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Sociologia mobile 2/2
Digital Library, December 2016
Tempo di lettura: 21 min
John Urry

Sociologia mobile 2/2

Il sociologo inglese John Urry analizza la mobilità come categoria utile alla ridefinizione degli oggetti di studio della sociologia, alla luce dei recenti cambiamenti globali: dalla globalizzazione del capitalismo alle mobilità complesse.

Cécile B Evans – Hyperlinks or it didn’t happen – 2014.

 

Tra le ricerche dei sociologi contemporanei che hanno tentato di descrivere la società mobile e globale della contemporaneità con termini quali mobilità, flusso, network e fluidità, merita attenzione quella dell’inglese John Urry (1946-2016). Fautore di un ‘new mobilities padarigm’, che propone una ridefinizione degli oggetti di studio della sociologia attraverso una prospettiva transdisciplinare che includa geografia, sociologia del turismo e antropologia, Urry ha definito la mobilità come «l’esperienza paradigmatica della modernità» (Lash – Urry: 1994, p. 253).

Nella seconda metà del suo saggio, proseguendo il discorso sulle reti globali, sulla cui base si organizzano le multinazionali, Urry distingue tra passaggi, reti che riconfigurano le dimensioni di tempo e spazio, e flussi (economici, scientifici, di informazione, ecc.). Discutendo poi di sistemi complessi e teoria della complessità, il sociologo affronta la riflessione sulla «globalizzazione del capitalismo», presentandone gli intrinsechi aspetti contradditori. In ultimo, si passa all’analisi delle «mobilità complesse», giungendo infine a individuare la sociologia come la disciplina più adatta all’analisi, avulsa da ogni forma di normalizzazione discorsiva, di queste ultime.

 

Per recuperare la prima parte del saggio, vai su Sociologia mobile 2/2

Introduzione di Dario Giovanni Alì


Ci sono due ulteriori aspetti delle reti da distinguere, qui, ossia passaggi e flussi.
I passaggi sono reti di macchine, tecnologie, organizzazioni, testi e attori che costituiscono i vari nodi interconnessi attraverso i quali i flussi possono essere condotti. Questi passaggi riconfigurano le dimensioni di tempo e spazio. Una volta stabiliti specifici passaggi, individui e soprattutto corporazioni all’interno di ciascuna società tenteranno normalmente di connettersi a questi, diventando nodi all’interno delle loro reti. Cercheranno di sviluppare il loro aeroporto di scambio o almeno di avere voli regolari verso tali aeroporti; vorranno che le loro scuole locali siano collegate a internet; tenteranno di attirare trasmissioni satellitari; potrebbero anche cercare di processare scarti nucleari, e così via. Tra certi nodi lungo alcuni passaggi possono esserci flussi d’informazione di straordinaria portata, dati finanziari, economici e scientifici, notizie e immagini, nei quali alcuni gruppi saranno profondamente immersi e altri praticamente esclusi. Quello che diventa significativo è quello che Brunn e Leinbach chiamano posizione ‘relativa’, invece di ‘assoluta’ (1991: xvii).

Questo crea nuove diseguaglianze di flusso, invece di diseguaglianze di stasi. Graham e Marvin sostengono che quanto avviene qui è una ristrutturazione di tempo e spazio perpetrata da strutture avanzate di telecomunicazione e trasporto, con i passaggi che saltano certe aree e ne connettono altre lungo ‘gallerie’ ricche di informazione e trasporti (1996: 60). Le distanze sociali e spaziali non sono più omologhe (Beck 1999: 104).

Per adesso ho parlato in modo piuttosto generale di reti globali che attraversano i confini regionali della società, manifestando così alcuni aspetti della contemporanea «de-territorializzazione» (Lefebvre 1991: 346-8). Questi concetti saranno ora resi più precisi distinguendo tra due diversi tipi di questa rete, le reti globali e quelli che chiamerò fluidi globali.

