La letteratura sulle migrazioni e le frontiere ha avuto un enorme sviluppo, in particolare negli ultimi vent’anni. Essa, tuttavia, appare spesso ripetere vari aspetti ed è sovente subalterna o condizionata dal discorso dominante, mentre sembra invece mancare la lettura d’insieme dei principali cambiamenti e della loro portata e significato.11La letteratura sulle migrazioni è quasi sterminata, come pure le ricerche e gli studi per diversi committenti pubblici e privati. Di fatto, anche per questo le migrazioni sono sfruttate da tante organizzazioni, istituzioni e singoli “esperti”, raramente dalla parte dei migranti, ma quasi sempre per il committente o per se stessi (è anche il caso di coloro che usano le interviste/testimonianze dei migranti per loro elucubrazioni e autogratificazione). La decostruzione della “scienza delle migrazioni”, come suggerisce Sayad (in La doppia assenza, 2002) è quella del “pensiero di Stato”, come lo chiama Bourdieu, cioè il lavoro che è al cuore di tutta l’opera di Foucault a cui faccio riferimento per quanto riguarda il concetto di discorso dominante costruito dalle scienze umane, politiche e sociali.
Ciò mi pare dovuto alla mancanza di decostruzione del discorso dominante, e quindi alla scarsa o inesistente comprensione delle conseguenze della “rivoluzione” neoliberista che inizia negli anni ’70, nonché alla conseguente transizione dalla biopolitica delle migrazioni alla tanatopolitica (riferimento a Foucault, cf. infra).
Per capire cosa sia cambiato nelle migrazioni e nelle frontiere è infatti essenziale comprendere come alcuni aspetti del contesto attuale si siano gravemente esacerbati dopo decenni di sviluppo del liberismo globalizzato. Le migrazioni, come le frontiere, sono un fatto politico totale (concetto che reinterpreta Maus).22Il celebre antropologo Marcel Mauss rivede il concetto di “fatto sociale” dello zio Durkheim proponendo quello di “fatto sociale totale”, che include tutti gli aspetti del fenomeno. Penso che oggi sia necessario considerare il “fatto” come “fatto politico totale” poiché tutti gli aspetti coinvolti presentano una portata e un significato politico assai rilevante.
Durante i circa due secoli di sviluppo della società industriale, tale fatto è stato governato secondo il paradigma della biopolitica che, a parte i momenti di rigetto e razzializzazione, tendeva a integrare e persino assimilare gli immigrati per farne docile manodopera, bravi cittadini che pagano le tasse, riproducono nuova manodopera e sono pronti a morire per il paese di nuova residenza divenuto loro nuova patria (i casi degli Stati Uniti e della Francia sono esemplari: grazie alla continua immigrazione, questi due paesi sono diventati enormi potenze economiche, militari e politiche). Tuttavia, questo paradigma era funzionale allo sviluppo della società industriale governata dallo Stato nazionale.
Dagli anni ’70 la rivoluzione liberista globalizzata comincia a smantellare quasi tutto l’apparato industriale nei paesi più sviluppati, che pertanto necessitano sempre meno di lavoratori stabili da integrare/assimilare e sempre più di una certa quantità di lavoro precario o al nero per il semi-sommerso e il sommerso, o nel subappalto di ogni sorta di attività (incluse le grandi imprese e il terziario). Tale sviluppo diviene enorme in tutti i cosiddetti paesi “terzi”, ma anche in quelli dominanti.
Quest’ultima grande trasformazione è possibile grazie ai seguenti fatti: 1) la rivoluzione tecnologica che permette anche 2) la rivoluzione finanziaria, che impoverisce ancora di più i paesi meno sviluppati; 3) la RMA (Revolution in Military Affairs, che è anche negli affari di polizia) e quindi una rivoluzione politica che consiste nell’aumento dell’asimmetria di potere e degli illegalismi dei dominanti, e provoca uno straordinario incremento della distanza tra ricchezza e povertà a beneficio di sempre meno ricchi; 4) il gigantesco aumento del supersfruttamento e della devastazione dei territori dei cosiddetti “paesi terzi” e l’aggravamento della crisi ecologica che diventa politica; 5) l’incremento della popolazione mondiale, considerato come una minaccia all’aumento continuo della distribuzione diseguale della ricchezza, dei benefici delle innovazioni scientifiche e tecnologiche; 6) l’aumento delle migrazioni disperate considerate dai dominanti come una minaccia inedita e gravissima, divenendo anche oggetto di attenzione da parte dei servizi segreti, dei dispositivi delle forze militari e delle polizie; 7) la tendenza dei dominanti a optare per la tanatopolitica (il lasciar morire) piuttosto che per la biopolitica tradizionale.
