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C’È INUMANO E INUMANO
Magazine, PLANARIA - Part I - Gennaio 2023
Tempo di lettura: 20 min
Francesco Venturi

C’È INUMANO E INUMANO

Una lettura neomaterialista della voce che grida.

Francesco Venturi live al DIY Space di Londra, foto Ilmė Vyšniauskaitė.

 

IL POTERE CURATIVO DELL’ONOMATOPEA

Il guru della “voce umana” Alfred Wolfsohn combatté in trincea durante la Grande Guerra e ne rientrò profondamente traumatizzato. Ferito durante un bombardamento notturno e raccolto solo il giorno dopo, passò tutta la notte ascoltando le grida di un soldato che agonizzava non lontano da lui. Ne rimase così colpito che riportò quelle grida a casa, sotto forma di allucinazione uditiva. Da studioso e amante della voce, innescò la propria guarigione con il canto. Intuì che sarebbe stato in grado di liberarsi dalle allucinazioni se avesse imparato a imitarle. Prese così in prestito quelle grida nel suo lavoro di insegnante. Si era convinto che fossero molto più “umane” delle voci di soprano, contralto, tenore e basso. Credeva che andassero oltre il concetto di corda maschile o femminile e che fossero in grado di trasmettere qualunque emozione. Mise a punto un metodo per esplorare le potenzialità di questa “voce”, che lui chiamava “umana”. Si era proposto di aiutare le persone che l’hanno perduta. Il metodo ha dato risultati sorprendenti, che continuano a influenzare la ricerca vocale ed esistenziale di persone in tutto il mondo. Wolfsohn aveva intuito un collegamento fondamentale tra voce e vita.

Roy Hart e Alfred Wolfsohn.

Uno dei suoi studenti più ambiziosi, Roy Hart, divenne l’erede prescelto di quella eredità. Dopo la morte di Wolfsohn nel 1962, Hart ha continuato a sviluppare quell’approccio, conquistando enormi capacità vocali. I due si incontrarono a Londra nel 1947, e Hart fece la sua comparsa come solista dopo più di vent’anni di preparazione, nel 1969. Eseguì tre prime assolute, tra cui Eight Songs for a Mad King di Peter Maxwell Davies, considerata l’opera fondatrice del teatro musicale. Stava portando Wolfsohn nel teatro. Lo stesso anno debuttava con il Roy Hart Theatre. Quando ci riferiamo al metodo di Hart, parliamo del metodo di Wolfsohn.

Gli altri membri fondatori della compagnia hanno continuato a perseguire e sviluppare la tradizione dopo la prematura morte di Hart. Una in particolare, Margaret Pikes, è molto attiva come insegnante. Da suo studente, attingo da quella tradizione nell’esplorazione vocale. Questi siamo noi due che giochiamo (play) con il personaggio del “gigante buono”.

Quando ho incontrato Margaret per la prima volta in un workshop in Francia, le ho presentato la mia ricerca vocale, mostrandole il mio interesse per la voce estesa. In particolare, grida, versi e simili:

Per ottenere questi sovracuti simili a un grido, faccio uso della voce inspiratoria nel registro di fischio.11Il termine “registro” indica il meccanismo di vibrazione delle corde vocali. A seconda della letteratura, il numero dei registri va da due fino anche a sette. Se li intendiamo come meccanismi, sono quattro (M0-M3). Il registro di fischio (M3) è il più acuto ed è prodotto dalla vibrazione interna di una porzione molto piccola delle corde. Esistono due tipi di fischio: quello laringeo e quello stop-closure (più facile da ottenere inalando). Esempi riconoscibili del fischio laringeo sono i sovracuti di Giuni Russo o di Mariah Carey. La voce inspiratoria nel registro di fischio è del secondo tipo.
  La voce inspiratoria o ingressiva è quella prodotta inalando – tipicamente usata per esprimere dolore o sorpresa – mentre il registro di fischio è un meccanismo delle corde vocali che permette di produrre suoni molto acuti – è tipico delle grida dei bambini. Entrambe le modalità di produzione vocale sono naturali e piuttosto comuni. Ma non se combinate.