Numerose aziende ‘globali’, come American Express, McDonalds, Coca Cola, Disney, Sony, BA e così via, sono organizzate sulla base di una rete globale (v. Ritzer 1991; 1995; 1997). Una tale rete di tecnologie, competenze, testi e marchi assicura che sostanzialmente lo stesso prodotto possa essere servito più o meno allo stesso modo in ogni paese in cui l’azienda opera. Questi prodotti sono prodotti in ambienti prevedibili, calcolabili, ripetibili e standardizzati. Queste firme hanno prodotto reti enormemente efficaci basate su mobili immutabili con poche ‘mancanze’. Tali reti dipendono dall’allocare una proporzione molto grande di risorse al marchio, alla pubblicità, al controllo qualità, la formazione del personale e l’internalizzazione dell’immagine aziendale, tutte cose che superano i confini sociali in configurazioni standardizzate in modo da rimanere costanti. La distanza è misurata in termini di tempo necessario a raggiungere il successivo McDonalds, il prossimo parco Disney, il prossimo aeroporto BA e così via, ossia, a passare da un nodo in questa rete globale al successivo. Reti globali possono essere trovate anche in organizzazioni oppositive come Greenpeace. Come altre forze globali, dedica molta attenzione allo sviluppare e sostenere la sua identità in tutto il mondo. L’identità di Greenpeace ha «uno status così iconico che è un simbolo mondiale di correttezza ecologica, ben oltre i successi pratici dell’organizzazione» all’interno di certe società (Szerszynski 1997: 46).

Ci sono poi i fluidi globali, eterogenee, sbilanciate e imprevedibili mobilità di persone, informazione, oggetti, denaro, immagini e rischi, che si muovono caoticamente attraverso regioni in forme sempre più veloci e imprevedibili. Tali fluidi globali (in contrasto con le reti) non mostrano (v. Deleuze e Guattari 1986, 1988; Lefebvre 1991; Mol e Law 1994; Augé 1995; Kaplan 1996; Shields 1997) punti chiari di partenza o arrivo, solo movimento de-territorializzato o mobilità (rizomatica invece che arborea). Sono relazionali nel manifestare relazioni tra aspetti spazialmente variabili di un passaggio che rimarrebbero altrimenti privi di funzione. I fluidi si muovono in direzioni specifiche a certe velocità, ma senza necessitare di uno stato finale o di uno scopo. Posseggono differenti viscosità e, come il sangue, possono essere più o meno densi e quindi muoversi in differenti forme a diverse velocità. Si muovono in accordo con certe scale temporali, lungo ogni minuto, giorno, settimana, anno e così via. Eminentemente, i fluidi non rimangono sempre all’interno del passaggio – possono muoversi all’esterno o sfuggire come cellule immunitarie attraverso le pareti di un vaso sanguigno, entro capillari sempre più piccoli; quindi il loro potere è diffuso attraverso questi vari fluidi in numerose e spesso minute relazioni di dominazione/subordinazioni capillari. Fluidi differenti s’intersecano spazialmente nei ‘luoghi d’incontro vuoti’, dei non-posti della modernità, come motel, aeroporti, stazioni di servizio, internet, hotel internazionali, televisione via cavo, ristoranti che fanno conto spesa e così via.

Ho quindi esposto alcune caratteristiche di reti globali e fluidi. Dato che si tratta di ibridi inumani, concezioni di agency che si concentrano specificamente sulle capacità degli umani di attribuire significato o senso, o di seguire norme sociali, non sono appropriate. Ciò non vuole affermare che gli umani non facciano queste cose o che gli umani non abbiano agency. Ma lo fanno solo in circostanze che non sono create da loro; e sono queste circostanze – le durature e sempre più intime relazioni tra soggetti e oggetti – a essere massimamente significative. Questo significa che il mondo umano e quello fisico sono intrecciati tra loro in modo elaborato e non possono essere analizzati separatamente l’uno dall’altro, come società e come natura o umani e oggetti. Inoltre l’agency non è questione esclusivamente umana, indipendente dagli oggetti, nei termini della capacità unica di attribuire significato o seguire regole. Se quindi non c’è un reame autonomo dell’agency umana, allora non si dovrebbe pensare di un livello distinto della realtà sociale che è unicamente il risultato dell’agire di umani nell’ambito dei e attraverso i loro specifici poteri. Vari autori hanno tentato di sviluppare una tesi sulla dialettica tra gli individui che costruiscono la società e la società che costruisce individui (Berger e Luckmann 1967). Ma una tale dialettica sarebbe plausibile solo se per società intendiamo qualcosa di banale, ossia le pure interazioni sociali astratte dalle reti di intricate relazioni con l’inumano. Dato che quasi tutte le entità sociali coinvolgono reti di connessioni tra umani e queste altre componenti, non ci sono quindi società propriamente solo umane. Le società sono necessariamente ibride.

