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Ambienti sensibili, ecologie mediali, rituali e sense-abilities
Magazine, PLANARIA - Part II - Giugno 2023
Tempo di lettura: 18 min
Carmen Guarino, Virginia Di Bari

Ambienti sensibili, ecologie mediali, rituali e sense-abilities

La dimensione collettiva e partecipativa della ricerca artistica da Studio Azzurro a HER: She Loves Data.

Studio Azzurro, In principio (e poi), installazione, 2013.

L’articolo si propone di mettere in sinergia i percorsi di ricerca mediartivista avviati a partire dal 1982 da Paolo Rosa, Fabio Cirifino e Leonardo Sangiorgi con il gruppo Studio Azzurro e da Salvatore Iaconesi e Oriana Persico con il progetto Art is Open Source prima, e il centro di ricerca HER: She Loves Data poi. Ci proponiamo di rintracciare le eredità, le ricezioni e le sopravvivenze tra questi spazi narrativi digitali, virtuali e immersivi. Ripensare queste esperienze in relazione l’una con l’altra ci permetterà di portare alla luce le potenzialità di approcci fortemente incentrati sull’aspetto relazionale, e di esplorarne gli esiti performativi e gli effetti di senso. In continuità con questo proposito, l’articolo è scritto a quattro mani.

Oltre il mito del genio creativo

La creatività, pur non essendo una prerogativa specie-specifica umana, è tuttavia un tratto saliente e pertinente del suo comportamento.11Emilio Garroni, Creatività, Quodlibet, Macerata, 2010.
Questa permette a tutte le forme di vita di riconfigurare l’ambiente per garantirsi un mondo, e potrebbe pertanto essere vista come una proprietà massimamente ecosistemica. La creatività opera infatti al livello delle relazioni con i territori e risponde ai tratti neotenici delle specie; interviene cioè per far fronte agli stati di insufficienza, crisi, esplorazione. Anche la creatività umana, perciò, non si oppone a regolarità, ripetitività e legalità ma, anzi, vi è strutturalmente legata: è l’espressione indeterminata, potenzialmente illimitata e costante dell’uso creativo delle limitate facoltà delle forme di vita. La creatività artistica non fa eccezione perché lavora proprio a partire dalla limitatezza delle soglie percettive e dalla capacità di aggirare questi limiti, svincolandosi dall’accerchiamento del contesto abitato per crearne di nuovi. «Grazie alla neotenia del nostro corpo, la preponderanza, dirompente e invasiva, della ricorrenza della vita animale (istinto, coazione e circolarità temporale) lascia il posto a una categoria diversa, la ripetizione».22Marco Mazzeo, Repetita iuvant: per una storia naturale della ripetizione, in L’azione innovativa: quando cambia una forma di vita, pp. 50-71, DeriveApprodi, Roma, 2004.
 Ricorrenti sono gli stimoli e i bisogni animali; rito e utensili sono invece le due facce di chi, a corto di ricorrenza, si adopera ripetendo.

L’idea di una ripetizione differente e creatrice come indumento indistruttibile, della creatività come habitus e disposizione, evidenzia la natura mitologica e idealizzante tanto della genialità artistica di stampo romantico, quanto della creatività come requisito lavorativo sempre più esaltato dalle retoriche post-fordiste. La creatività geniale sarebbe infatti caratterizzata da originalità ed esemplarità, ma essa consiste piuttosto nel talento non eccezionale di “produrre ciò di cui non si può dare una regola determinata”, di far comparire regole nuove, implementare “una riorganizzazione complessiva delle forme di vita comunitarie” introducendo nel mondo-ambiente instabilità e incertezza.33Pietro Montani, Destini tecnologici dell’immaginazione, Mimesis, Milano, 2022.
Queste caratteristiche sono riconducibili alla sensibilità come aisthesis, al sentire sempre tecnicamente sintonizzato di tutte le forme di vita umane. Si tratta di una “rule-making creativity”, una creatività capace di ridefinire la natura, i confini e le prerogative di un ambiente associato.