Margaret, in continuità con la tradizione Wolfsohn-Hart, mi ha subito sconsigliato l’approccio ingressivo, poiché è «inumano» vocalizzare inspirando invece che espirando. Inoltre, si possono ottenere gli stessi suoni in entrambi i modi.

Che cosa c’è alla base di questa dicotomia brutalmente essenzialista che abbina e separa l’umano/esalato e l’inumano/inalato?22Un’interpretazione essenzialista non presuppone ciò che una voce fa, ma ciò che è.
Al di là di un approfondimento non necessario sulla biomeccanica in questione e una vera discussione delle implicazioni storiche della dicotomia – impossibile in questa sede –, per considerare queste vocalizzazioni nella loro materialità utilizzerò il “modello” sviluppato da Brian Kane. La voce è un fenomeno complesso che interessa gli ambiti molto diversi dell’esperienza, della percezione, della coscienza, al livello della produzione come della percezione, e il modello si rivela utile a orientarsi. Nato in parte polemicamente, è un supporto pratico per ascoltare e pensare la voce, nonché per organizzare le teorie che la riguardano.

Secondo il modello, la voce combina tre aspetti principali: l’echos [suono], il logos [significato] e il topos [sito]. L’echos indica l’aspetto sonoro, il logos il contenuto delle affermazioni, mentre il topos il luogo dell’emissione. Non si dà vocalità senza il contributo di tutti e tre, anche se gli equilibri cambiano di continuo. La voce non è «riducibile all’echos, al logos o al topos, ma comporta un movimento, o spostamento, tra questi termini».33Kane, 2015.
Inoltre, i termini formano degli incroci (crossings). L’incrocio di echos e logos è il luogo della sinergia tra il suono e la comunicazione: il punto incerto in cui la fonazione, una caratteristica di molti animali, si antropomorfizza.

Il Vocoder usato negli anni Settanta dai Kraftwerk.

L’incrocio di logos e topos descrive come i significati e la fonte dell’emissione vocale si influenzino a vicenda: la proposizione parlata dà informazioni sul corpo o sulla fonte che la produce, e la conoscenza della fonte altera la percezione del significato dell’enunciato. Infine, l’incrocio tra topos ed echos, ovvero l’influenza reciproca di un suono e della sua sorgente: un’alterazione del registro del topos può influenzare l’echos e viceversa; inoltre, certe relazioni tra il suono e la fonte di una voce sfuggono al logos, o sono occluse da un’attenzione esclusiva per esso. Il modello prevede infine un quarto, importante termine: la technê. Secondo il modello, questa indica tutto ciò che «disturba la circolazione della phoné riorganizzando e ridistribuendo il topos, il logos e l’echos [e generando] gradienti e differenziali che influenzano la circolazione o il movimento della phoné da un termine all’altro e da un incrocio all’altro». Chiudere gli occhi per concentrarsi sull’ascolto, parlare da dietro un velo, usare una tecnologia come il Vocoder o il Delay, sono tutti esempi di un disturbo introdotto dalla technê.

Il modello ci assisterà mentre esploriamo i meccanismi all’opera in questa dicotomia, e mi auguro che questa esplorazione possa fare da cornice a una riflessione più ampia.

Francisco López, performance immersiva, Granada Millenium Biennale 2011.

 

GRIDA (IN)UMANE

Per inquadrare un fischio aspiratorio simile a un grido, dobbiamo prima guardare alla somiglianza con il grido. In un fischio inspiratorio simile a un grido l’echos è forte – è un suono molto caratteristico –, mentre il logos è debole, quasi soppresso.44Potremmo usare il registro di fischio (ingressivo) per formulare parole, non senza fatica, ma qui ci occuperemo del suono non verbale.
Il logos si dà come alterazione del topos. Poiché un grido (non verbale) non riguarda solo l’espressione, ma anche la comunicazione. Quel grido può essere “letto” per ottenere informazioni potenzialmente utili sull’urlante: sulle sue condizioni e i suoi sentimenti nonché, crucialmente, sulla sua posizione nello spazio. Si grida anche per trasmettere quelle informazioni.

Esempi di grido dalla cinematografia.

