come in tutti i saperi, più o meno scientifici, le affermazioni di cui sopra dovrebbero passare attraverso il filtro di un minimo di dubbio e di cautela, a prescindere, onde evitare di mettere contro le soggettive affermazioni, letture e interpretazioni.
Date a 10 psicoanalisti lo stesso sogno e scoprirete che daranno 10 significati diversi. Anche le scienze mettono in dubbio i risultati della singola scienza.
Io amo il mio corpo, amo la mia mente e li nutro con l’assoluta certezza che sono il vero protagonista del piacere che mi procuro senza inserire, aggiungere, compensare con sostanze di cui non sento il minimo bisogno.
Io ti rispetto, ti voglio bene, comprendo senza giudicare, accetto senza interferire, ma procedo per la mia strada, senza avere la necessità di alterare alcune funzioni fisiologiche e naturali, senza ingerire o far circolare dentro il mio corpo e la mente sostanze di cui non sento il bisogno e che non mi interessa neanche provare per mera curiosità.
Da oltre 50 anni studio la psiche, i suoi misteri, le sue patologie, il suo potere, i suoi bisogni fisiologici, naturali, necessari, indispensabili, sani ecc., e poi studio anche quelli falsi, fasulli, inutili, dannosi, pericolosi ecc.
Da anni, tanti, troppi, tutti vissuti, ho conosciuto storie di vite bruciate, di vite devastate, di vite stravolte e mai più recuperate, dalle comunità terapeutiche alle “scimmie sulle spalle”, alle morti per overdose, all’infinito dolore che ho visto nelle lacrime di genitori che ho incontrato nella mia vita professionale.
Mi dirai che mi sto allontanando o non sto rispondendo alla tua richiesta sulle due parole iniziali (funghi psichedelici) e non tratto i testi divulgativi sui “funghetti”, sulle 7 asserzioni e soprattutto sul tuo “trip-report”, che ho letto, su cui ho ragionato ecc., ma che non voglio “cambiare idea”.
Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere… ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentarvi.
Concludo con questa magnifica e sentita affermazione, per il resto, tu hai il diritto, il potere e la libertà di vivere la tua vita come meglio credi.
«I figli non ci appartengono, li abbiamo solo adottati…».
Tutti i disegni sono di Danilo Innocenti. Un ringraziamento a Loredana Calvet e Arianna Desideri per la revisione del testo e a mio padre, Natalino Natoli, per il confronto.
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Jacopo Natoli (Roma, 1985) è artista e docente devoto al gioco. Con una pratica relazionale e situata, sperimenta forme per interagire e far interagire creativamente le alterità. Tenta di estendere i limiti del possibile per far emergere sensi e relazioni che sfuggono ai codici dominanti. Negli ultimi dieci anni ha fondato e co-fondato diversi gruppi e progetti tra i quali ricordiamo: Edicola del Villaggio (2020-), Just Art (2020-), D.A.P.A. (2019-), Sgorbio (2019-), Juda Magazine (2019-), Disegnatori a tempo perso (2019-), Numero Cromatico e Nodes Journal (2011-2018), Questo è il Nostro Nome Solo per Questo Concerto (2014). Dal 2021 fa parte di Post-ex con l’opera-studio 1mq. Ha scritto e scrive numerosi saggi, articoli, testi ed interviste. È, tra le altre cose, psiconauta.
La bibliografia disponibile per approfondire la conoscenza sui funghi psichedelici è molto ampia. Specie negli ultimi anni, oltre alla rinascita della sperimentazione scientifica, si sta facendo un importante lavoro divulgativo. Essenziale, per il suo ampio ventaglio argomentativo, la raccolta di saggi curata da Federico di Vita, La scommessa psichedelica, Quodlibet, Macerata, 2020. Federico di Vita, inoltre, ha curato/sta curando un podcast dedicato: Illuminismo Psichedelico. Ormai quasi un classico sul tema, e ottimo come panoramica, il testo di Michael Pollan, Come cambiare la tua mente, Adelphi, Milano, 2021. Per un’immersione sui funghi in termini generali, avvincente è il testo di Merlin Sheldrake, L’ordine nascosto. La via segreta dei funghi, Marsilio, Venezia, 2020. Anche la divulgazione streaming sta dedicando particolare attenzione ai funghi psichedelici, si vedano le puntate Netflix: Magic Medicine (2018) e Fantastic Fungi (2019); come le fiction, si veda la serie Hulu Nine Perfect Strangers (2021). Poi è doveroso citare due testi storici di autori italiani, ovvero: Francesco Festi, Funghi allucinogeni: una panoramica, «Altrove», vol. 1, 1993, pp. 117-141; Silvio Pagani, Funghetti, Nautilus, Torino, 1993. Una più ampia, ma “datata”, bibliografia è reperibile su samorini.it. Precisa, concisa e ricca di fonti la Breve storia universale della psichedelia di Federico di Vita nella raccolta sopracitata. Il bellissimo libro di Eduardo Kohn, Come pensano le foreste, Nottetempo, Milano, 2021, ci apre al concetto di “foresta pensante” e all’idea che i funghi psichedelici possano connetterci al suo linguaggio iconico. Seppur non citati nel testo, per entrare nell’idea di “natura pensante” si vedano almeno: Emanuele Coccia, La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, il Mulino, Bologna, 2018; Emanuele Coccia, Metamorphoses, Polity Press, New York, 2021; Stefano Mancuso, Alessandra Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza nel mondo vegetale, Giunti, Firenze, 2013. Nella pagina di Robin Carhart-Harris gli articoli dal 2009 al 2022, e in aggiornamento, sugli esperimenti con gli psichedelici. Infine, ecco gli articoli scientifici e sperimentali citati nel testo:
- Carhart-Harris R. L., Erritzoe D. E., Williams T. M., Stone J. M., Leech R., Reed L., Colasanti A., Tyacke R., Malizia A., Evans J., Hobden P., Murphy K., Feilding A., Wise R. G., Nutt D. J. et al. (2012), The neural correlates of the psychedelic state as determined by fMRI studies with psilocybin, Proceedings of the National Academy of Sciences of USA.
- Carhart-Harris R., Kaelen M., Nutt D. (2014a), How do hallucinogens work on the brain?, «Psychologist», Vol: 27, pp.: 662-665.
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