Juliana Curi, fotogramma dal film da Uýra: The Rising Forest, 2022.
Archive: Filter by: All
Close
All
Digital Library
Editions
Magazine
Projects
alterità
attivismo
biopolitica
critica d'arte
critica ecologica
filosofia politica
intersezionalità
massmedia
neuroscienze
nuove utopie
postcolonialismo
postumanesimo
queer
sottoculture
studi culturali
studi di genere
studi sociali
studi vocali
tecnologie
Cybernetic Culture Research Unit

Il Numogramma Decimale

H.P. Lovercraft, Arthur Conan Doyle, millenarismo cibernetico, accelerazionismo, Deleuze & Guattari, stregoneria e tradizioni occultiste. Come sono riusciti i membri della Cybernetic Culture Research Unit a unire questi elementi nella formulazione di un «Labirinto decimale», simile alla qabbaláh, volto alla decodificazione di eventi del passato e accadimenti culturali che si auto-realizzano grazie a un fenomeno di “intensificazione temporale”?

K-studies

Hypernature. Tecnoetica e tecnoutopie dal presente

Avery Dame-Griff, Barbara Mazzolai, Elias Capello, Emanuela Del Dottore, Hilary Malatino, Kerstin Denecke, Mark Jarzombek, Oliver L. Haimson, Shlomo Cohen, Zahari Richter
Nuove utopieTecnologie

Dinosauri riportati in vita, nanorobot in grado di ripristinare interi ecosistemi, esseri umani geneticamente potenziati. Ma anche intelligenze artificiali ispirate alle piante, sofisticati sistemi di tracciamento dati e tecnologie transessuali. Questi sono solo alcuni dei numerosi esempi dell’inarrestabile avanzata tecnologica che ha trasformato radicalmente le nostre società e il...

Allegorie del dissenso – Il carnevale del ’68
Magazine, ASSEDIO – Part II - Ottobre 2020
Tempo di lettura: 10 min
Simona Squadrito

Allegorie del dissenso – Il carnevale del ’68

Dalla Teoria della Polifonia alla Teoria del Carnevale: prospettive a confronto e ritorni storici. Il concetto di Carnevale di Bachtin come metafora degli avvenimenti inaugurati nel 1968.

Festival di Woodstock, 1969.

Questo articolo ha una lunga storia iniziata questo inverno, quando l’artista Ermanno Cristini mi propose di riflettere e successivamente provare a rispondere alla domanda: Voglia di ’68? Sfortunatamente non mi è stato più possibile pubblicarlo, ma ho sempre sperato in una nuova occasione per farlo. Ora, attraverso questo articolo s’intende suggerire un parallelismo e delle relazioni tra una teoria filosofica, sociale e politica e un preciso contesto storico e movimento culturale, e rispondere alla domanda di cui sopra.

Il ’68 è il tempo-luogo di una grande utopia e ogni tempo ha bisogno delle proprie utopie. L’utopia è quel qualcosa che manca11Cf. E. Bloch, Il principio speranza, Garzanti, Milano 1994.
, o per dirla come lo storico Hobsbawm, è quell’idea di mondo migliore che le persone dovrebbero avere, un incentivo, una possibilità, l’idea di qualcosa che è fondamentalmente diversa dal presente22Cf. H. U. Obrist, Interviste, Volume II, Charta, Milano 2010.
. Ci sono tante utopie, sono prospettive che vanno a modificare i percorsi, sono tutte diverse e tutte funzionali a un cambiamento. Non bisogna stupirsi quindi di come ogni tempo abbia formulato la propria utopia.

La mia proposta è quella di rileggere gli avvenimenti del ’68 come la materializzazione provvisoria del concetto utopico di Carnevale, introdotto da Michail Michailovič Bachtin nel 1963. In altre parole, leggere il ’68 come un’allegoria del carnevale. Come sfondo concettuale di questo articolo vi sta l’idea che l’arte sia sintomatica e che certe occasioni siano il segnale dello ‘spirito del tempo’, certe idee e pulsioni circolano nel mondo anche senza che queste siano apparentemente legate tra loro.