Più in generale, Laclau e Mouffe mostrano l’impossibilità della società come un valido oggetto di discorso (1985). Cosa possiamo chiedere tenga assieme una ‘società’ quando reti inumane la attraversano in modi decisamente nuovi a velocità sempre maggiori? I classici dibattiti filosofico-sociologici sulle rispettive virtù di individualismo metodologico contro olismo, o, nelle loro manifestazioni più recenti, strutturazionismo contro dualismo della struttura, non sono qui d’aiuto. Non si occupano delle complesse conseguenze delle varie mobilità: le intersecanti relazioni dei sensi tra umani e vari oggetti; le qualità temporali e spaziali delle relazioni che si estendono attraverso i confini delle società; e le complesse e imprevedibili intersezioni di molte ‘regioni, reti e flussi’. Descrivere queste o come ‘struttura’ o come ‘agency’ è un’ingiustizia nei confronti della complessità di tali relazioni. Luhmann riassume: «Non ci può essere ‘intersoggettività’ sulla base del soggetto» (1995: xli). L’ordinamento della vita sociale è contingente, imprevedibile, irriducibile ai soggetti umani ed è reso possibile solo da risorse extra-somatiche (a differenza della pura socialità delle società dei babbuini: Law 1994). Knorr Cetina evidenzia la necessità di analizzare «la socialità con oggetti» (1997). Nella prossima sezione considererò se nozioni di ‘complessità’ possano chiarificare tali ibridi inumani, mobili, intersecanti – è la complessità la base della conoscenza ‘post-sociale’?

The Opte Project – The Internet 2003 – 2003.

 

Mobilità complesse
La natura ‘complessa’ dei sistemi, sia fisici che sociali, significa che sono caratterizzati da un numero molto grande di elementi che interagiscono fisicamente e da un punto di vista informazionale nel corso del tempo e che risultano in loop di feedback positivi e negativi (v. Byrne 1998; Cilliers 1998; Wallerstein 1998; Thrift 1999, circa recenti applicazioni della teoria del caos/complessità alle scienze sociali). Tali sistemi interagiscono in modo dissipativo con il loro ambiente e hanno una storia che evolve irreversibilmente con il passare del tempo. Conseguenze emergenti, impreviste e non-lineari sono generate all’interno di tali sistemi, conseguenze che hanno motivi ricorrenti ma che sono imprevedibili, distanti nel tempo e/o nello spazio dalla loro origine e che possono coinvolgere una potenziale biforcazione del sistema.

Nelle scienze fisiche, la teoria della complessità usa formule matematiche e algoritmi informatici per caratterizzare numeri enormemente elevati di eventi iterativi. In certi esperimenti, l’analisi di crescite nei tassi riproduttivi della Lymantria dispar (una falena) ha mostrato, tramite i risultati cambiamenti nelle dimensioni della popolazione, forti cambiamenti non-lineari nelle caratteristiche del sistema. Cambiamenti del parametro risultavano in trasformazioni; in certi contesti, l’ordine genera caos. Tanto più complesso è il sistema, tanto più probabile che piccole fluttuazioni possano essere d’importanza critica (v. Prigogine and Stengers 1984).