Alle origini dei cambiamenti
1. La rivoluzione tecnologica che si è sviluppata sempre più velocemente dagli anni ’70 in poi ha innescato lo sconvolgimento di tutto l’assetto economico, sociale, culturale e politico su scala locale, nazionale e mondiale. Comunicazioni, attività finanziarie, trasporti, sistema di produzione, controlli ecc.: tutto è cambiato sempre più velocemente, all’inizio nei paesi più ricchi e nelle proiezioni di ogni sorta di attività a livello globale. L’informatica e la robotica hanno portato allo smantellamento delle medie e grandi industrie nei paesi ricchi, e alla rilocalizzazione o creazione di nuove attività con subappalti a cascata a breve, media e lunga distanza (ciò ha riguardato un po’ tutte le imprese e i call center). Ne consegue che nei paesi più sviluppati ciò ha innescato una domanda di immigrati per i lavori meno pagati, in semi-nero o in nero, producendo una fitta schiera di neo-schiavi nell’agricoltura, nel commercio, nei trasporti e nelle grandi aziende. Si pensi ai casi delle cooperative di pulizia, alle “badanti”, ai lavoratori di imprese subappaltatrici e di grandi aziende pubbliche come Fincantieri. Qui il caporalato “etnico” è stato favorito poiché funzionale al profitto liberista (sino alla formazione di una sorta di caporalato transnazionale che costringe i lavoratori a drogarsi per produrre di più, come si è visto nell’agricoltura e nel subappalto di Fincantieri.33Cf. G. Giovannelli, S. T. Palidda Il furore di sfruttare e accumulare, «Effimera» e altri reportage, tra cui quelli di Omizzolo e di Leogrande, Lo sfruttamento nella Valle della Gomma, e la strage del Rana Plaza nella fabbrica di capi per le grandi firme (tra cui Benetton).
2. Lo “stop” delle migrazioni fu adottato dai paesi OCSE nel 1974, dopo la crisi petrolifera del ’73. Tuttavia, l’immigrazione verso tali paesi è continuata: quella dei portoghesi dopo la fine del regime Salazar, quella degli spagnoli dopo la fine del regime di Franco e a seguito degli sconvolgimenti economici e politici nei vari paesi dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia, e notoriamente con il fenomeno dei boats people dal Sud-est asiatico dopo la fine della guerra in Vietnam e le conseguenze del regime di Pol Pot in Cambogia. Successivamente, dopo il 1989, cioè dopo il crollo dell’URSS, si è avuto un massiccio fenomeno migratorio dai paesi dell’Est. L’effettivo stop delle migrazioni (sempre relativo) nei paesi ricchi comincia con l’inizio degli anni Novanta. Da allora, migliaia di migranti sono morti durante i tentativi di migrazione verso i paesi più sviluppati (soprattutto alle frontiere degli Stati Uniti e dell’Europa, e in quelle vicine, per esempio, a Turchia e Iran, o nei Balcani ecc.). Dagli anni Ottanta la maggior parte delle migrazioni si svolge nel Sud del mondo, tra paesi poveri e paesi ricchi, tra cui per esempio Emirati Arabi e Arabia Saudita, dove i migranti sono quasi sempre trattati come schiavi a elevato tasso di mortalità. Questo cambiamento è di fatto un rilancio del neocolonialismo nel contesto liberista globalizzato, un neocolonialismo che si dispiega nelle pratiche dei dominanti nei paesi d’Africa, Asia e America Latina (si veda, tra i casi, Benetton in Amazzonia), con sprezzo di ogni elementare diritto degli esseri umani e del loro ambiente, e con il fenomeno della neo-schiavizzazione; tuttavia, assistiamo anche a un neocolonialismo che avviene all’interno degli stessi paesi dominanti, con il supersfruttamento di immigrati e autoctoni privi di qualsivoglia forma di protezione, in particolare nelle economie sommerse a cui si aggiunge anche qui lo sprezzo per l’ambiente (come si osserva nei siti petrolchimici, in quelli militari e in quasi tutto il Mezzogiorno d’Italia).44Si veda in proposito S. T. Palidda, Resistenze ai disastri sanitari, ambientali ed economici nel Mediterraneo, DeriveApprodi, 2018.