Nel 1963 viene pubblicata la seconda edizione della monografia di Bachtin dedicata a Dostoevskij: Dostoevskij: poetica e stilistica. In essa compare un nuovo e controverso capitolo, intitolato: Particolarità di «genere» e di composizione narrativa delle opere di Dostoevskij, in cui il filosofo rilegge in chiave carnevalizzata l’opera del romanziere russo, che fino ad allora era stato interpretato alla luce della ‘teoria della Polifonia’, inaugurata nella prima edizione del ’29. L’interpretazione che adesso Bachtin dà dei romanzi di Dostoevskij ha subìto un repentino cambio di rotta. Naturalmente a cambiare non sono quegli stessi romanzi, ma le condizioni politiche e sociali in cui sono letti. A distanza di più di trent’anni, adesso Bachtin sente l’urgenza di far passare, tramite uno dei propri testi più celebri, una precisa proposta politica, la sua ultima grande utopia. Con l’introduzione della ‘teoria del Carnevale’, Bachtin critica l’ideologia sovietica contemporanea, fornendo una contro-ideologia rispetto ai valori e alle consuetudini dominanti nella vita pubblica di quegli anni, non mediante un attacco frontale allo stalinismo, ma piuttosto attraverso un dialogo con esso. La precedente ‘teoria della Polifonia’, invece, si poneva come il tentativo di promuovere una stabilizzazione libertaria della cultura sovietica che, in quel determinato momento storico-politico, aveva bisogno di un discorso incentrato sulla libertà e soprattutto sulla tolleranza. È fondamentale in questo articolo, per quanto è possibile, chiarire cosa significa la proposta ‘Polifonica’, solo in questo modo è possibile inquadrare e comprendere i motivi teorici e politici che hanno spinto Bacthin a rivedere la sua interpretazione del romanzo dostoevskiano.

«Nell’estetica bachtiniana il modello di un genere letterario è sempre una proposta di un modello di mondo. È ragionevole in prima istanza considerare il passaggio sia come uno sviluppo del percorso di pensiero promosso dall’interno di un’insoddisfazione teoretica, sia in quanto determinato o almeno provocato dalle circostanze storiche. Il 1929, l’anno in cui esce il saggio su Dostoevskij, è un anno cruciale, un punto di svolta per la Russia, generalmente riconosciuto come di non ritorno nella storia della rivoluzione sovietica. È il punto oltre il quale le prospettive, i progetti, i rinnovamenti, le speranze spegnendosi non affidano più segnali di rinascite possibili, come fin lì era accaduto33R. Salizzoni, Il comico tra dialogo e conflitto, in ‘Tropos’, II, n. 1, ARACNE, Roma 2009, p. 36.
».

Pieter Bruegel il Vecchio – Lotta tra Carnevale e Quaresima – olio su tavola – 118×164,5 cm – 1559.

La ‘proposta polifonica’ costituiva un’ideologia alternativa, un’elaborazione particolare e per certi versi originale delle idee diffuse nell’ambiente dell’intellighenzia degli anni Venti, soprattutto nell’Avanguardia e tra gli amici di Bachtin. Il tema della polifonia esprime la concezione secondo la quale il dialogo, così come la coscienza, è orientato in modo dialogico, e assumendo come presupposto l’idea che esistano singoli individui, liberi e portatori di pari diritti. La polifonia costituisce quella che diversi esegeti dell’opera di Bachtin hanno definito una comunità di anime non fuse tra loro, in cui il logos è l’elemento centrale; mentre la ‘teoria del Carnevale’ presentata nel 1963, può essere letta coma una critica elaborata durante i decenni del terrore staliniano. Il progetto polifonico passa in secondo piano rispetto alla ‘teoria del Carnevale’, che riporta nel cuore del dialogo una forma estrema di conflittualità, abbandonando il tratto per certi aspetti irenico del dialogo, centrale invece nel discorso sulla polifonia. Dall’universo dialogico-verbale si passa così a uno dialogico-corporeo. La ‘teoria del Carnevale’ porta in auge uno spazio aperto ai conflitti spesso insanabili, dove la parola dialogica si