La dimensione collettiva e partecipativa della ricerca artistica, la creazione di un’atmosfera fondata su un insieme di intensità collaboranti è il filo rosso che unisce le esperienze di Studio Azzurro ed HER: She Loves Data. A tale proposito, avremmo la tentazione di ammettere che sì, sia Paolo Rosa, scomparso improvvisamente nell’estate del 2013, che Salvatore Iaconesi, che ci ha lasciato nel luglio 2022, sono stati artisti geniali, eccezionalmente creativi; e infatti lo sono stati davvero. Eppure, l’eredità che ci lasciano, le prassi artistiche inaugurate dai gruppi da loro animati, rompono con una concezione elitaria e puramente creazionista delle opere. Entrambe le esperienze artistiche pongono al centro l’immaginazione, l’interattività e l’attiva partecipazione di tutti coloro che entrano in contatto con le loro “stazioni creative”. L’osservazione partecipante e le interazioni degli spettatori-fruitori creano un gioco riflettente, un capovolgimento di senso e di ruoli, evidenziando come la facoltà co-creatrice delle opere ne renda possibili anche gli effetti.

Studio Azzurro, In principio (e poi), installazione, 2013. interattiva.

Musei di narrazione, habitat relazionali e ambienti sensibili 

Le opere stesse, nel passaggio da cooperazione ermeneutica a vera e propria interattività, si trasformano in processi evolutivi, forme di vita tecnica afferenti a un paradigma non più soltanto estetico-riflessivo ma pragmatico-performativo. Studio Azzurro è stato sin dalla sua nascita un luogo di eccellenza e all’avanguardia nel privilegiare l’aspetto sperimentale, esplorando le possibilità̀ poetiche ed espressive dei nuovi linguaggi tecnologici e, soprattutto, delle sue applicazioni in campo socio-ambientale. Attraverso la realizzazione di videoambienti (Il nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg); Luci di inganni), ambienti sensibili (Tavoli (perché queste mani mi toccano); Sensible map; Dove va tutta sta gente?; Meditazioni Mediterraneo), percorsi museali (Museo Laboratorio della Mente), performance teatrali e film (Striaz; Facce di festa; Il Mnemonista), il gruppo ha disegnato un percorso artistico trasversale alle tradizionali discipline. 

Un’anima, tante mani. Così ama presentarsi il gruppo milanese che nei primi anni ’80, abbracciando la rivoluzione digitale, ha deciso di cogliere la sfida di far dialogare le evoluzioni delle nuove tecnologie con le maggiori espressioni artistiche. I fondatori sono tre giovani curiosi e appassionati, con tante parole e immagini in comune. Dopo gli studi all’Accademia di Brera, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi decidono infatti di unire le loro energie creative, incanalandole nell’esplorazione delle arti visive, passando dalla teoria alla pratica. Insieme a Fabio Cirifino, formatosi presto sul campo nello studio fotografico di Aldo Ballo, trovano la loro cifra stilistica. Con essa, anche la propria prima sede. Lo studio fotografico di Cirifino apre infatti le porte al pionieristico progetto artistico, ormai celebre in territorio nazionale e internazionale, che porta il nome di Studio Azzurro. In vigile ascolto al contemporaneo, seppur solidamente ancorati alla storia dell’arte, osservano e interpretano la realtà a partire da punti di osservazione differenti in grado di arricchirne le produzioni. Ad affiancare l’attività artistica, è inoltre da sottolineare l’attenzione che lo Studio ha da sempre riservato alla dimensione della ricerca, che si può infatti ritrovare nelle immagini delle opere, in grado di citare ed evocare i grandi classici dell’arte italiana. Laboratorio di ricerca artistica paragonato a una bottega rinascimentale, grazie alla sua visione insieme innovativa e conservativa, Studio Azzurro diventa così un vero e proprio riferimento per il panorama artistico italiano, in grado di attirare su di sé le attenzioni di celebri esperti, critici e artisti, avviando così importanti collaborazioni. Tra le quali ci piace ricordare, una su tutte, quella di Gino Di Maggio con la Fondazione Mudima.