3. La rivoluzione tecnologica ha favorito anche una straordinaria rivoluzione finanziaria e quindi il boom delle speculazioni monetarie e di borsa, i paradisi fiscali e l’evasione fiscale, mentre gli Stati nazionali hanno perso il controllo dei giochi finanziari (anche perché quasi sempre in mano a politici corrotti, asserviti alle multinazionali, a finanzieri e alle banche); la transnazionalizzazione dei giochi finanziari e delle grandi società è incrementata a dismisura. Tale processo ha persino favorito l’ascesa al potere della troika mondiale (Banca Mondiale, WTO e Fondo Monetario Internazionale), alla quale si aggiunge la troika europea, il potere dei grandi gruppi finanziari, delle assicurazioni e delle banche dei principali paesi dominanti (Stati Uniti, Cina, Giappone, Regno Unito e Germania). Il potere finanziario su scala globale ha causato ancora più impoverimento nei paesi meno sviluppati o poveri, nonché un aumento della ricchezza di pochi e della povertà per la maggioranza della popolazione mondiale: in questo furore per l’accaparramento di capitali, anche alcune ONG hanno collaborato con le banche e le troike per impadronirsi di alcune donazioni per il soccorso a paesi disastrati da catastrofi, come nel caso di Haiti o di paesi ricchi come l’Italia – si veda, tra gli altri, Naomi Klein.
4. Sfruttando la rivoluzione tecnologica, sin dagli anni Ottanta si sono innescate una conversione militare delle polizie e una conversione poliziesca delle forze militari (si vedano la RMA e la nuova pratica della cosiddetta peace enforcing, che è di fatto diventata low intensity war); tale operazione è stata sviluppata dai think tanks statunitensi allo scopo di arrestare il declino dell’egemonia economica e politica USA. Così il dispositivo militare statunitense si è rivelato capace di azioni dirette e deliberate anche nei territori di qualsiasi altro paese, al fine di restaurare la sua dominazione diretta a prescindere anche dalla condivisione con i paesi NATO (si vedano le operazioni in Colombia, i colpi di Stato, la prima e la seconda guerra del Golfo e, ora, le azioni condotte dai droni nonché i colpi di Stato finanziari – operazioni impensabili sino a vent’anni fa). Gli USA rivendicano di essere in grado di intervenire, ovunque nel mondo, attraverso azioni chirurgiche volte a salvaguardare i propri “interessi vitali” e a difendere – a giustificazione delle proprie azioni – i “diritti umani”.55E. Guild, D. Bigo (a cura di), Controlling Frontiers: Free Movement Into and Within Europe, Routledge, 2005; A. Dal Lago, S. T. Palidda, Conflict, Security and the Reshaping of Society: The Civilisation of War, Routledge, 2010.
Da allora, guerre permanenti si riproducono senza interruzione insieme al terrorismo, quest’ultimo utilitaristicamente alimentato, alternandosi alle cosiddette “guerre umanitarie”, con uno stuolo di ONG assoldate a tale scopo (embedded).
5. Dagli anni ’70 vi è stato un intenso sviluppo del neocolonialismo liberista: lo sfruttamento delle risorse umane e naturali dei paesi “terzi” è incrementato senza restrizioni e ha provocato sempre più disastri, nonché, spesso, l’impossibilità di sopravvivenza per la popolazione di tali paesi. Come scriveva nel ’91 Summers, allora capo del dipartimento economico della Banca Mondiale, in una sua nota: «I paesi africani sottopopolati sono in gran parte scarsamente inquinanti. […] Dobbiamo incoraggiare una significativa migrazione dalle industrie inquinanti verso i paesi meno sviluppati, […] la logica economica che richiede che le masse di rifiuti tossici vengano gettate dove i salari sono bassi è indiscutibile».66Estratti pubblicati da «The Economist», il 8/2/1992, e da «The Financial Times», il 10/2/1992, con il titolo Salvare il pianeta degli economisti.
Ancora nel ’91 aggiunge: «Il rischio di un’apocalisse a causa del riscaldamento globale o qualsiasi altra causa è inesistente. L’idea che dovremmo imporre limiti alla crescita a causa di limiti naturali è un errore profondo; anche l’idea il cui costo sociale sarebbe sorprendente se venisse applicata la scelta dello sviluppo» (L. Summers, alla riunione annuale della Banca Mondiale e del FMI a Bangkok nel 1991, intervista a Kirsten Garrett durante Background Briefing, trasmissione televisiva australiana).77Si vedano anche le pubblicazioni del CADTM Committee for the abolition of illicit debt LIEGE, che denuncia tra l’altro il paradosso per cui l’allora ministro economico Gianīs Varoufakīs avesse chiesto a Summers di essere suo consigliere.