Pino Pascali – Un metro cubo di terra – 1967.

contorce nella smorfia di una risata ambivalente. La parola cede la scena all’azione e il carnevale assume il senso di un’animazione attraverso il gesto. La comunità di anime non fuse tra loro diventa collettività corporea, vale a dire corpo grottesco impegnato in un ciclo infinito di domande e risposte, emblema dell’incompatibilità della vita protesa verso un infinito divenire di repliche che inaugurano e mostrano il ciclo incessante della vita e della morte, nell’attesa poi di una rigenerazione sociale. Attraverso la ‘teoria del Carnevale’ non viene più sottolineato un discorso incentrato sul singolo, ma ci si spinge a una visione comunitaristica, a una distinzione binaria del mondo che polarizza i singoli individui in due comunità unitarie, quella della sfera ufficiale e quella non ufficiale. Nel carnevale i soggetti sono corpi e i loro rapporti gravitano in un interminabile conflitto, è uno spettacolo senza ribalta e senza divisione in esecutori e spettatori. Nel carnevale tutti sono attivi partecipanti, tutti prendono parte all’azione carnevalesca: «Il carnevale non si contempla e non si recita: si vive in esso, si vive secondo le sue leggi, finché queste leggi sono in vigore, cioè si vive la vita carnevalesca. Ma la vita carnevalesca è una vita tolta dal suo normale binario, è in una certa misura una “vita all’incontrario”, un “mondo alla rovescia”44M. M. Bachtin, Dostoevkij. Poetica e stilistica (ed. or. 1963), Enaudi, Torino 1968, p. 160.
», ed è in questo ribaltamento che Bachtin percepisce la condizione potenziale per l’esercizio della libertà umana. Infatti, durante il carnevale, che rappresenta una smagliatura del tessuto sociale, ogni persona è impegnata nella rimozione e nel ribaltamento totale dell’ordine esistente. Attraverso i ‘giochi’ del carnevale, si inverte il consueto funzionamento dei valori. In questa momentanea emancipazione dell’uomo dall’ordine normale, Bachtin vede la proposta di un mondo altro, diremmo ‘un mondo utopico’ che al suo interno ammette molteplici prospettive, un mondo il cui fondamento consiste nel rifiuto di ogni gerarchia sociale e di ogni autorità e nella messa in ridicolo di qualsiasi dogma. Durante il carnevale si è soggetti a un’unica legge: quella della libertà dalle norme e dai valori ufficiali. Le leggi, le proibizioni e tutte le forme di controllo e terrore, di riverenza, e tutto ciò che è espressione della disuguaglianza socio-gerarchica, sono sospesi. Nel carnevale, tra gli individui non vi è più distanza, ma un contatto libero dalle norme del galateo e da quelle della comune decenza. Dovendo riflettere sul tema del ’68 ho intuito come le istanze ed esigenze proposte dal filosofo furono simili alle esigenze e ai desideri della generazione che animò il ’68. Germano Celant nel 1967, nell’anno in cui si riversavano nelle strade della città gli operai della Fiat, quando il boom economico rallentava e la disoccupazione aumentava, sostiene che la povertà dei materiali – usati degli artisti ‘poveristi’ – costituisce una sorta di guerriglia55G. Celant, Arte povera: appunti per una guerriglia, in ‘Flash Art’, a, I, n 5, Milano, novembre-dicembre 1967, p.3.
: «Germano Celant assegna all’artista la parte di un attore che interpreta tutti i ruoli, che entra nella vita quotidiana abolendo la rappresentazione teatrale in quanto separata dalla vita stessa, che innesca situazioni mentre umilmente ne rielabora tracce fisiche. In ogni caso, si tratta chiaramente di un attacco verso quella che egli chiama la “scolastica concettuale”66J. Heiser, Le mie parole, e tu? L’arte povera e le sue affinità con il concettualismo internazionale e il romanticismo, in Il confine evanescente, Arte italiana 1960-2010, Electa, Milano 2010, p. 126.
».

