Sabato 6 luglio 2019, in occasione di Simposio. Utopie reali, la redazione di KABUL magazine presenterà la seconda edizione di CAT’S CRADLE, un laboratorio partecipato e interdisciplinare volto alla stesura di un glossario costituito da alcuni termini-chiave che animano l’attuale dibattito culturale, filosofico e politico internazionale. Durante il workshop la redazione condurrà i partecipanti in un percorso di definizione dei termini presi in esame attraverso un ricco corpus di riferimenti testuali e audiovisivi che verranno discussi e analizzati collettivamente.
Tra le fonti testuali selezionate, il testo presentato in questo articolo e tradotto per la prima volta in italiano, vede le due studiose russe, Elena Zdravomyslova e Anna Temkina, analizzare la trasformazione, nella Russia contemporanea, della cittadinanza di genere verso la progressiva definizione di ciò che viene qui chiamato come “neotradizionalismo”, vale a dire un fenomeno di vera e propria rinascita patriarcale volto alla ricerca delle tradizioni di vera “femminilità” e “mascolinità” all’interno della cultura e della società. Se infatti oggi da un lato la società e la cultura russe riconoscono l’uguaglianza, quantomeno al livello di diritti, tra il sesso maschile e quello femminile, dall’altro l’ideologia del tradizionalismo di genere neoliberale propugna ancora una netta differenza tra sessi che vede la donna come naturalmente predisposta e predeterminata in maniera diversa dall’uomo, facendo così scaturire simbioticamente processi di discriminazione legati al genere e una vera e propria esasperazione del mito della mascolinità.
Come evidenziato dagli studi femministi, nello Stato nazionale la categoria di cittadinanza è marcata in senso di genere (Yuval-Davis, 2001; Lister, 1997; Pateman, 1992; Wally, 1994). La condizione sociale delle donne e degli uomini in quanto cittadini di sesso diverso viene definita dalle ideologie di genere dominanti e concorrenziali, dalle politiche familiari e sociali, dagli imperativi di partecipazione politica e sociale. Parametri della cittadinanza nella società contemporanea sono le ideologie di genere, che determinano i progetti di femminilità e mascolinità. Nel presente testo saranno analizzate la cittadinanza di genere sovietica e post-sovietica, sia a livello di ideologia e di politica – che determinano i diritti e i doveri degli uomini e delle donne – sia a livello di pratiche sociali dei cittadini, che si differenziano in base al sesso.
La cittadinanza di genere tardo-sovietica
Nello Stato sovietico il sistema di cittadinanza includeva i diritti e i doveri che per legge erano garantiti a ogni cittadino sovietico. La cittadinanza sovietica aveva un carattere coercitivo; i diritti in sostanza avevano il carattere di obbligazioni, la cui inosservanza veniva severamente punita dal potere. Le pratiche sociali di cittadinanza presupponevano la mobilitazione dei cittadini sovietici per la realizzazione degli obiettivi della costruzione del socialismo e per l’affermazione della lealtà politica (“l’adempimento del dovere comune”). Da una parte, gli obiettivi della costruzione di una società socialista erano comuni a tutti i cittadini, che formalmente avevano gli stessi diritti e doveri. D’altra parte, lo status di cittadino (formalmente e non) si differenziava a seconda della provenienza sociale e della generazione, dell’età, del sesso e dell’etnia. Lo Stato differenziava i cittadini in base al sesso e creava differenze di genere tra questi ultimi. Allo stesso tempo la costruzione statale di una cittadinanza di genere ha creato i presupposti per strategie femminili particolari, possibili solo nel contesto sovietico.