Questo aspetto iterativo dei sistemi non è stato adeguatamente indagato nella sociologia (anche se v. Mingers 1995; Eve, Horsfall, Lee 1997). In parte è per via della supposta natura a-temporale del mondo sociale, rispetto al vedere ogni ibrido sociale come necessariamente storico (come sono gli ibridi fisici, v. Adam 1990). Ma la cosa deriva anche dalle perniciose conseguenze dello iato tra struttura e agency. Nel pensiero sociologico i milioni di singole azioni iterative sono largamente relegati sotto la nozione di ‘struttura’ (come la struttura delle classi, delle relazioni tra i sessi o la struttura sociale), che è vista come ‘ordinata’ e riprodotta attraverso iterazione continua. Il concetto di struttura risolve il problema dell’iterazione per la sociologia. Tuttavia i sistemi sociali cambiano, e la sociologia, allora, si appella al concetto di agency per affermare che alcuni insiemi di entità agenti possono in certe occasioni riuscire a fuggire dalla struttura e causare cambiamento al suo interno. Se i sistemi sociali cambiano, ciò è visto come risultato dell’agency.

Certi autori hanno tuttavia notato le limitazioni di questa formulazione, inclusi quelli che mettono l’enfasi sulla performatività dell’identità di genere attraverso la ripetizione stilizzata di azioni nel tempo (Butler 1990). Giddens sviluppa la ‘dualità della struttura’ per tener conto del carattere ricorsivo della vita sociale (1984). La ricorsività è affine all’iterazione; Giddens sicuramente migliora i modi in cui comprendiamo come le ‘strutture’ sono sia parte che risultato di innumerevoli azioni iterative di agenti dotati di conoscenza. Tuttavia, Giddens esamina in modo insufficiente il carattere ‘complesso’ di questi processi iterativi, come l’ordine può generare caos, imprevedibilità e non-linearità. Quindi, anche se c’è ricorrenza, azioni ricorrenti possono produrre non-equilibrio, non-linearità e, se i parametri cambiano drasticamente, un’improvvisa biforcazione del mondo sociale. Ed è questo il punto cruciale; un cambiamento così complesso può non avere niente a che fare con entità che agiscono e cercano di cambiare quel mondo. Possono semplicemente continuare a portare a termine quelle azioni ricorrenti o quelle che ritengono essere le stesse azioni. Ma è tramite l’iterazione nel corso del tempo che possono generare risultati inaspettati, imprevedibili e caotici, spesso opposti a quanto gli umani coinvolti intendevano realizzare. Inoltre, ovviamente, le entità che agiscono non sono solo umane, ma una varietà di umani e non umani che costituiscono i tipici ibridi mobili (dove lo stato al massimo ‘regola il gioco’, invece di ‘curare il giardino’; v. Urry 2000: ch. 8).

Un esempio di pensiero della complessità nelle scienze sociali è l’analisi di Marx del rivelarsi delle ‘contraddizioni’ del capitalismo (v. Elster 1978). Marx afferma che i singoli capitalisti cercano di massimizzare i loro profitti e quindi di pagare i loro dipendenti il meno possibile o di fare in modo che lavorino sempre più a lungo. Questo ‘sfruttamento’ della forza lavoro continuerà a meno che non venga prevenuto da  stati, azioni sindacali collettive o dalla morte prematura dei lavoratori. Le conseguenze di queste azioni ripetute senza fine riproducono il sistema capitalista, dato che generano notevoli profitti, falsificando quella che Marx aveva ipotizzato essere la legge del declino tendenziale del saggio di profitto. L’ottenimento di tali profitti ha l’effetto di riprodurre le relazioni di classe di capitale e lavoro stipendiato centrali all’ordinamento del sistema capitalista.

The Opte Project – The Internet 2010 – 2010.