Da allora, la devastazione dei territori dei paesi “terzi” è stata continua e spietata (i reportage e i dossier su tale processo sono molteplici, come per esempio quelli di Naomi Klein, di Oxfam e di altri, o i video sul delta del Niger, sulla pesca in Senegal, sul Kenya ecc.). Ne consegue che le migrazioni disperate sono aumentate a dismisura. Non si tratta di quelle che si definiscono banalmente come “migrazioni climatiche”, ma anzitutto di migrazioni che sussumono tutti i disastri provocati dalle multinazionali dei paesi dominanti; il cosiddetto cambiamento climatico è la conseguenza dell’esasperazione dell’estrattivismo e dell’impiego di carbone, petrolio, gas e uranio.
6. Dal 1990, i paesi dominanti hanno incrementato il loro impegno nella militarizzazione delle proprie frontiere in nome della guerra al terrorismo pseudo-islamico e alle migrazioni considerate come minaccia: per la prima volta nella storia, queste sono considerate tali persino dai servizi segreti, che prima si occupavano al massimo di migrazioni da parte di militanti politici. A questi nemici si aggiungono gli “Stati canaglia” (formula usata da Reagan e dai Bush) e le mafie, quando tendono all’autonomizzazione e non più a essere solo pedine al servizio delle multinazionali e dei paesi ricchi.
7. Emerge pertanto lo “spettro” del XXI secolo, che angoscia i dominanti del mondo (quelli che si costruiscono nuovi bunker, si equipaggiano di dispositivi sofisticati e potenti per la loro difesa militare-poliziesca o sperano di fuggire nello spazio). Tale spettro si riassume nella tesi che la sovrapposizione tra i cambiamenti climatici e l’aumento cosiddetto incontrollato della popolazione mondiale condurrà a un gigantesco scatenamento di migrazioni disperate che costituiranno la più grave minaccia mai affrontata per i paesi ricchi. Naturalmente, i dominanti e i loro esperti escludono che le nuove tecnologie, le scoperte scientifiche e le ricchezze del pianeta possano consentire di far vivere decentemente più di 10 miliardi di individui, qualora fossero messe effettivamente a disposizione di tutti i popoli e se, innanzitutto, si eliminassero l’estrattivismo e gli abusi di minerali tossici e devastanti come il carbone, il petrolio, il gas e l’uranio; sono queste le cause delle disperate migrazioni di oggi. Dal 2000, il degrado dell’ecosistema si è aggravato e numerosi territori sono diventati invivibili.
Non è un caso che in risposta a questo spettro del XXI secolo alcuni militari, geo-ingegneri ed esperti in nuove tecnologie tentino di immaginare “guerre climatiche” in grado di provocare terremoti, tsunami e ulteriori catastrofi “bibliche”, senza alcun utilizzo di bombe atomiche, ma solo intercettando e deviando i raggi solari per eliminare appena qualche miliardo di umani.88Cf. S. T. Palidda, Aporie demo-politiche e climatico-politiche e approdo alla tanatopolitica?, «Effimera»; S. T. Palidda, Negazionismo, scetticismo o resistenze: dove va l’ecologia politica?, «Effimera».
Scenario con ogni probabilità poco realizzabile ma da non considerare fantapolitico visti gli orientamenti dei dominanti (come osservano Latour, Osnos e altri).99Anche rispetto a questo delirio dei ricchi americani di fronte al “crack della civiltà” si veda E. Osnos, Doomsday Prep for the Super-rich, «The New Yorker, 30 Jan. 2017. Nel suo Dove atterrare?, B. Latour (2017) propone che il superamento del conflitto destra-sinistra e locale-globale possa condurre all’adesione a una “comunità di terrestri” consapevoli di dover condividere e impegnarsi per preservare il suolo sul quale vivono. Ma in base a quale “miracolo” dominanti e dominati dovrebbero approdare insieme a tale obiettivo? (cf. cap. XVII di Resistenze).
Non si dice invece che – come propone il progetto di Carlo Rubbia – lo sfruttamento dei raggi solari potrebbe fornire a tutto il mondo energia più che sufficiente con meno spesa e senza danni per l’ambiente.