Nel periodo tardo-sovietico la definizione di cittadinanza marcata in senso di genere include il coinvolgimento massiccio delle donne nella produzione sociale, rafforzando allo stesso tempo il ruolo di maternità “volontaria”, sostenuta dalla politica sociale. L’esecuzione del doppio dovere della donna (nelle sfere pubblica e privata) diventa più problematico, aspetto che trova espressione sia nei discorsi sia nella vita quotidiana. I doveri civili delle donne vengono gradualmente “privatizzati”, il loro adempimento (o mancato adempimento) è sostenuto e controllato quotidianamente non solo dallo Stato, ma anche dalle istituzioni sociali professionali e nella vita privata. In questo periodo ha luogo una liberalizzazione limitata della politica di genere, il ripristino parziale della vita privata (sfera privata) e la formazione di una specifica sfera pubblica non ufficiale, ossia di un discorso moderatamente contrapposto a quello ufficiale.
La discussione pubblica delle pratiche sovietiche di mascolinità e virilità si rivela di fatto una discussione sulle corrispondenze tra pubblico e privato, sulla risoluzione di problematiche demografiche. In quel periodo la famiglia urbana e istruita, in cui la donna di solito coniuga lavoro e maternità, è caratterizzata dalla nascita di un “numero sufficiente” di cittadini sovietici – lavoratori e difensori della patria –, e l’adempimento dei doveri civili della maternità diventa problematico.
Nei discorsi ufficiali prevale l’interpretazione della famiglia come struttura fondamentale della società, per la quale è caratteristica la distinzione dei ruoli in base al sesso; sulla donna ricadono i principali doveri per l’educazione dei figli e il servizio della famiglia. Allo stesso tempo nel discorso critico liberale (nelle scienze sociali e nella pubblicistica) viene problematizzata la commistione dei ruoli di madre e lavoratrice, oltre che la situazione delle madri sole. Anche il ruolo maschile diventa oggetto della critica, e ciò comporta la “crisi della mascolinità” (Zdravomyslova, Temkina 2002), del monopolio maschile della difesa e dell’approvvigionamento della famiglia. I nostri studi mostrano come la critica liberale tardo-sovietica della cittadinanza di genere fosse patriarcale ed esprimesse le rappresentazioni essenziali di mascolinità e femminilità più di quanto non facesse il discorso sovietico ufficiale. Tale critica era una protesta contro la versione sovietica dell’uguaglianza dei sessi e di difesa della tradizione, distrutta per mezzo della forza. La tradizione infatti esisteva come pratica di differenze di sesso accentuate, poi “eliminate” dal socialismo al fine di mobilitare delle “risorse umane”.
La cittadinanza di genere post-sovietica: le ideologie del neotradizionalismo
Caratteristici della società russa contemporanea non sono solo i processi di stratificazione di classe, ma anche le differenze sociali, determinate da parametri non economici – come l’etnia, il sesso, l’età, lo status civile. Analizziamo la trasformazione della cittadinanza di genere sia nel contesto dei cambiamenti della struttura sociale – dell’assestamento di uno Stato nazionale russo, della caduta del vecchio sistema politico e della formazione di istituzioni democratiche ufficiali –, sia nel contesto di trasformazione del sistema economico, della fine dell’ideologia sovietica e della diminuzione del ruolo della politica sociale. I cambiamenti dell’ordine di genere sono le conseguenze di questi processi. Le trasformazioni post-sovietiche hanno distrutto le basi strutturali dell’emancipazione sovietica (sostenuta dall’ideologia e dalla politica sociale), mantenendo allo stesso tempo le pratiche di commistione dei ruoli femminili, radicati nella quotidianità e richiesti dall’economia di mercato. All’interno di questo contesto la cittadinanza di genere subisce dei cambiamenti sul piano sia politico sia ideologico, così come a livello di pratiche quotidiane.