Tuttavia, il processo stesso del mantenere l’ordine tramite lo sfruttamento dei lavoratori da parte ciascun capitalista risulta in tre contraddizioni sistemiche, della sovra-produzione, di una forza lavoro sempre più rivoluzionaria e dell’abbattimento delle muraglie cinesi e l’internazionalizzazione del proletariato. Quindi i risultati dell’ordine capitalista sono, nel corso del tempo e di milioni di iterazioni, l’opposto di quello che i capitalisti sembrano stare riproducendo attraverso lo sfruttamento della loro forza lavoro locale. Milioni di iterazioni producono il caos dall’ordine, cambiamenti non lineari e una biforcazione potenzialmente catastrofica del sistema capitalista (v. Reed e Harvey 1992). Molta sociologia ha cercato di spiegare perché queste predizioni non si siano materializzate. Tuttavia, l’incapacità di Marx di prevedere la rivoluzione sociale può essere vista dalla teoria contemporanea come comprensibile, dato che perturbazioni molto piccole nel sistema possono produrre biforcazioni molto diverse del mondo sociale rispetto a quello che aveva immaginato più o meno un secolo addietro.

Oltretutto, l’analisi di Marx evidenzia l’importanza chiave di forme locali d’informazione, e più in generale di quello che Kwa chiama una concezione barocca, invece che romantica, di interi complessi (1998). Cilliers descrive come qualsiasi sistema emergente complesso sia il risultato di una ricca interazione di elementi semplici, ciascuno dei quali «risponde solo alle limitate informazioni che riceve» (1998: 5). Quindi, secondo Marx, ciascun capitalista opera in condizioni che sono distanti dall’equilibrio; può solo rispondere a fonti d’informazione ‘locali’, dato che le informazioni rilevanti hanno portata temporale e spaziale limitata. Inoltre, lotte locali di gruppi di lavoratori contro le condizioni del loro sfruttamento hanno avuto l’effetto più a lungo termine, attraverso complesse iterazioni, di riprodurre il sistema capitalista, anche se in una forma decisamente diversa. Alla fine tali lotte hanno impedito uno sfruttamento della forza lavoro tale da causare la rivoluziona sociale prevista da Marx. Le lotte dei lavoratori, basate su conoscenza locale, hanno avuto l’effetto di ristabilire l’ordine sociale, ma a un livello maggiore di ‘welfare’.

Il capitalismo, sappiamo adesso, ha effettivamente abbattuto molte muraglie cinesi ed è diventato globale. Può la complessità fare luce in un tale capitalismo globale? Si sta sviluppando un livello emergente del ‘globale’ che ricorsivamente produce se stesso, i cui output sono input di un sistema circolare autopoietico di oggetti ‘globali’, identità, istituzioni e pratiche sociali? Se sì, quali sono le sue proprietà complesse, come sono caos e ordine combinati nel globale? Per prima cosa, possiamo rilevare che si verificano miliardi di azioni individuali, ciascuna delle quali è basata su forme d’informazione eccezionalmente localizzate. La maggior parte delle persone, la maggior parte del tempo, agisce iterativamente in termini d’informazione locale, senza conoscere praticamente niente circa le connessioni globali o le implicazioni di ciò che sta facendo. Tuttavia, queste azioni locali non rimangono semplicemente tali, dato che sono catturate, rappresentate, pubblicizzate, circolate e generalizzate altrove. Sono portate lungo i passaggi e i flussi del mondo globale emergente, trasportando idee, persone, immagini, denaro e tecnologie potenzialmente ovunque. Invero tali azioni possono saltare i passaggi, dato che sono simili a fluidi e difficili da circoscrivere in canali specifici (ad esempio internet che salta da comunicazioni militari a comunicazioni di protesta di strada). Le conseguenze per il livello globale sono non-lineari, su larga scala, imprevedibili e parzialmente ingovernabili (barocche invece di romantiche: v. Kwa 1998). Piccole cause in certi posti portano a enormi conseguenze altrove. Si consideri un mucchio di sabbia; se un granello è posto in cima, potrebbe restare fermo o causare una piccola valanga. Il sistema è auto-organizzato, ma gli effetti di cambiamenti locali possono variare enormemente (Cilliers 1998: 97). Il mucchio si manterrà da solo all’altezza critica e non possiamo sapere in anticipo cosa accadrà a una qualsiasi azione individuale o quale sarà la sua conseguenza per il mucchio.

