«Tutto ciò che cammina su due gambe è nemico. Tutto ciò che cammina su quattro gambe o ha le ali è amico. E ricordate pure che nel combattere l’uomo non dobbiamo venire ad assomigliare. Anche quando l’avrete distrutto, non adottate i suoi vizi. Nessun animale vada mai a vivere in una casa, o dormire in un letto, o vesta panni, o beva alcolici, o fumi tabacco, o maneggi denaro, o faccia commercio. Tutte le abitudini dell’uomo sono malvagie. E, soprattutto, nessun animale divenga tiranno ai suoi simili. Deboli o forti, intelligenti o sciocchi, siamo tutti fratelli. Mai un animale uccida un altro animale. Tutti gli animali sono uguali».
(G. Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori, 1945)
Che concetti come il male o la rivalità esercitino incessantemente una forza molto più forte di quanto purtroppo possano averne azioni mosse da fattori quali la compassione o il rispetto verso il prossimo è ormai un dato di fatto che affonda le sue radici nella notte dei tempi.11Come si evince anche dalle parole di Gianni Mercurio nel capitolo Perfezione e perdizione, contenuto all’interno del testo di Demetrio Paparoni, Eretica. Trascendenza e profano nell’arte contemporanea: «Diavolo, Demonio sono vocaboli greci che devono al Cristianesimo il loro nuovo significato ed è seguendo la loro trasformazione nel tempo che si ha chiara l’evoluzione dell’idea del male. Se è nella prima pagina della Bibbia che il Demonio viene citato per la prima volta – il primo capitolo della Genesi narra la tentazione di Eva da parte del Serpente – San Paolo è il primo a mettere in chiaro il rapporto che intercorre fra Dio, Satana e gli uomini: Dio vuole salvare i suoi figli, l’altro si adopera affinché gli uomini cadano nella perdizione, nel periodo del loro breve passaggio sulla terra e per sempre nell’aldilà. Lucifero, capo di questi esseri senza corpo i quali, peccando di orgoglio, hanno abbandonato la casa del Padre prima che il Padre creasse l’uomo, ha mille facce, ognuna diversa, ognuna orribile. E chi assicura di averlo visto dal vero, come Lutero, parla di un essere immondo: la faccia sguaiata del male. Perché il Male ha una faccia e anche un corpo. Storpio, sciancato, laido, Osceno. Questo è il lato morboso. Se il bello attrae, il brutto, il marcio attraggono ancora di più» (D. Paparoni, Eretica. Trascendenza e profano nell’arte contemporanea, Skira, Ginevra-Milano 2007, pp. 59-60).
L’eterno conflitto tra il bene e il male ha infatti da sempre costituito la base per la fondazione non solo di culti religiosi,22Attingendo allo sterminato materiale fotografico custodito dall’Archive of Modern Conflict di Londra, gli artisti Adam Broomberg & Oliver Chanarin hanno pubblicato per la Mack Books, nel 2013, Holy Bible: una reinterpretazione in chiave visiva del Testo Sacro del Cristianesimo. Ogni pagina della Bibbia si alterna infatti tra precise sottolineature, poste sotto parole specifiche, e immagini di un certo impatto visivo che, occultando completamente la parte scritta, fanno riflettere sulla potenza distruttiva sia di Dio che dell’uomo stesso. Come infatti afferma anche il filosofo israeliano Adi Ophir nella postfazione al libro di Broomberg e Chanarin dal titolo Divine violence: «Fin dall’inizio, quasi ogni sua apparizione è stata catastrofica. In origine, colui che ha preparato le fondamenta del paradiso e della Terra, diviso le acque dalla terra, messo le stelle in moto e donato alla natura le sue leggi, è emerso all’interno del mondo da lui creato solamente per provocare il caos, sia autonomamente che tramite i suoi emissari. Ogni evento catastrofico è stato preso come esempio della sua forza, a volte anche come manifestazione di se stesso, provvedendo sempre a fornirgli un ambiente in cui agire. In questo modo è cominciata la genesi» (Adam Broomberg & Oliver Chanarin, Holy Bible, Mack Books, 2013, traduzione del sottoscritto).