Il legame tra urlare e invocare è radicato nella parola stessa: grido in italiano, cry in inglese, cri in francese, grito in spagnolo. Queste parole derivano tutte dal verbo latino quiritare: l’atto di rivolgersi ai Quiriti, ovvero il nome che gli antichi romani davano a sé stessi durante le funzioni civili (a differenza di Romani, usato in ambito militare). La quiritatio rinvia a una comunità di riferimento. È sempre un grido d’aiuto. In ogni grido si cela cioè un legame con l’invocazione, e questo legame va ben oltre l’etimologia, incontrando la percezione. Il grido richiama le prime vocalizzazioni pre-verbali.

Quando il genitore (o chi altro) ascolta il “grido puro” del neonato, accorre. L’azione restituisce al bambino quel grido in forma di invocazione. Il neonato comprende presto la dinamica e impara a collegare i propri desideri all’atto di gridare. Per usare il leggendario gioco di parole di Jacques Lacan (leggendario perché non documentato), siamo passati dal cri pur al cri pour, dal grido “puro” al grido “per”. È nata una voce!

Francis Bacon, Study for a Head, olio e sabbia su tela, 1952.

Ognuno conserva quel legame intimo con il grido che invoca: sia quando si grida, che quando si ode un grido. Che si agisca oppure no, questo è un altro discorso. Ma la voce ha questo potere enorme di suscitare una reazione. Qualunque grido è collegato alla quiritatio, se non al livello di chi grida, a quello di chi ascolta (che lo percepisce cioè in quanto tale: si tratta di un essere umano che grida e non, per esempio, del verso di un animale). Il logos reclama il proprio posto all’incrocio con il topos. E anche se il logos non è un enunciato verbale, rimanda comunque a un’affermazione precisa: “Ascoltami! Sono qui! Sono vivente!”. 

Che differenza c’è tra quel grido e un fischio inspiratorio? La cosiddetta voce normale è sempre dalla parte del topos e del logos; porta con sé informazioni, parole e significati ed è creatrice di un corpo vocalico che risulta antropomorfo. In quanto tale, è un suono umano. Il fischio aspiratorio ha invece un topos debole. Che cosa ci dice a proposito della sua sorgente? Forse dovremmo chiedere cosa non dice, cosa maschera o cancella. Il fischio inspiratorio produce l’effetto di un topos misterioso e altro (otherly). È un suono che appare mostruoso. Non a caso questa tecnica viene utilizzata nei film e nei videogiochi per dare voce a creature immaginarie, spesso raccapriccianti. Grazie a questo registro è possibile ottenere dei suoni poco antropomorfi, e in questo risiede un potere performativo (nel senso che produce un soggetto vocalizzante) e trasformativo (nel senso che questa soggettivazione può modificare a sua volta il corpo).

La voce aspiratoria ha un preciso potenziale drag. Disturba le aspettative che si possono avere su come dovrebbe suonare una voce, su come dovrebbe funzionare. Produce un restyling integrale e problematizzante. Questa rottura con le logiche di rappresentazione della vocalità ordinaria è molto efficace, e ottiene la sua forza espressiva quando il suono vocale non sembra più combaciare con il corpo umano. Nei termini del modello di Kane, topos ed echos vengono completamente redistribuiti dal fischio inspiratorio, sia nel canto che nell’ascolto. Si usa spesso l’espressione “grida inumane”, come se un grido di dolore divenisse davvero tale solo quando il topos è trasfigurato. Umano e inumano hanno poco a che fare con l’echos, con il suono di per sé, ma con il suo incrocio col topos, con le soggettività che evoca. Al contrario, l’elemento drag nella voce inspiratoria, specialmente in tessiture così acute, sta nell’alterazione profonda dell’incrocio tra echos e topos nella mente di chi ascolta e “legge” quella voce non verbale.