8. La militarizzazione delle frontiere, la loro esternalizzazione e il subappalto dei controlli delle migrazioni a milizie e bande criminali (come in Libia, Somalia e altri paesi – si veda il Congo dove vi è un immenso territorio senza Stato in cui le milizie armate vagano pronte a vendere i propri servizi al miglior offerente) diventano sempre più diffusi e importanti, insieme alla costruzione di nuove mura e sofisticati dispositivi di controllo delle frontiere; non vi è mai stato un tale aumento degli investimenti nella costruzione di nuovi muri e nella militarizzazione dei confini attraverso dispositivi sofisticati1010N. Lambert, La violenza delle frontiere, «Dialoghi Mediterranei», 1 marzo 2020.
(oggi sono oltre 40.000 km i muri e le barriere nel mondo posti alle frontiere degli Stati; parliamo cioè di una cifra equivalente alla circonferenza terrestre).1111Cf. N. Lambert, Toujours plus de murs dans un “monde sans frontières, «Carnet (neo)cartographique», 24 giugno 2013.
Le ONG e i cosiddetti dispositivi di “accoglienza” sono di fatto funzionali a una gestione delle migrazioni che produce “umanità in eccesso” o “vite a perdere” (si veda Z. Bauman, Wasted lives, 2003), individui da usare temporaneamente come schiavi usa-e-getta, mentre manca ogni forma di tutela e di sostegno all’emancipazione.1212F. Martini e S. T. Palidda, Continuità e mutamenti delle migrazioni nel confine tra l’Italia e la Francia, «Centro Altre Italie».
La sola alternativa plausibile potrebbe essere costituita da un vero stop delle devastazioni da parte delle multinazionali e dalla regolarizzazione di tutti gli irregolari favorendo la loro integrazione pacifica. I paesi d’emigrazione non hanno bisogno di solo aiuto, ma di non essere più devastati e massacrati. I migranti non hanno tanto bisogno di aiuti, quanto piuttosto di non essere più perseguitati e di venire considerati come esseri umani con diritti pari a quelli riconosciuti agli autoctoni dei paesi di transito e di immigrazione.
9. Tale contesto spiega la totale chiusura delle frontiere europee e le scelte di Trump, che non escludono una parziale e temporanea immigrazione per alimentare il supersfruttamento utile a molte attività, incluse quelle legali che si nutrono di sommerso. Questa chiusura totale corrisponde alla scelta di ridurre la biopolitica delle migrazioni per privilegiare la tanatopolitica. È questo l’aspetto principale che caratterizza il cambio di paradigma delle migrazioni e delle frontiere, anche rispetto a tutti gli elementi costitutivi dell’organizzazione politica della società contemporanea su scala nazionale e mondiale. Ossia, un fatto politico totale che ovviamente deriva dall’incremento intenso e dall’intreccio incontrollato di tutte le dinamiche degli altri fatti economici, sociali, culturali e politici.
Sebbene la situazione tenda a peggiorare a breve e medio termine, le migrazioni continueranno a riprodursi inesorabilmente, e in parte per integrarsi nei paesi di arrivo. La resistenza dei migranti e di tutti i dominati è una questione di sopravvivenza e di aspirazione mai morta all’emancipazione economica, sociale, culturale e politica.
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Salvatore Palidda Già docente di sociologia presso l’Università degli studi di Genova, ha vissuto circa 15 anni in Francia dove ha conseguito il dottorato dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi e ha cominciato la sua carriera di ricercatore. E' autore di oltre 80 pubblicazioni in lingue straniere e oltre 80 in italiano. Fra le sue principali opere Polizia postmoderna (2000), Mobilità umane (2008) e Resistenze ai disastri sanitari-ambientali ed economici in Mediterraneo (2018) e prossimamente Polizie, sicurezza e insicurezze ignorate, con Mimesis/Meltemi nel 2021
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KABUL è una rivista di arti e culture contemporanee (KABUL magazine), una casa editrice indipendente (KABUL editions), un archivio digitale gratuito di traduzioni (KABUL digital library), un’associazione culturale no profit (KABUL projects). KABUL opera dal 2016 per la promozione della cultura contemporanea in Italia. Insieme a critici, docenti universitari e operatori del settore, si occupa di divulgare argomenti e ricerche centrali nell’attuale dibattito artistico e culturale internazionale.