James Ensor – L’entrata di Cristo a Bruxelles – olio su tela – 253×431 cm – 1889. Luciano Fabbro – L’Italia Rovesciata – 1968.

Nello stesso anno, Grotowski parlerà del ‘teatro povero’, proponendo l’abbattimento della quarta parete tra il palcoscenico e la platea, e caldeggiando azioni, situazioni e momenti di incontro che coinvolgeranno il pubblico in un confronto diretto con gli attori, con lo stesso spirito di molte performance che seguiranno. Arte Povera e Teatro Povero, con metodi e linguaggi differenti, propongono un’interazione umana diretta e il trionfo della presenza fisica. Alla fine degli anni ’60 le idee antisistematiche dei movimenti artistici furono direzionate contro la spinta razionalistica dei lavori concettuali, in favore di un’estetica della molteplicità e della contraddizione. Scrive Celant: «Uscire dal sistema vuol dire rivoluzione77G. Celant, cit., p.3.
»; allo stesso modo, la ‘teoria del Carnevale’ contesta le leggi del linguaggio, Dio, l’autorità e la legge sociale. Il carnevale è ribelle, è un trionfo della liquidazione, perlomeno provvisoria, della verità dominante e del sistema sociale vigente. Rappresenta l’abolizione di tutte le relazioni intermedie gerarchiche, di ogni privilegio, regola e tabù. È come se, mediante la struttura carnevalesca, Bachtin avesse desiderato designare una sorta di cosmogonia che non conosce la causa, l’identità, all’infuori del rapporto con il tutto. In modo simile, con il ’68 si inaugura una stagione aperta e plurale, un’intensità collettiva che vuole fare i conti non solo con l’eredità del moderno, con i meccanismi simbolici e materiali della società dello spettacolo, ma soprattutto con i comportamenti sociali, assumendo come centrale il ruolo del desiderio nei processi di trasformazione collettiva. Il ’68 produce cambiamenti e scontri, i giovani iniziano una rivolta contro il mondo ufficiale e la tradizione, con una forte volontà di cambiamento associata a una visone del futuro – non a caso fiorisce la letteratura di fantascienza. Si sgretolano i codici dell’abbigliamento e delle acconciature, e le donne cominciano a indossare pantaloni e minigonne. Ponendosi come un invito al ritorno ai ritmi della natura, il carnevale trova riscontro in alcuni tòpoi dell’Arte povera, in cui elementi come fuoco-acqua-terra (Kounellis, Pascali) sono interpretati come un invito alle relazioni autentiche tra le persone, in opposizione alla descrizione fatta nella Società dello spettacolo. Ci si ribella alla condizione passiva dello spettatore. Simili intenti trovano riscontro nei quadri specchianti di Pistoletto. Lo stesso invito a trasformare la galleria da luogo di rappresentanza a luogo di interazione è offerto da Kounellis nel momento in cui chiede al pubblico di nutrire e accarezzare i cavalli legati alle pareti della galleria L’Attico di Roma. Ma forse è la Body Art, più di ogni altro linguaggio, a esprimere il ‘bisogno di corpo’, perché esplora e sonda le esperienze umane, indagando le forze produttive dell’inconscio ed esplorando le pulsioni di vita e di morte in modo da liberare i desideri repressi e renderli manifesti. Il corpo diviene così il luogo del concreto e del simbolico dove vengono rappresentati i conflitti sociali e culturali.