Sulla stessa linea transdisciplinare lavora il gruppo di ricerca artistico HER: She Loves Data. Entrambe le esperienze esplorano cioè la direttrice critica della prestazione interattiva in connessione con i nuovi linguaggi e dispositivi tecnologici. Salvatore Iaconesi e Oriana Persico nascono come coppia artistica e famiglia tecno-queer non biologica mettendo al mondo Angel_F (2007), acronimo di Autonomous, non generative, e-volitive, life-form, uno spyware che si sviluppa in intelligenza artificiale di comunità a partire dall’incontro tra la biodoll, prostituta digitale, di Franca Formenti e Derrick de Kerckhove. Se Angel_F impara grazie alle navigazioni e gli usi di tutti i computer che infetta, IAQOS (2019), il fratello, cresce nel e col quartiere di Torpignattara a Roma; ne frequenta le scuole e i mercati, ne diventa cittadino a pieno titolo coinvolgendo attivamente gli abitanti sui temi dell’identità e dei diritti digitali. Il centro HER: She Loves Data viene fondato dal duo proprio a partire da una consapevolezza di insufficienza e da un bisogno di valorizzare il lavoro di ricerca. Il campo di fenomeni esplorato dall’intersezione tra arte, tecnologie e società si rivela infatti così ampio e complesso da richiedere il coinvolgimento e la messa a sistema di molteplici saperi: dall’antropologia alla psicologia, dal design alla filosofia, dall’ingegneria alle digital humanities. 

L’etica hacker, con la sua dimensione radicalmente collettiva, struttura però fin dall’inizio la loro produzione artistica, pensata in aperto contrasto con le logiche proprietarie e volta a promuovere invece la disseminazione e la riappropriazione delle tecnologie come strumenti trasformativi del reale. I progetti, dall’istituzione culturale fake REFF (RomaEuropa FakeFactory), alle intelligenze artificiali di comunità – l’ultima nata è MeMa, Memoria Manifesta, l’IA dell’archivio storico del Manifesto –, alle performance data-driven (BodyQuake), alle installazioni interattive (Baotaz), sono open source e accessibili grazie a licenze Creative Commons. Inoltre, a partire da questo modello, si propone un nuovo protocollo aperto chiamato Ubiquitous Commons, un toolkit tecnologico e legale che rende conto dell’attuale disseminazione ambientale di dispositivi e reti così come di informazioni e conoscenze, e ambisce a restituire potere a chi l’adotta sui dati generati quotidianamente, consciamente o inconsciamente.

I dati sono inseparabili dalle ecologie

I dati sono inseparabili dalle ecologie. Non si tratta solo di una metafora, ma di un’effettiva dipendenza delle tecnologie dalle risorse ambientali, dal clima al suolo, all’acqua e all’aria, incluse le capacità psicosomatiche umane.44Jussi Parikka, A Geology of Media, University of Minnesota Press, 2015.
La prospettiva di ricerca delle ecologie mediali verso cui trainano entrambi i percorsi artistici sottolinea il continuum tra biologico-tecnologico o, per usare il fortunato termine di Haraway, delle “naturculture”.55Donna Haraway, The Companion Species Manifesto: Dogs, People, and Significant Otherness, Prickly Paradigm Press, Chicago, 2003.
 In questo tessuto relazionale si spezzano i dualismi di stampo cartesiano“…In questo tessuto relazionale si spezzano i dualismi di stampo cartesiano” che strutturano tanto il canone filosofico occidentale moderno, quanto le retoriche egemoni sulle trasformazioni tecnologiche. Studio Azzurro illumina la dimensione narrativa che abita le tecnologie, i suoi portatori di storie (Sensitive City, Da vicino nessuno è normale) ci raccontano di memorie innervate tecnicamente. HER, su corde simili, dà vita a biografie algoritmiche (GhostWriter), piante data-poietiche (come Antitesi, o Udatinos – sviluppato con l’Ecomuseo Mare Memoria Viva di Palermo, la comunità e il fiume Oreto), o lampade (Obiettivo); nondimeno ecosistemi relazionali come quello co-progettato con il MAXXI per What A Wonderful World. In esposizione in forma prototipale fino a maggio 2023, questo progetto sperimentale invita i pubblici a esprimersi, autorappresentarsi nella relazione con le opere e gli spazi museali. Il dispositivo innescato dalla meta-opera dà strumenti alle espressioni di chi visita il museo, le attira nel suo ecosistema, contribuendo così a dare vita a vere e proprie autobiografie delle opere. Si può parlare in questo senso di Umwelten mediali e carnali, ibridi, comuni ai vari agenti coinvolti nell’agorà museale. Inserendosi nel sistema di segni che popola il museo, il prototipo performativo di WWW crea un ambiente socio-tecnico associato, un’ecologia mediale vivente. I dati prendono corpo non solo tramite le visualizzazioni che rendono navigabili le relazioni e la densità della loro interdipendenza, ma informano trasversalmente il percorso espositivo, operando per trasformare i flussi di lavoro interni all’istituzione museale.