ma anche e soprattutto di intere società.33«L’avanzamento della civiltà può essere descritto a grandi linee come il passaggio, nel corso degli ultimi 10.000 anni, da un’esistenza integrata e profondamente collegata alla trama della vita a un’esistenza separata che controlla il resto della vita. Prima della civilizzazione, si disponeva di abbondante tempo da dedicare ai propri interessi e piaceri e vi era notevole autonomia e uguaglianza fra i sessi, un atteggiamento non distruttivo nei confronti del mondo naturale, l’assenza di violenza organizzata, nessuna mediazione o istituzione formale, buona salute e robustezza fisica. La civiltà ha inaugurato la guerra, la sottomissione delle donne, la crescita della popolazione, il lavoro di fatica, il concetto di proprietà, le gerarchie costituite e praticamente ogni malattia nota, per nominare solo alcuni dei suoi derivati devastanti. La civilizzazione comincia e non si basa su una rinuncia forzata della libertà istintiva. La civiltà non può essere riformata ed è quindi nostra nemica» (Green Anarchy Collective, Green Anarchy. Introduzione al pensiero e alla pratica anarchica di anticivilizzazione, Nautilus 2004, Torino, pp.11-12).
Tutta la storia dell’uomo è infatti costellata da innumerevoli episodi che, per periodi più o meno lunghi, evidenziano un’imperitura lotta tra questi due elementi.44Un pensatore come Nietzsche tanto si è interrogato sull’essenza, e su tutte le sue numerose sfaccettature, dei valori che compongono la natura umana individuando nella gravità (e di conseguenza nella sua assenza) l’elemento fondamentale insito all’interno sia di un approccio apollineo che di uno dionisiaco alla vita. Se nella figura del profeta persiano Zarathustra il filosofo tedesco individua il portavoce del concetto di volontà di potenza (e dunque di superamento dell’uomo) è nel soggetto del “nano” invece che risiede lo spirito di gravità: quella forza oscura e greve che si oppone al processo di ascesa a cui può aspirare l’uomo e che pretende di poter correttamente insegnare il concetto di bene e di male: «Quasi ancora nella culla ci vengono date queste pesanti parole e valori: “bene” e “male” – così si chiama la dote che ci è assegnata. Grazie a essa ci vien perdonato di vivere. E si lasciano i bambini venire a sé per vietar loro in tempo di amare se stessi: questo è opera dello spirito di gravità. E noi – noi ci trasciniamo dietro, obbedienti, sulle spalle incallite e su per le montagne impervie, ciò che ci è stato assegnato! E, se ci inzuppiamo di sudore, allora ci dicono: “Eh già, la vita è un grande fardello!”. Invece è l’uomo che è per se stesso un grave fardello!» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi, Milano, 2014, pp. 227-228).
Ma cosa succede quando un’intera epoca storica viene completamente pervasa da un costante e diffuso spirito di ostilità nei confronti dell’altro?55Consigliato è, a tal proposito, l’articolo del teologo Vito Mancuso, L’odio, una stupida patologia, pubblicato su «Il Foglio» il 20 gennaio 2019.
Ciò che ne consegue, spesso come risultato di specifiche tendenze socio-politiche,66Basti pensare per esempio alla scellerata pratica di innalzamento di barriere fisiche che unisce sia un continente come l’America che uno come l’Europa.
è uno stravolgimento totale della scala dei valori per il quale fenomeni come la discriminazione o il disprezzo diventano addirittura dei princìpi così solidi da rappresentare vere e proprie risorse. Esperienze come quelle dei totalitarismi europei del Novecento hanno lasciato impronte profonde nella nostra memoria, ma forse non abbastanza da impedire la reiterazione degli stessi errori.77«“Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all’indietro: dura un’eternità. E quella lunga via fuori dalla porta e in avanti è un’altra eternità. Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l’un contro l’altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: ‘attimo’. Ma, chi percorresse uno dei due – sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?” “Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità ricurva, il tempo stesso è un circolo”. “Tu, spirito di gravità!”, dissi io incollerito, “non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato – e sono io che ti ho portato in alto! Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all’indietro una via lunga, eterna: dietro di noi è un’eternità. Ognuna delle cose che possono camminare, non dovrà forse avere già percorso una volta questa via? Non dovrà ognuna delle cose che possono accadere, già essere accaduta, fatta, trascorsa una volta? E se tutto è già esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia – esserci già stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l’una all’altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di sé tutte le cose avvenire? Dunque – anche se stesso?» (Nietzsche, cit., pp. 184-185).