Per comprendere questa redistribuzione, dobbiamo prendere in considerazione il contributo della technê. Innanzitutto, è umano produrre suoni espirando. Si tratta della modalità di produzione vocale più efficiente e comune, anche nel registro di fischio, e il contributo della technê è relativo. Potremmo dire che è a monte. Ogni individuo mette a punto una certa vocalità, e la maggior parte ne fa un uso abbastanza limitato. Grazie alla technê, grazie alla pratica, all’esplorazione, all’esercizio e alla consapevolezza, possiamo produrre suoni speciali. Possiamo imitare il lacaniano cri pur del neonato, o il grido wolfsohniano del soldato ferito, o le voci del re pazzo di Roy Hart. La technê aiuta la voce ordinaria a fare cose straordinarie. Anche quando quelle cose appaiono straordinarie solo perché abbiamo dimenticato come farle. Chiunque può esplorare le proprie modalità di produzione vocale e orchestrare il meccanismo vocale al fine di imitare i suoni, di crearne di nuovi, o di più adatti, più espressivi, o semplicemente alternativi. Quelle scoperte possono diventare una ricerca di soluzioni nel quotidiano.

Invece, nella fonazione ingressiva, il contributo della technê è radicale. Nella voce aspiratoria la technê indebolisce l’incrocio tra topos e logos (il luogo della sua umanità) e trascina la voce percepita dal lato del topos a quello dell’echos (evoca altre soggettività e altera i tratti umanoidi), escludendo il logos (la comunicazione non è verbale).55Il verbo to drag (“trascinare”) contiene un riferimento intraducibile al drag.
Che cosa ci dice infatti la voce aspiratoria nel registro di fischio? Ci dice qualcos’altro. È un suono vocale nella sua materialità e possibile emozionalità, vissuta o suscitata. È spogliato della semantica, alterato nei suoi meccanismi, reso poco antropomorfo. È una voce che suona diversa, in parte irriconoscibile, in parte molto riconoscibile (per ragioni che vedremo tra poco). È un suono che la technê ha letteralmente trascinato (dragged) dalla parte dell’echos, reinventandone le qualità sonore con il risultato di evocare soggettività diverse da quella del corpo che produce il suono. In questo senso è drag.

Il ventriloquo Jimmy Nelson.

La voce inspiratoria rinvia al ventriloquismo. È una vocalità apparentemente poco incarnata (embodied), acusmatica e onomatopeica. Ha una qualità aliena, animalistica e postumana. Se ciò che separa l’animale dall’umano è tradizionalmente il logos, ciò che separa l’animale dall’animalistico è la technê. Alla radice di ogni vocalità postumana o postumanistica c’è un contributo radicale della technê. Sia esso un postumano fatto di interfacce digitali, superfici cromate ed estetiche vaporwave, sia un postumano neomaterialista che guarda all’altro naturale e animale e non alla tecnologia. Ma è davvero così inumano farne uso?

 

TERRESTRE ULTRATERRENO

Tanto per cominciare, la fonazione ingressiva è un’abilità di molte specie. I cani, le volpi, i gatti, i cavalli, gli asini, le scimmie e gli uccelli ne fanno uso. Suoni prodotti inalando sono molto comuni nei richiami delle scimmie. I gibboni, gli oranghi, gli entelli, i babbuini Gelada, i macachi giapponesi, gli scimpanzé producono suoni inspirando. Curiosamente, questi suoni sono assenti nei gorilla. Anche le rane dipinte ne fanno uso. È una cosa perfettamente naturale nel mondo animale66Segond, 1848; Geissmann, 2000; Weber, 1974.
.

Cinque primati che fanno uso di fonazione ingressiva – da sx, babbuino, langur, macaco giapponese, gibbone, orangutan.

La voce aspiratoria ricorre anche in numerose attività umane, indicando che il fenomeno è di per sé un aspetto naturale anche della produzione sonora dell’uomo. La usiamo comunemente per esprimere sorpresa, dolore, o in momenti di tensione. La tipica forma di vocalizzazione per esprimere dolore è la “fricativa interdentale ingressiva” (provare per credere). Inoltre, la voce inspiratoria è da sempre usata come mezzo per ottenere effetti speciali. Venne usata come trucco da ventriloqui e sciamani – si pensa dall’alba della civiltà – per “dare voce” alle statue, alle effigi o ai morti.77Eklund, 2008:254.
Secondo Lipton, «i miracoli dei primi oracoli, come quello di Delfi, erano probabilmente le emissioni vocali di sacerdoti che attribuivano i suoni alle statue».