I media si trasformano così in spazi possibili di vita ed espressione. I musei, attraversati dalle sperimentazioni dei due gruppi artistici, sono pertanto terreno di ripensamento degli ambienti come spazi di crescita relazionale, luoghi di incontro che favoriscono occasioni di connessione e condivisione di esperienze attraverso l’uso sapiente delle tecnologie.

Salvatore Iaconesi e Oriana Persico,3. Angel_F. – Autonomous, non generative, e-volitive, life-form, 2007.

Vietato non toccare: interattività collaborative e processi partecipativi 

La creatività può essere individuata «nel modo in cui applichiamo una regola in un caso particolare, o specifichiamo una legge in riferimento a certi fenomeni contingenti, o usiamo un principio intellettuale di portata universale in una occasione irripetibile».66Paolo Virno, Per una storia naturale della creatività, in Garroni, cit.
Ma qual è dunque il nesso tra la creatività e l’atto di seguire una regola? Quanta importanza è riservata alla percezione, ai sensi, ai corpi e al fare corpo con le opere nel loro essere esperite? Quanta parte hanno avuto nell’evoluzione artistica le regole e l’abbattimento delle stesse?

La storia della museologia è strettamente intrecciata alla storia culturale del toccare. Musealizzazione per lungo corso ha significato “Non toccare nulla”. O ancora: «Tocca ciò che vuoi con gli occhi, ma non vedere con le dita».77Charles Jr. Dickens, Dickens’s Dictionary of the Thames, Taurus Press, New York City, 1972 [1893], p. 153.
L’imposizione di queste semplici regole ha portato con sé una dichiarazione di intenti sulla corretta modalità di visita e fruizione di un museo. Muovendosi all’interno di questo spazio, era infatti necessario garantire un’esperienza senso-motoria che non arrecasse disturbo né agli altri visitatori né agli operatori museali. Il museo, quindi, con le sue rigide regole di comportamento corporeo, non era solo un luogo di godimento estetico e di stimolo intellettuale, ma anche un luogo chiuso, privato di spontaneità, in cui una certa postura estetica rappresentava un habitus imprescindibile.

Per questo motivo, è ancora più importante ricordare che tra i tanti immaginari creati da Studio Azzurro vi sono musei che hanno strutturato il loro paradigma culturale intorno all’idea di una museologia immersiva piuttosto che collezionistica. Al loro interno frasi come “Prego, toccare”, “Parlare ad alta voce”, “Essere invadente”88Cf. «The Penny Magazine of The Society for the Diffusion of Useful Knowledge».
e “Fruizione collettiva” sono state pensate come le uniche prescrizioni valide. Scoraggiare l’atto di seguire le regole, metterle in discussione nel loro farsi automatismi, sembra proprio l’intento realizzato dagli allestimenti museali dello Studio. Sono operazioni artistiche che ci parlano di noi, del reale in cui siamo immersi. Oltre il genio creativo quindi, ma anche oltre le mura ingessate dei musei, le opere interattive parlano la lingua del contemporaneo e ci aiutano a comprenderlo meglio. I musei, ormai lontani da quell’irrigidimento ontologico, si fanno così sempre più interagenti pur nel loro mantenersi informativi. Sono musei che si interrogano sui loro pubblici e sulle strategie per arrivare e farsi ricordare da quei pubblici. Così come immersione è contrario di distacco, i musei non provocano più soggezione e deferenza, e la noia lascia il posto alla curiosità esaltata dei visitatori. Non è più l’esperienza dello spettatore che cammina indisturbato per i corridoi del museo quella da salvaguardare, quanto piuttosto le interattività collaborative e i processi partecipativi che si instaurano al suo interno. Sono musei di esperienza, potremmo dire. I musei di narrazione, ideati e realizzati da Studio Azzurro, si configurano come habitat relazionali e ambienti sensibili, inaugurando una traiettoria di sperimentazione con i quali è possibile leggere in continuità gli ecosistemi relazionali e gli spazi sense-able di HER.