Uno scenario caratterizzato da un’incitazione programmata al risentimento era già stato dipinto da George Orwell in quella pietra miliare della letteratura postmoderna, tanto distopica quanto profetica, che è 1984. Celebri, infatti, sono i due minuti di odio: momenti quotidiani durante i quali ai personaggi del racconto viene mostrato il volto di un presunto traditore/capro espiatorio contro il quale poter selvaggiamente inveire.88«L’Odio era cominciato. Come al solito, la faccia di Emmanuel Goldstein, il Nemico del Popolo, era apparsa sullo schermo. S’udì qualche fischio, qua e là, fra i presenti. La donnetta dai capelli color sabbia diede in una sorta di gemito in cui erano mescolati paura e disgusto. Goldstein era il rinnegato, l’apostata che, una volta, molto tempo prima (quanto tempo prima, nessuno poteva ricordarsi con precisione), era pure stato fra i dirigenti del Partito, importante quasi quanto il Grande Fratello stesso, ma s’era poi dato a organizzare attività controrivoluzionarie, era stato condannato a morte ed era misteriosamente evaso e scomparso. I programmi dei Due Minuti di Odio variavano a seconda dei giorni, ma non ce n’eran nessuno in cui Goldstein non fosse la figura principale. Egli era stato il supremo traditore, il primo che avesse osato profanare la purezza del Partito. Tutti i delitti che erano stati commessi in seguito contro il Partito, tutti i tradimenti, gli atti di sabotaggio, le eresie, le deviazioni ecc. erano sorti direttamente dal suo insegnamento. Era ancora vivo, in qualche parte del mondo, e stava preparando le sue cospirazioni» (G. Orwell, 1984, Mondadori, Milano, 2004, p. 15).
Una simile azione è propedeutica, all’interno della narrazione, per lasciare sottintendere il ruolo centrale che occupa la manipolazione delle menti in un regime dittatoriale. In effetti, però, questo particolare modus operandi non è poi così lontano da quello che viene facilmente esercitato in un contesto come Internet, nonostante non si stia ancora vivendo una dittatura così spudorata ed esplicita come quella raccontata da Orwell. Fenomeni come le fake news e le bufale, o figure come l’influencer99Come viene spiegato da Vito Campanelli nella prefazione di Ossessioni collettive di Geert Lovink: «Nei social network l’utente visita e si iscrive ai gruppi ai quali i propri amici hanno accordato preferenza, naviga i siti preferiti da altri utenti che li hanno aggiunti ai propri shared bookmarks, predilige i video e i brani musicali al top delle categorie most viewed e most ranked, nelle tag clouds clicca sulle parole con un corpo maggiore, entra nelle chat-rooms con più ospiti, nei forum contribuisce ai topics con più elevato numero di post, fruisce continuamente di contenuti related (ovvero proposti automaticamente da un software perché archiviati in database secondo categorie affini a quella del contenuto originariamente consultato dall’utente), preferisce le pagine che figurano tra i primi dieci risultati del motore di ricerca consultato, legge articoli da rassegna stampa che altri hanno assemblato, e così via in una continua routine autoreferente» (Lovink, cit., p. XVIII).
e l’hater detengono appunto un tale potere in grado di determinare, nell’internauta di turno, decisioni, preferenze o comportamenti diversi da quelli che si sarebbero adottati in maniera autonoma.1010Il saggista e politologo statunitense Joseph S. Nye jr nel suo Soft power. Un nuovo futuro per l’America parla così a proposito del potere: «Il dizionario ci dice che il potere è la possibilità concreta di fare qualcosa. In questo senso più generico, il potere indica la capacità di ottenere i risultati desiderati. Il dizionario dice inoltre che il potere implica la facoltà di influenzare il comportamento altrui per fare sì che avvengano determinate cose. Quindi, più nello specifico, il potere è la capacità di influenzare il comportamento altrui al fine di ottenere gli esiti desiderati» (J. S. Nye jr, Soft power. Un nuovo futuro per l’America, Einaudi, Torino, 2005, p. VIII).
Nell’era di Internet queste strategie sono diventate all’ordine del giorno e, grazie soprattutto alla scrittura di algoritmi ben strutturati,1111«Il soft power si basa sulla capacità di plasmare le preferenze altrui» (Nye, cit., p. 8).