16 Louis-Jean-François Lagrenée, Alessandro consulta l’oracolo di Apollo, 1789.

È probabile che facessero uso della voce aspiratoria per via della sua “qualità ultraterrena”.88Lipton, 1983:604, trad. mia.
Persino Voltaire parlava del fatto che il pubblico è influenzato in modo religioso dalla fonazione ingressiva. Nella sua “Troisième lettre sur les Quakers”99Voltaire, 1734:17-25; 1880:88-94.
, racconta che George Fox era solito impressionare i suoi proseliti con la voce aspiratoria. Come scrive Eklund, «non è difficile immaginare che una profezia della Pizia servita in voce aspiratoria fosse molto più impressionante della stessa profezia servita con voce normale». Insomma, il suono della voce inspiratoria appartiene agli uomini da sempre, e ha una funzione unica: quella di farli suonare meno umani.

Per inquadrare questa “qualità ultraterrena”, questo “potenziale drag” o “umanità debole”, specialmente nel registro di fischio, il modello è particolarmente utile. Come abbiamo in parte già visto, il topos, il logos e l’echos della voce inspiratoria sono completamente redistribuiti. Con la parola pronunciata inspirando, il logos viene rinforzato (come in una voce disincarnata che appare nella sua “purezza”), mentre il topos viene riorganizzato (grazie a un’illusione) con il fine di “cambiare sede”. Il corpo che produce realmente quel suono e la sua percezione vengono allontanati. La technê diventa così uno strumento per travestire la fonte del suono e dare voce a un oggetto (come un pupazzo) o a una dimensione (come l’ultraterreno) che ne sono privi. È insomma una tecnica di sublimazione liturgica del logos.

Con il fischio ingressivo, quindi non la parola inalata ma il grido non verbale, il logos è soppresso, e già questo trascina la voce dalla parte della materialità e dell’echos. Inoltre, il topos non è travestito nel senso di una voce a cui viene dato un altro corpo. Il soma alla sorgente rimane lo stesso. Ma il topos, che si distingue dal soma perché non è necessariamente ancorato a un corpo, è redistribuito al punto da mandare in cortocircuito ogni aspettativa connessa al corpo vocalizzante. La bocca si apre, ma il torso non si svuota nella fonazione, si riempie, e il suono che fuoriesce è radicalmente altro. 

Interlingua live ai Bagni Misteriosi di Milano. Foto Alessio Costantino.

Per esplorare questo cortocircuito e questa alterità, citerò un’esperienza vissuta, che prenderò come esempio da cui partire: un concerto degli Interlingua ai Bagni Misteriosi di Milano. Verso la fine della performance, durante un’improvvisazione dal titolo “Mente Natura”, ho fatto un lungo intervento nella regione sovracuta, che includeva con una lunghissima nota inalata nel registro di fischio. Dopo il concerto, diverse persone hanno commentato proprio quel suono o fatto domande rendendo chiaro che l’oggetto di curiosità non era il suono in sé, ma la sua relazione con tutto il resto.

La musica viene sintetizzata ascoltando e guardando. Quando il corpo del performer produce suoni perlopiù gravi per oltre mezz’ora,1010Sono una voce di basso, sono alto 1,94 mt e nella regione grave posso produrre suoni profondi (B1 nel canto normale e A0 nel canto subarmonico).
il pubblico si regola su una particolare configurazione del topos, dell’echos e del logos nella voce del performer. Un certo modello di voce si inscrive sul corpo in scena, pur nelle sue fluttuazioni percettive, poiché le persone tra il pubblico depositano i loro significati nella voce e nel corpo performante. Come il genitore che deposita un’invocazione “per” in un grido “puro”.

Non serve essere dei mostri per produrre suoni mostruosi.

Era il pubblico a restituirmi un certo modello di voce, non io a proporgliene uno, se non in parte.1111Negli equilibri tra il topos e l’echos c’è il contributo della percezione, che è più incisiva rispetto alla vocalizzazione, alla creazione nuda e cruda di suoni, che non ha potere su come vengono percepiti, può solo sperare o disinteressarsene.
Per questo la voce inspiratoria li ha sorpresi, poiché la redistribuzione dei termini fu del tutto improvvisa: emergeva un’altra voce. Sono tentato di dire che quel suono inspiratorio rendeva queer il modello. Occludendo il logos; trascinando con forza la voce dalla parte dell’echos (la voce rimessa a pura esperienza sonora interpersonale); e rivestendo integralmente il topos (“quel corpo può emettere questo suono?”), la voce inspiratoria (la technê) disturbava il patto non scritto tra il mio corpo e la sua percezione. Quel suono non alterava il topos spostandolo altrove. Nella performance dal vivo il topos rimane saldamente sul posto, anche se viene alterato.