Cambia la legislazione; nel sistema del diritto di famiglia avviene una ridefinizione dei doveri genitoriali; gli istituti di politica sociale testano le conseguenze del deficit budgetario delle riforme di mercato, che mostrano il ridimensionamento del loro contributo nella vita dei cittadini russi. Cresce il peso della famiglia come unità economica della società; aumenta l’importanza della sfera domestica nella formazione dello status economico della famiglia. Interviene un cambiamento nel quadro stratificato della società, che gradualmente diventa di classe. Si formano diversi gruppi proprietari, il cui stile di vita e modelli familiari divergono radicalmente. A questi processi è collegata la differenziazione dei modelli di vita domestica e dei contratti di genere.
Risultano distrutte le basi ideologiche del contratto di genere ufficiale e della politica ufficiale nei confronti della donna. Gli ideologemi sovietici, legati all’interpretazione della predeterminazione della donna come madre lavoratrice, smettono di essere validi. Si forma così un nuovo ordine simbolico in cui sono presenti le diverse – e in parte tra di loro conflittuali – ideologie, che includono le differenti rappresentazioni di mascolinità e femminilità. Nella discussione della cittadinanza di genere entrano nuove forze sociali: gli attori politici, le organizzazioni sociali e religiose, le agenzie di informazione globali, le unioni professionali, i mezzi d’informazione di massa ecc.
Le nuove ideologie si rifanno esplicitamente o implicitamente a una certa rappresentazione della tradizione, che richiede un rinnovamento, e alla predeterminazione “naturale” delle donne e degli uomini. “Nella ricerca del passato” si verifica un rafforzamento del tradizionalismo nell’interpretazione dei ruoli maschili e femminili. Nasce l’idea di rinnovamento delle originarie tradizioni di mascolinità e femminilità, che erano oggetto di tabù, distrutti o snaturati dalla realtà sovietica. Il neotradizionalismo da un punto di vista di genere si presenta come ricerca delle tradizioni di vera femminilità e mascolinità, che possono essere considerate legittimamente nuovi ruoli sociali.
Tuttavia esistono diversi tratti distintivi della tradizione e della natura femminile, variabili a seconda del sistema di riferimento (ciò che viene considerata tradizione nel discorso sociale). Nel discorso femminista sono considerate tradizionali le rappresentazioni della donna come casalinga, il mondo femminile essendo concentrato attorno ai doveri di consorte e madre premurosa, di custode del focolare. Una simile normativa ideale, tipica della costruzione familiare borghese, con la consueta suddivisione patriarcale dei ruoli sessuali uomo-cacciatore e donna-casalinga. Negli anni Novanta nel discorso si afferma il mito della donna occidentale come casalinga che realizza ciò che è auspicabile da una donna, ossia ciò che è tradizionale, predeterminato. Tale mito contraddice le pratiche di massa di commistione dei ruoli, apparse nella seconda metà del XX secolo. Esiste anche una visione della donna occidentale come femminista, distruttrice della società, della famiglia e della tradizione (Nikonov, 2005).
Un’esperienza di massa delle donne russe è costituita dal loro contributo significativo al budget familiare, dall’unione di diversi tipi di occupazione nella sfera della produzione e riproduzione. La tradizione della “donna-casalinga” per la società russa risulta un’eccezione, un indice di prestigio sociale, mentre le pratiche ben consolidate legate alla tradizione della “madre lavoratrice” hanno un carattere di massa almeno nelle ultime quattro generazioni.
Le diverse valutazioni del tradizionalismo di genere si riflettono anche nel discorso accademico. Molte ricercatrici della società russa sino alla fine degli anni Novanta hanno visto nella trasformazione russa i sintomi della rinascita patriarcale, detta anche neotradizionalismo (A. Posadskaja, O. Voronina, N. Rimaševskaja e altre). La pratica, la politica e l’economia delle differenze e della disuguaglianza di genere coinvolgono non solo la sfera economica, ma anche la sfera legata alle diverse caratteristiche di status. Sintomi del rafforzamento della disuguaglianza di genere sono lo spostamento della donna dalla sfera pubblica e privata a quella casalinga, la femminilizzazione della povertà e della disoccupazione. Le tendenze patriarcali si manifestano nella discriminazione delle donne all’interno della sfera pubblica, in particolare al momento dell’assunzione professionale, quando la donna viene considerata un “invalido sociale”, incapace di svolgere efficacemente le funzioni di lavoratore, ma anche nelle molestie sessuali e nella vulnerabilità della donna dalla violenza. La tesi della rinascita patriarcale è sempre sostenuta dalle discussioni sulle violenze sessuali e casalinghe.