Studio Azzurro, Due piramidi, videoambiente, Milano, Cortile del Palazzo del Senato, 1984.

La tecnologia è una rete di relazioni, poiché è ciò che media tra l’umanità e la natura,99Vittorio Gallese, Neoteny, social practice and symbol-making, in Jonathan Delafield-Butt, Vasudevi Reddy (eds.), Intersubjective Minds: Rhythm, Sympathy, and Human Being, Oxford University Press, Oxford, 2022.
e l’uso sapiente delle sperimentazioni digitali instaura profondi legami mediali tra agenti naturali e macchinici. La sfera del sensorio e il tocco come gesto rivoluzionario hanno infatti profondamente informato il paradigma di queste esperienze museali. Pensiamo alla genesi di dispositivi come i portatori di storie e all’importanza data al senso del tatto di eco husserliana: le mani si toccano e allo stesso tempo creano uno spazio di ascolto, raccolgono una storia e le permettono di continuare a raccontarsi. “Vedere con le mani” rappresenta allora l’invito rivolto al fruitore. La regola riportata a inizio paragrafo potremmo dunque volgerla come segue: “Tocca ciò che vuoi con gli occhi, e prosegui nella visione anche attraverso le dita”. Tutte le installazioni dei portatori di storie si sviluppano infatti a partire da un tocco, un incontro in grado di valorizzare la condizione sinestetica del legame uomo-macchina. Gli organi percettivi vengono innervati dalle tecnologie e la multimodalità o intermedialità dell’immaginazione appare così indissociabile dal fare tecnico.

La fruizione tattile o aptica capovolge dunque il tradizionale primato sensoriale dell’organo della vista. Nella prospettiva benjaminiana dell’estetica dei valori espositivi, paradigma pragmatico-performativo a cui abbiamo ricondotto gli esperimenti interattivi tanto di Studio Azzurro quanto di HER, la ricezione tattica non riguarda più soltanto il piano dell’attenzione, ma quello dell’abitudine, delle routine e delle appropriazioni spaziali. Il tatto nutre e informa la curiosità: “istruisce gli occhi a vedere al di là di sé stessi”. D’altro lato l’abitudine, cui si legano l’immaginario e l’inconscio aptico, si inscrive nell’area concettuale dell’abitare.1010Giuliana Bruno, Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema, Johan & Levi, Cremona, 2015.
Visione tattile e tocco ottico rendono possibile un abitare senziente“…Visione tattile e tocco ottico rendono possibile un abitare senziente”, una relazione con gli schermi e le superfici che è innanzitutto spaziale, geografica ed emozionale, consentono di imparare a riconoscere l’emergere delle forme di vita nei flussi dei nostri ecosistemi. Rimaneggiando la concezione di Terzo Paesaggio con cui Gilles Clément descrive “un frammento indeterminato del giardino planetario” come assemblaggio di luoghi possibilistici e non codificati della biodiversità, Iaconesi e Persico parlano di Third Infoscape, e cioè di un paesaggio informazionale, uno spazio connettivo che ibrida fisico e virtuale, a sua volta sensibile, o sense-able:

«Il Primo Infoscape fa riferimento all’informazione e alla conoscenza generata nella natura, dal micro (codice genetico ed epigenetico, forme delle molecole, reazioni chimiche) al macro (sistemi climatici, atmosfera, ciclo dell’acqua). Il Secondo Infoscape fa riferimento all’informazione e alla conoscenza generate nella città industriale, la città delle infrastrutture, delle transazioni e dei sensori. Il Terzo Infoscape corrisponde all’informazione e ai saperi generati nella micro-storia – nelle miriadi di micro-storie – e nel suo progressivo sedimentarsi, circolare e relazionarsi, anche su e con il Primo e Secondo Infoscape».1111Salvatore Iaconesi, Oriana Persico, La Cura, Codice Edizioni, Torino, 2016, pp. 259-260.