Nella ricerca vocale la technê è site-specific. Fuor di metafora, quel suono non era né inumano né postumano. Era performance dal vivo. Era umanità. La sua efficacia sta(va) nel problematizzare la “voce umana”, non il corpo umano. Questa differenza apparentemente sorprendente è un campo di esplorazione ricco di scoperte, alcune delle quali molto interessanti e potenzialmente utili sul piano personale e interpersonale.

 

Una lezione di Alfred Wolfsohn.

DALLA PARTE DELLA VOCE UMANA

C’è però un problema più urgente. Il problema con la voce inspiratoria è che è aggressiva per le corde vocali. Il fischio stop-closure in abduzione è faticoso. Nei termini del modello, la technê è troppo forte, troppo pesante. La redistribuzione dell’echos e del topos ha un costo troppo alto. Per fare un esempio, dopo circa mezz’ora di fischio inspiratorio, posso perdere temporaneamente il falsetto. Normalmente, per recuperare velocemente la voce piena (modal voice), bisogna fare degli esercizi speciali.

Ed è qui che l’ethos wolfsohniano entra in azione. Secondo questa tradizione e, in particolare, la filosofia di Margaret Pikes, la voce è fatta di suono, emozione e immaginazione. Corpi, sensazioni e fantasie. C’è un collegamento fondamentale tra voce e vita, e tra voce e technê. In questo contesto, technê significa esplorazione “gentile” (ovvero non virtuosistica), esercizio, pratica vocale. Queste metodologie usano la biografia, il lavoro sui personaggi, l’integrazione di voce e movimento, le pratiche di gruppo, per accedere all’espressività del suono. È un approccio che si serve dell’immaginazione per aiutare la persona a sviluppare una connessione più profonda con la totalità del corpo e della sua storia.

Una lezione di Margaret Pikes con Susanne Duddeck.

Questo spazio di esplorazione si trova a metà tra libertà e disciplina. Ecco perché Wolfsohn e Pikes lavorano sempre al pianoforte. La sua ricerca vocale non aveva a che fare con la perdita del sé. Piuttosto il contrario. Alfred Wolfsohn “curò” le sue allucinazioni imparando a imitare le grida del soldato ferito, trascinando (dragging) quella vocalità da un altro mondo a questo mondo. C’è all’opera una sorta di catarsi ingressiva, verso l’interno. Rimanda a quell’effetto di religiosità suscitato per secoli, ma non passa per il martirio. Passa per la cura, il benessere, l’ascolto. Pensare la voce nella sua materialità, oltre ogni legame con l’ultraterreno, la “purezza dello spirito” o l’essenzialismo, è una prerogativa della ricerca più recente sulla voce, ma rischia di privilegiare il topos, a svantaggio del potere performativo dell’echos.

Il grande interesse per il legame inseparabile tra vocalità e fisicità dei corpi si presta all’indagine neomaterialista, eppure una lettura neomaterialista della voce inspiratoria del registro di fischio non dovrebbe considerare esclusivamente la materialità del corpo vocalizzante (topos), senza mettere al centro la materialità della soggettività che evoca, la materia cioè dell’echos.

Per fare un’esagerazione, non mi faccio del male sul palcoscenico per produrre un doloroso grido. Non serve essere dei mostri per produrre suoni mostruosi. Andando alla ricerca di un suono postumano, si rischia di ignorare il fatto che, come ci insegna Mark Fisher, l’inumano dimora nell’umano stesso. Ci si può infliggere una sofferenza per generare una presenza. Ma è una maniera limitata di fare uso della technê nell’ambito della ricerca vocale. Una maniera di fatto non musicale, poco fisiologica e non poco controproducente. Certamente può aprire una via verso nuovi suoni. Ma è davvero l’unica via?