L’ordine globale emergente è caratterizzato da costante disordine e disequilibrio. Ecco alcuni esempi recenti in cui milioni di azioni basate su conoscenza locale sono risultate, attraverso iterazione, in conseguenze imprevedibili e non-lineari al livello globale emergente (v. Urry 2000: ch. 2 per ciascuno di questi). Arpanet/Internet fu sviluppata per garantire le comunicazioni militari USA in caso di guerra nucleare, ma ha poi fornito un passaggio che ha generato straordinari flussi di immagini, informazioni e comunicazioni non militari in tutto il mondo (l’adozione di internet è stata più rapida di quella di qualsiasi altra tecnologia precedente). Nel 1989 ci fu un collasso quasi istantaneo di tutta l’Europa dell’est ‘comunista’, una volta visto che lo specifico centro locale, il Cremlino, non aveva possibilità e volontà di impedirlo. La decisione apparentemente ‘razionale’ di milioni di individui di esercitare il loro diritto a guidare ha portato a un rilascio di anidride carbonica che minaccia la sopravvivenza a lungo termine del pianeta (anche se la maggior parte di chi guida un veicolo è al corrente di queste conseguenze). Il consumismo onnipotente ha generato quasi ovunque fondamentalismo religioso. Barber descrive in modo apocalittico l’ordine globale emergente come bloccato in un grande conflitto tra il consumista ‘McWorld’ da una parte e le politiche identitarie della ‘Jihad’ dall’altra (1996). C’è un ‘nuovo ordine mondiale’ dal quale McWorld e Jihad dipendono e che rinforzano mutualmente.

Esiste una sorta di disequilibrio globale ingravescente che minaccia le sfere pubbliche esistenti, la società civile e le modalità democratiche. Ci sono, sì, forme di governo globale progettate per stemperare alcune forme di disequilibrio, ma sono principalmente basate su governi nazionali che agiscono in specifici contesti locali. Baker ha descritto come la relazione tra il centro e la periferia, o quello che chiama la ‘centriphery’, crei sia ordine che turbolenza nella vita sociale (1993). Suggerisce che la centriphery funzioni come un attrattore, che è definito come lo spazio verso il quale la traiettoria di un sistema qualsiasi è attratta nel tempo (Byrne 1998: 26–9; Cilliers 1998: 96–7). In questo caso la centriphery è un motivo dinamico che è ripetuto in molti diversi livelli, riguardante flussi di energia, informazione e idee che allo stesso tempo crea sia centri che periferie. La traiettoria dei sistemi sociali è irreversibilmente attratta verso la centriphery. Baker sostiene inoltre che:
«Oggi, certe industrie multinazionali sono il centro di vaste quantità di attività umana, collocando specifici aspetti delle loro attività in diversi continenti. In ognuno di questi casi, lo scambio di beni e servizi stabilisce e lubrifica una relazione dinamica tra centro e periferia. Il procedere dell’accentramento rende più profonda la periferia… Dato che l’accentramento e la formazione di periferie coinvolgono la trasformazione di energia e informazione, quindi, la creazione di entropia, il processo è irreversibile» (1993: 140).

Una forma specifica presa dallo strano attrattore della centriphery è quella della ‘glocalizzazione’, nella quale c’è un processo parallelo irreversibile di globalizzazione-approfondimento-localizzazione-approfondimento-globalizzazione e così via. Entrambe sono legate assieme da una relazione dinamica, con enormi flussi d’informazione che si muovono avanti e indietro tra globale e locale. Né il globale né il locale possono esistere senza l’altro. Si sviluppano in un insieme simbiotico, irreversibile e instabile di relazioni, nel quale ciascuno viene trasformato tramite miliardi di iterazioni in tutto il mondo. Piccole perturbazioni nel sistema possono portare a biforcazioni imprevedibili e caotiche, com’è successo con quella che Imken chiama la «non-lineare, asimmetrica, assemblata caoticamente… nuova forma di vita artificiale della matrice globale di telecomunicazioni» (Imken 1999: 92).