Tuttavia i ricercatori mostrano anche le controtendenze legate alle strategie vincenti delle donne all’interno dell’economia di mercato, con la crescita dell’attività sociale delle donne, la comparsa di brillanti figure politiche, l’affermazione delle donne in alcuni settori dell’economia. In altre parole, si sta verificando un rafforzamento del neotradizionalismo discorsivo, ma ciononostante si fa strada un nuovo spazio per le donne, in cui compaiono nuove strategie orientate verso il successo. Tuttavia, in condizioni di disuguaglianza strutturale e insufficienza delle risorse, si verifica la mobilitazione di altri mezzi, in particolare delle specifiche risorse femminili di attrattiva sessuale. L’ostentata sessualizzazione delle differenze diventa un tratto distintivo della nostra rappresentazione di genere contemporanea (nel caso della femminilità così come in quello della mascolinità).
Così si osserva l’eterogeneità degli esempi di mascolinità e di femminilità, che includono i sintomi sia dell’uguaglianza (egualitarismo) sia di polarizzazione e di discriminazione dei sessi. Per il contesto russo è caratteristico un sistema di riferimento specifico di neotradizionalismo di genere, in cui distinguiamo due ideologie di fondo. Una di queste è legata alla tradizione liberale, che riduce le differenze sessuali ai termini essenziali, l’altra alla tradizione statale sovietica della “madre lavoratrice”, che si basa su una mirata politica sociale. L’ideologia del tradizionalismo di genere neoliberale si basa su una combinazione contraddittoria di due princìpi: l’uguaglianza e la differenza naturale dei sessi. Da una parte, viene riconosciuto che le donne hanno pari diritti degli uomini, che possono orientarsi su ruoli diversi, diventare professioniste, casalinghe, riunire diverse funzioni a seconda della propria scelta. D’altra parte si afferma che la donna ha per natura predisposizioni diverse dal quelle dell’uomo, che hanno una precisa predeterminazione e che limitano le sue possibilità di carriera; per questo le donne non ambiscono a un avanzamento professionale pari a quello degli uomini nella sfera pubblica. La struttura sociale limita di riflesso l’avanzamento professionale delle donne, poiché l’amministrazione della famiglia e l’educazione dei figli sono interpretate come un affare privato-familiare dei cittadini, che non prevede l’intervento dello Stato. Il nucleo del concetto di cittadinanza di genere-neutrale è, in questo caso, il sistema di pari diritti e doveri per gli uomini e le donne nella sfera pubblica. I diritti sociali specifici delle donne, legati al loro ruolo nel sistema di riproduzione sociale e di amministrazione della sfera privata, in questo discorso sono interpretati come “invalidizzazione” sociale, che porta alla rimozione delle donne dalla sfera pubblica. Nei massmedia i modelli di tradizionalismo neoliberale sono rappresentati da immagini di donne d’affari e casalinghe marcatamente femminili.“…Nei massmedia i modelli di tradizionalismo neoliberale sono rappresentati da immagini di donne d’affari e casalinghe marcatamente femminili.”