Non sto proponendo di gestire in maniera salutare il tempo di fonazione ingressiva, sto suggerendo di cercare le soluzioni fisiologicamente adatte per creare quei suoni, una volta trovati. Il fischio si può ottenere anche esalando, in modalità laringea e non stop-closure, ed effettivamente non è altrettanto dannoso. Si tratta di scoprire un suono, esplorare cosa fa, nella sua materialità e nel suo potenziale intra-attivo, e imparare per imitazione a ottenerlo in un altro modo. Con il risultato di avere a disposizione lo stesso potere performativo di quel suono, ma con un approccio diverso al livello di pratica performativa. Emerge così il gap tra performatività e performance, che raramente coincidono nel canto e in generale nelle arti dal vivo.

Si tratta di venire a conoscenza di un certo materiale per una via, comprendere quella via, e poi cercare altre vie per giungervi, fino a trovare la via migliore. Inoltre, si tratta di pensare il termine “umano” in senso lato, metaforico: come solidale, non cinico, comprensivo. Così, il fischio inalato perde di umanità culturale e si carica di umanità vissuta, di pratica vocale. Che consiste anche e soprattutto nella salvaguardia, piuttosto che nel potenziamento, dello “strumento”.

Una cosa è il suono, una cosa è come lo percepiamo, una cosa è come lo produciamo. I suoni prodotti inalando sono un’abilità naturale di moltissime creature. Negli uomini, la voce inspiratoria ha un forte potere performativo poiché permette (dall’alba dei tempi) di produrre voci disincarnate e inumane. Nel canto contemporaneo, si possono ottenere voci altrettanto “inumane” in maniere umanamente fisiologiche. Per scoprire che sono, in definitiva, umanissime.

In questo risiede in fondo la differenza tra scoperta e ricerca. E in questo senso sì, sarà una “voce umana”, come un “grido inumano” di dolore, ovvero quanto di più umano si possa sentire. Da dove esce quella voce? Il soldato ferito ha studiato canto per anni prima di debuttare in un grido?

In conclusione, penso che la dicotomia umano-inumano/espiratorio-aspiratorio sia discutibile, ma una cosa è sicura: esistono maniere gentili e più “umane” di ottenere un suono, e maniere “inumane” e meno fisiologiche di ottenere lo stesso suono o uno analogo. Ciò non inficia la capacità di generare effetti ugualmente forti, su tutto lo spettro delle possibilità, a parità di “posthuman sound”. Forse le vere dicotomie all’opera presuppongono altre opposizioni binarie, quali umano/umanista, umano-in-senso-stretto/umano-in-senso-buono, antropocentrico/ecocentrico, performatività/performance. La voce umana è in grado di produrre suoni non antropocentrici, e può farlo con umanità. In una gentile, sapiente e profonda connessione con la materialità di questo atto generativo in cui convive biomeccanica, somatica, storia culturale, estetica. Sono due processi in definitiva molto diversi, quello umanizzante e quello disumanizzante. E non si escludono a vicenda nel contesto della performance. Al contrario, c’è una sinergia profonda.

L’esplorazione vocale può passare attraverso suoni accessibili per scoprire tecniche inaudite e vocalità disfunzionali, ma può evolvere verso tecnologie più antropiche e funzionali nel fare ricerca vocale. Il territorio da esplorare è un’arte. Nessuno emette un fischio inalato per esprimere o comunicare qualcosa di urgente. È nel canto, nella vocalizzazione e nella sonorizzazione libera che ci è data la ricchezza della voce umana, altrimenti limitata ai pochi suoni della parola. E la technê è un alleato in questa esplorazione della voce umana nel contesto dell’arte. Una technê pre-postumana. In fondo, cosa c’è di più umano della technê?

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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)

di Francesco Venturi
  • Francesco Venturi è un musicista e compositore italiano. Dal 2019 è ricercatore alla Kingston University di Londra, con uno studio sulla relazione tra vocalità estrema e identità trasgressive. Come cantante, alterna la sperimentazione alla lirica, e presta la sua voce in opere d'arte, film e progetti interdisciplinari nelle arti performative. È autore di colonne sonore per il cinema documentario e per il teatro. Attivo come curatore musicale, è codirettore artistico di Spettro a Brescia e lavora presso la Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo.
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