The Opte Project – The Internet 2015 – 2015.

 

Conclusione
Ho quindi discusso come sistemi della ‘complessità’ possano assistere nell’analisi di ibridi mobili. Tuttavia, come sembra restare alla deriva la ‘sociologia’, una volta abbandonati i relativamente sicuri limiti delle società con confini. Molte delle potenziali certezze che la sociologia ha cautamente costruito sembrerebbero dissolversi con la struttura del sentire data dalla complessità. Tali sviluppi sembrano implicare una scienza sociale/culturale/politica post-disciplinaria, senza particolare spazio o ruolo per discipline specifiche (v. Sayer 1999). Perché dovrebbe la ‘sociologia’ analizzare queste mobilità complesse e intersecanti che si sono mosse sulla scena intellettuale in modo così forzoso (v. Thrift 1999, circa la nuova ‘struttura del sentire’ complessa nell’ambiente accademico, nella scienza del management e nella ‘new age’)?

Per prima cosa, le altre discipline sono per la maggior parte sottoposte a forme molto ampie di normalizzazione discorsiva, monitoraggio e sorveglianza che le rende pessime candidate per una riconfigurazione post-disciplinaria. Invero, teorie, metodi e dati possono essere letteralmente espulsi da tali discipline perché visti come troppo ‘sociali’ ed esterne all’interesse della specifica disciplina (v. Urry 1995: ch. 2). Ci sono molti esempi di come la sociologia offra un luogo di temporanea residenza intellettuale per coloro che sono stati marginalizzati da normalizzazione discorsiva in discipline adiacenti. Inoltre, la formazione discorsiva della sociologia ha spesso dimostrato una relativa mancanza di gerarchia, un carattere piuttosto distante dalla polizia del pensiero, un’incapacità di resistere a invasioni intellettuali, una consapevolezza che tutta la pratica umana è organizzata socialmente, il potenziale di identificare il potere sociale di oggetti e natura, una crescente consapevolezza di processi spaziali e temporali. Anche se quanto esposto distrugge ogni rimanente nozione di società, la sociologia potrebbe sviluppare un nuovo ordine del giorno per una disciplina che sta perdendo il suo concetto centrale, quello di ‘società’ umana. Si tratta di una disciplina organizzata attorno a reti, mobilità e fluidità orizzontali. Più in generale Diken suggerisce «più teorizzazione ‘mobile’ che sarà necessaria per gestire le entità ibride emergenti, come anche le cosiddette società» (1998: 248).

Dogan e Pahre mostrano l’importanza della ‘mobilità intellettuale’ per l’innovazione nelle scienze sociali (1990). La loro vasta attività di ricerca dimostra che l’innovazione non proviene principalmente da accademici trincerati nelle loro discipline o da coloro che praticano generici studi ‘interdisciplinari’ o ‘post-disciplinari’. L’innovazione viene dalla mobilità accademica attraverso chiari confini disciplinari, una mobilità che genera ‘marginalità creativa’. È questa marginalità, che deriva da accademici che si spostano dal centro alla periferia della loro disciplina e poi ne attraversano le frontiere, a creare nuove ibridità produttive nelle scienze sociali. Queste possono formare sotto-campi istituzionalizzati (come la sociologia medica) o reti più informali (come la sociologia storica; v. Dogan e Pahre 1990: ch. 21). Questa marginalità creativa deriva da processi complessi, sovrapposti e disgiuntivi di migrazione, processi che possono avvenire attraverso confini disciplinari e/o geografici e/o sociali (nel caso della ‘scuola di Francoforte’, tutti e tre; Dogan e Pahre 1990: 73-4). Le mobilità intellettuali sono un bene per le scienze sociali, sembra (v. anche Diken 1998). La sociologia ha spesso beneficiato della ‘marginalità creativa’ di tali creativi ‘in-migranti’.