Manifestazione Femminista – 1968.

Le esperienze legate al ’68 non devono essere lette come un fallimento epocale, ma come un movimento provvisorio e terapeutico, un’utopia da transitare, così come il Carnevale di Bachtin è inteso come elemento provvisorio ma che ricorre ciclicamente nel tempo. La libertà che emerge durante il carnevale è essa stessa limitata a un tempo, è provvisoria, il suo campo d’azione, in fondo, appare assai ridotto, tutto ciò che viene beffeggiato, ridicolizzato e capovolto, alla fine, è ristabilito. Esistono i cicli e i ritorni storici, si alternano momenti di disordine a momenti di ripristino dell’ordine, ed è da questa prospettiva che è possibile rispondere alla domanda: Voglia di ’68? Solo se, con questa domanda, si tende a far emergere le attuali ‘ricorrenze’. Non tanto il ’68, ma i desideri che l’hanno animato, ritrovare in quel periodo delle risposte alle esigenze e agli impulsi collettivi odierni. Da qualche anno sembra ci sia un rinnovato interesse per le manifestazioni di tipo performativo. Due anni fa si inaugurava ad Artissima una nuova sezione interamente dedicata alla performance: per4m. Sono gli anni in cui, a fatica, tentiamo di far luce sulla relazione che intercorre tra il virtuale e il non virtuale, gli anni d’oro della chirurgia estetica. Nelle aule di filosofia si studia fenomenologia eretica, i cui primi oggetti di ricerca sono il corpo e le percezioni immediate. Tutto ciò vorrà sicuramente significare qualcosa, così come molti tentativi nell’arte contemporanea sono il sintomo di qualcosa che ribolle da un tempo più lungo, qualcosa che molto probabilmente è già accaduto.

Vito Acconci – Seedbed – Video – 1972.

More on Magazine & Editions

More on Digital Library & Projects

Iscriviti alla Newsletter

"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)

di Simona Squadrito
  • Simona Squadrito è curatrice e critica d'arte, vive e lavora a Milano. Dopo il conseguimento della laurea magistrale in Filosofia e Storia delle Idee all'Università degli Studi di Torino ha intrapreso un percorso lavorativo e formativo nelle arti visive, conseguendo nel 2020 il master di secondo livello in Museologia Museografia e Management dei Beni Culturali. Presidente dell'Associazione culturale Casagialla, è stata dal 2015 al 2020 direttore di Villa Vertua Masolo. È cofondatrice di "REPLICA. L'archivio italiano del libro d'artista" e cofondatrice dell'associazione culturale KABUL magazine. Dal 2014 scrive e collabora per diverse testate e piattaforme digitali.
Bibliography

M. M. Bachtin, Dostoevkij. Poetica e stilistica, Enaudi, Torino 1968.
M. M. Bachtin, Estetica e romanzo, a cura di C. Strada Janovič, Enaudi, Torino 1979.
M. M. Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Risi, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Enaudi, Torino 1979.
M. M. Bachtin, L’autore e l’eroe. Teoria letteraria e scienze umane, a cura di C. Strada Janovič, Enaudi, Torino 1988.
E. Bloch, Il principio speranza, Garzanti, Milano 1994.
G. Celant, Arte povera: appunti per una guerriglia, in ‘Flash Art’, a, I, n 5, Milano, novembre-dicembre 1967.
G. Guercio, A. Mattirolo (a cura di), Il confine evanescente. Arte italiana 1960-2010, Electa, Milano 2010.
H. U. Obrist, Interviste, Volume II, Charta, Milano 2010.
R. Salizzoni, M. Bachtin. Autore e eroe, Trauben, Torino 2003.
R. Salizzoni, Il comico tra dialogo e conflitto, in ‘Tropos’, II, n 1, ARACNE, Roma 2009.