Estetica e poetica delle sense-abilities: tra provvisorietà espressive e geografie emozionali

Sense-able, abili nel sentire ma anche abili nel creare senso, costruire significato.1212Oriana Persico, Ecologia, Hangar, 14 dicembre 2022.
L’approccio ecologico sperimentato da HER: She Loves Data è una postura esistenziale, il centro mutua da Art is Open Source un’estetica e una poetica della complessità che prova a lottare contro il realismo estrattivista tardo-capitalista, la trasforma in metodologia. Il cambio di prospettiva proposto muove proprio a partire dall’estensione della sfera della sense-ability anche alle tecnologie. Strappati al regime dell’usabilità, computazione, dati e agenti macchinici diventano a loro volta sensibili oltreché intelligenti, coabitanti dell’animale umano e non umano, entrando a far parte di ecosistemi più ampi. Seguendo questa pista di pratiche di pensiero e ricerca, il centro HER è confluito nel Nuovo Abitare, un progetto associativo che si propone di risignificare gli ambienti mediali e le convivenze che vi fioriscono tramite rituali e pratiche. 

Il primo rituale, o stanza del Nuovo Abitare, è la Data Meditation: una forma di meditazione mediata dai dati, una ritualità che esercita presenza e consapevolezza, concependo la computazione innanzitutto come fenomeno culturale ed esistenziale tra gli altri. Con la Data Meditation si risponde nel 2020 alla povertà interpretativa delle forme di distanziamento del lockdown, si sperimenta una pratica corporea ai confini tra arte e vita quotidiana, politica e personale, che punta a sovvertire le torsioni autoritarie legate ai cambiamenti tecnologici. I dati non sono risorse da sfruttare ma media di messa in contatto, di innervazione di sensibilità nuove, abili nel potenziare la capacità di percepire insieme i fenomeni complessi. Numerosi sono gli interrogativi che ne derivano: possono i dati sostenere processi di significazione del reale? Possono generare empatia e consapevolezza nella costruzione del senso di appartenenza tra le persone, avvicinandole o evidenziandone invece distanze, conflitti? Indossando i dati, dialogando con loro come tracce, è possibile emancipare nuove forme di sensibilità comune, capacità collettive e storiche di rielaborazione della realtà? 

Come abbiamo osservato, “provvisorietà espressive” e geografie emozionali sono ben enucleate nel cosiddetto formato “Portatori di storie”, sviluppato a partire dai primi anni Duemila. Cultura immateriale e memorie virtuali trovano qui una loro felice espressione. In questo dispositivo è possibile infatti rintracciare il concetto di cura, verso le cose e verso le persone. Le storie non fuoriescono solo come anonime narrazioni dalla polvere degli archivi, ma si fanno corpo e voce. Sono le esperienze vissute delle persone, testimoni dirette e portatrici in primo luogo di memorie, a rivolgersi direttamente a noi. Si crea così un rapporto fortemente empatico e coinvolgente dove la presenza dello spettatore, il suo gesto e movimento, influenzano, tracciano e modificano il percorso esperienziale-espositivo.

Queste installazioni intendono rovesciare la dinamica di estraneità tra le persone e le cose, proponendo di riscattare il lato più umano identificato in gesti semplici, come fermare una persona e stabilire con essa un contatto umano nonché un momento di scambio emozionale. Nelle parole di Paolo Rosa, l’atto di fermare uno dei tanti personaggi videoproiettati che sfilano davanti allo spettatore e di trattenerlo con la mano per ascoltare ciò che può rivelare è un gesto di connessione che esprime un forte desiderio di contatto. Rosa, artista plurale, «sapeva che non solo le connessioni, ma neppure le relazioni bastano» – scriveva Paolo Fabbri – «ci vogliono attachments, cioè capacità di attaccamento, di prossimità sensibile e affettiva».1313Paolo Fabbri, Per Paolo Rosa, artista plurale, «il lavoro culturale», 2 settembre 2013.