Il tradizionalismo neostatale colloca le donne come una specifica categoria di cittadini che necessitano di una politica sociale paternalistica. All’interno di questa ideologia viene sottolineato che le donne hanno una funzione civile condizionata dal genere – la riproduzione demografica della nazione. Si afferma che nel periodo di trasformazione la donna è una vittima: poiché lo Stato non garantisce il suo sostentamento patrimoniale, non può essere a pieno titolo una madre lavoratrice, cioè una cittadina a pieno titolo. Il nucleo della cittadinanza di genere-sensibilizzato, in questo discorso, è il sistema di diritti sociali congiunti, che sono garantiti agli uomini e alle donne chiamati ad adempiere al loro “dovere sociale”. Modelli di neotradizionalismo statale sono rappresentati innanzitutto nella discussione della condizione sociale degli strati più poveri: le famiglie con molti figli, i disoccupati, i lavoratori del VPK (complesso militare e industriale), gli immigrati ecc.
In generale la cittadinanza di genere delle donne è diventata molto più varia e complessa da definire; i diritti sociali delle donne, anche i più triviali, sono garantiti dal sostegno da parte dello Stato e delle strutture di mercato. In concomitanza con la trasformazione della politica sociale e del deficit budgetario cresce il ruolo delle connessioni sociali orizzontali e dei meccanismi di mercato nella determinazione delle pratiche di femminilità. Si verifica anche un’ulteriore problematizzazione della mascolinità. La “crisi della mascolinità” si estende alle nuove generazioni di uomini, incapaci di provvedere all’approvvigionamento della famiglia nelle condizioni di mercato. Questo non si riferisce solo a un circoscritto strato sociale di famiglie benestanti, in cui l’uomo diventa un agente dominante e dispensa risorse materiali e di potere a sostegno della maternità o dell’attrattiva sessuale della donna. In molti altri casi l’uomo post-sovietico è marginalizzato nella sfera privata e a volte anche in quella pubblica.
La risoluzione di molti problemi della società marcati in senso di genere dovrebbe essere a opera dello Stato, la cui politica sociale risulta inefficace; in molti strati sociali nasce la nostalgia per la tradizione patrimoniale statocratica di stampo sovietico. Allo stesso tempo guadagnano sempre più spazio discorsivo i modelli di mascolinità e femminilità che si rifanno alla tradizione liberale di mercato della costruzione sociale di genere. Di fronte alla concorrenza di discorsi che si rifanno a diverse tradizioni, i modelli liberale e statale sono accomunati dall’ammissione di un fondamento biologicamente determinato di pratiche sociali relative alla cittadinanza femminile. Le versioni neotradizionaliste dell’ideologia di cittadinanza di genere, nonostante tutta la loro attrattiva, possono causare la segregazione di sesso, la discriminazione dei cittadini in base al sesso, la relegazione delle donne alla sfera privata, così come l’esasperazione della mascolinità brutale. Per ora, l’acclamata “parità nella differenza” rimane un ideale non raggiunto. Il suo raggiungimento favorirebbe la nascita di una società civile appena sviluppata, che reagisca di riflesso alle tendenze di disuguaglianza sociale.
Traduzione di Marta Somazzi
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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)
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Anna TemkinaAnna Temkina è professore di Sociologia della Salute Pubblica e del Genere, Coordinatore del programma di Studi di Genere
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Elena ZdravomyslovaElena Zdravomyslova è docente di sociologia presso il Dipartimento di Sociologia della European University di San Pietroburgo, dove ricopre inoltre il ruolo di coordinatrice del Gender Studies Program. La sua ricerca è interamente incentrata sulle differenze e le disuguaglianze di genere nell’attuale Russia, a partire dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. È autrice di diversi volumi e saggi apparsi su riviste scientifiche e accademiche.
KABUL è una rivista di arti e culture contemporanee (KABUL magazine), una casa editrice indipendente (KABUL editions), un archivio digitale gratuito di traduzioni (KABUL digital library), un’associazione culturale no profit (KABUL projects). KABUL opera dal 2016 per la promozione della cultura contemporanea in Italia. Insieme a critici, docenti universitari e operatori del settore, si occupa di divulgare argomenti e ricerche centrali nell’attuale dibattito artistico e culturale internazionale.