Oltretutto, i più importanti sviluppi nella sociologia sono almeno indirettamente derivati da movimenti sociali con ‘interessi emancipatori’, alimentanti una nuova o riconfigurata analisi sociale. Tra gli esempi di tali raggruppamenti mobilitati nella storia, ci sono la classe operaia, gli agricoltori, i professionisti, i movimenti di protesta urbana, il movimento studentesco, il movimento femminista, gruppi di immigranti, organizzazioni ambientaliste, il movimento omosessuale, gruppi di ‘disabili’ e così via. Gli interessi emancipatori di questi raggruppamenti non sono sempre direttamente rispecchiati all’interno della sociologia; spesso hanno avuto un impatto complesso e rifratto. Ma in quel senso, la sociologia è stata un ‘parassita’ di questi movimenti, dimostrando così come le ‘pratiche cognitive’ di questi movimenti abbiano aiutato a costituire ‘spazi pubblici per pensare nuovi pensieri, attivare nuovi attori, generare nuove idee’ all’interno delle società (Eyerman e Jamison 1991: 161; Urry 1995: ch. 2). Le società erano organizzate attraverso un dibattito che avveniva in una sfera nazionale e pubblica relativamente delimitata. L’informazione e conoscenza prodotte dalle università formavano il centro di questi dibattiti e limitavano i possibili risultati. Le discipline erano particolarmente implicate nel contribuire conoscenza a questa sfera pubblica, e invero a costituire quella sfera come parte di una società civile nazionale (Cohen e Arato 1992; Emirbayer e Sheller 1999). Tuttavia, la natura sempre più mediatica delle società civili contemporanee cambia tutto ciò. Non è tanto che i mass media riflettano quello che avviene altrove, ma che quello che avviene nei e attraverso i media è quello che avviene altrove. La sfera della vita pubblica che forniva il contesto per la conoscenza prodotta dall’accademia è ora sempre più mediatizzata (v. Dahlgren 1995). Thrift descrive la mediatizzazione cosmopolita della scienza della complessità, in particolare come organizzata presso e attraverso il Sante Fe Institute (Thrift 1999). Il dibattito si occupa di immagine, significato ed emozione, quanto di testi scritti, cognizione e scienza. L’economia globale dei segni, di informazioni e immagini che circolano globalmente, sta trasformando la sfera pubblica in un palcoscenico sempre più denazionalizzato, visuale ed emotivo (Urry 2000: ch. 7; Knorr Cetina 1997).

E su quel palcoscenico, stanno comparendo molti raggruppamenti sociali, parzialmente sviluppati, imperfetti e contingenti, una sorta di società civile in corso di globalizzazione. Questo è riassunto nel World Order Models Project. Falk documenta l’ampia crescita di associazioni di cittadini trans-nazionali, spostamenti globali verso democratizzazione e non-violenza, grandi difficoltà per gli stati nazionali nel mantenere popolarità e legittimità e in generale la crescita di variegati trend globali (1995; e v. Archibugi, Held, Köhler 1998). Falk conclude che: «Tali sviluppi cumulativi stanno predisponendo la nascita e la crescita della società civile globale» (Falk 1995: 35). Ed è questo insieme di trasformazioni sociali che potrebbe costituire la base sociale per la sociologia delle mobilità che ho discusso in questo articolo. La base sociale di una ‘società civile globale’ e i suoi interessi emancipatori potrebbero risultare in una ‘sociologia delle mobilità’ del tipo che ho delineato qui, mente entriamo caoticamente nel nuovo secolo.

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di John Urry
  • John Urry è stato un sociologo britannico e docente presso l’Università di Lancaster, noto per le sue ricerche di teoria sociale e di filosofia delle scienze sociali. Prendendo le mosse dalla tradizione marxista e dallo strutturalismo, le sue ricerche si focalizzano sul regionalismo, la mobilità e la complessità sociale, concetti sui quali ha pubblicato, a partire dagli anni ’70, numerosi saggi tradotti in più di dieci lingue.