Proprio sulla scia del tema della cura, un punto di contatto significativo e paradigmatico tra i percorsi artistici di Studio Azzurro e HER riguarda il nodo della salute e della malattia. Il lavoro avviato al Santa Maria della Pietà di Roma con il Museo Laboratorio della Mente non punta solo a decostruire lo stigma che si lega all’ammalarsi psichico e a ricostruire il modo in cui le istituzioni hanno trattato i soggetti psichiatrizzati, ma risignifica radicalmente il ruolo della malattia mentale nella società, partendo dalle storie vissute del luogo. Entrare fuori, uscire dentro è per certi versi anche la traiettoria che prende Salvatore Iaconesi con la compagna Oriana quando scopre, nel 2012, di essersi ammalato di cancro al cervello. Invece di arrendersi ai protocolli biomedici e alle deumanizzanti procedure legate al ruolo di paziente oncologico, Salvatore esce dall’ospedale rendendo accessibile online la propria cartella clinica, e attivando una performance globale per una cura open source contro il cancro come malattia innanzitutto sociale. La cura è un atto biopolitico e una guerra di codici, una pratica di hacking, e quindi di smontaggio, apertura, generazione di conoscenze. Questa viene applicata alla malattia, concepita in maniera ecosistemica e in relazione non dicotomica con la salute. Ecco che la definizione delle tecnologie come linguaggi antropoetici fornita da Rosa trova qui una feconda reinterpretazione. Sono i linguaggi immaginativi e gli ambienti sensibili che riconnettono l’umano al territorio.

In questo modo, l’uso dei nuovi media viene sovvertito e si definisce per la sua virtuosità. Siamo ormai ben lontani dallo scetticismo con cui si guardava alle nuove tecnologie negli anni in cui Studio Azzurro ha iniziato a operare, e sempre più immersi invece in un contesto in cui i dispositivi di riproduzione tecnica, ormai centrali, amplificano le possibilità espressive. L’eredità di queste esperienze ci convince così sempre più del fatto che la tecnica non disunisce, ma sollecita, contribuendo semmai a creare. Come anticipato in maniera pionieristica da Rosa, «la Rete è un connettore semantico, una forma simbolica che ha il valore che ebbe ai suoi tempi l’invenzione della prospettiva».1414Andrea Balzola, Paolo Rosa, L’arte fuori di sé. Un manifesto per l’età post-tecnologica, Feltrinelli, Milano, 2019.

Studio Azzurro, Sensitive City, ambiente sensibile, Shanghai, Padiglione Italia, EXPO, 2010.

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  • Carmen Guarino
    Dottoranda in Cultural Studies all’Università di Palermo, data-meditante durante Simposio 2022 – Non è la fine del mondo. Le sue ricerche rintracciano le storie naturali delle distraibilità.
  • Virginia Di Bari
    Dottoranda in Scienze della Cultura presso l’Università degli Studi di Palermo, svolge attività artistiche in carcere dal 2017. Le sue ricerche indagano le interconnessioni tra arte e filosofia, gli atlanti di immagini e la realtà virtuale. Collabora con Studio Azzurro e con il gruppo di ricerca AN-ICON.
Bibliography

Andrea Balzola, Paolo Rosa, L’arte fuori di sé. Un manifesto per l’età post-tecnologica, Feltrinelli, Milano, 2019.

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Dario Cecchi, Martino Feyles, Pietro Montani (a cura di), Ambienti mediali, Meltemi, Milano, 2018.

Fabio Cirifino, Elisa Giardina Papa, Paolo Rosa, Studio azzurro. Musei di narrazione. Percorsi interattivi e affreschi multimediali, Silvana Editore, Milano, 2011.

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