la concezione stessa del potere è radicalmente cambiata. La dimensione in cui ci si ritrova oggi non ci consente di comprendere effettivamente se sia ancora il mondo a modificare le sorti di Internet o viceversa.1212Come incipit del suo Ossessioni collettive, il teorico olandese – nonché fondatore dell’Institute of Network Cultures di Amsterdam – Geert Lovink afferma che: «Una volta internet cambiava il mondo, oggi è il mondo a cambiare internet. La sua integrazione nel mainstream è davvero finita, e la saga dell’effimero Web 2.0 è giunta al capolinea» (G. Lovink, Ossessioni collettive. Critica dei social media, Università Bocconi Editore, Milano, 2016, p. 1). La rivelazione offerta da Lovink fa riferimento sia alle differenze essenziali tra la bolla unidirezionale del Web 1.0 e quello che oggi conosciamo come Web 2.0 (ammiccando in qualche modo anche alla sua fase evolutiva del 3.0 che vede Internet come una sorta di immenso database dove algoritmi e intelligenza artificiale sono sempre più presenti), sia al fallimento del principio utopistico proprio di Internet. Nonostante questa schietta affermazione custodisca una sua verità – il testo fu scritto da Lovink nel 2011 – nel frattempo le carte in tavola sono state nuovamente rimescolate ed effettivamente alcuni processi, che verranno ampiamente toccati all’interno dell’articolo, hanno creato veri e propri cortocircuiti all’interno della nostra società.
In questa particolare schizofrenia percettiva ciò che accade in una delle due dimensioni (una “concreta” e una digitale) si riflette inevitabilmente nell’altra creando un’alimentazione costante che non prevede più la possibilità di distinguere il confine che separa entrambe le realtà. Nemmeno la lingua viene esclusa da questo inestricabile processo di confusione permettendo l’accettazione, e il quotidiano utilizzo, di terminologie (relativamente) nuove che esprimono però concetti diametralmente agli antipodi rispetto al loro significato originale.1313Il ribaltamento del significato delle parole è una pratica linguistica adottata dai regimi non solo per creare confusione nelle masse, ma anche e soprattutto per stendere le basi utili alla costruzione di una nuova civiltà. Emblematici, a questo punto, sono alcuni passi tratti da 1984 di George Orwell: «Il Ministero della Verità, Miniver in neolingua, era molto diverso da ogni altra costruzione che si potesse vedere all’intorno. Consisteva, infatti, in un’enorme piramide di lucido, candido cemento, che saliva, a gradini, per cento metri. Dal luogo dove si trovava Winston si potevano leggere, stampati in eleganti caratteri sulla sua bianca facciata, i tre slogan del Partito: LA GUERRA È PACE LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ L’IGNORANZA È FORZA» (Orwell, cit., p. 7).
Espressioni come social o community, per esempio, prevedono sì una condivisione di esperienze atte alla socializzazione, ma sempre all’interno di un contesto potenzialmente alienante.1414Sempre dalla prefazione di Ossessioni collettive di Geert Lovink scritta da Vito Campanelli: «È interessante rilevare come proprio una diversa valutazione della socialità derivante da legami deboli sia alla base delle differenti posizioni che nell’ambito della teoria critica di Internet dividono chi – come Clay Shirky – enfatizza le opportunità, connesse alle nuove forme di condivisione della conoscenza in grado di capitalizzare il tempo libero (surplus cognitivo) di un’umanità sempre più interconnessa, e chi all’opposto – come Jodi Dean – rileva la natura tautologica dell’espressione social media e nega con forza che di fronte a tali manifestazioni sia possibile parlare di socialità: i media sociali sono infatti individualistici e competitivi e, come tali, del tutto proni al paradigma liberista; prova ne sia che anche molte delle prospettive critiche su Internet non fanno altro che insistere con rivendicazioni di valori tipicamente liberisti quali la privacy, una maggiore libertà, decentralizzazione ecc. Per la studiosa statunitense i veri problemi da affrontare sono invece l’incessante moltiplicazione, la dispersione e l’isolamento sociale prodotti dalla decentralizzazione dei flussi nei network digitali e dalla precarizzazione delle vite indotta dalle politiche liberiste» (Lovink, cit., p. XVI).
Non luoghi come i social network o le communities dipendono infatti dall’utilizzo di specifici dispositivi che possono tendere molto di più a un certo tipo di chiusura piuttosto che a un’apertura vera e propria, isolando fisicamente il corpo dell’utente dallo spazio che realmente lo circonda. Anche il concetto stesso di nickname, o meglio ancora di anonimato, contribuisce a creare una confusione di fondo che non offre troppe possibilità per poter avere le idee chiare sia sull’identità dell’individuo con il quale ci si interfaccia, sia soprattutto del contesto stesso che si frequenta.1515«Se è vero che la differenza tra il reale e il virtuale va riducendosi, e che l’ambito offline e quello online vanno mescolandosi, ciò significa forse che su Internet non possiamo più far finta di impersonare qualcun altro? E se la privacy è a rischio, come fare a distinguere tra pubblico e privato? In ogni caso, qual è il “Vero Io” in una società dove milioni di persone puntano a essere uniche eppure sono spinte da desideri identici? Forse una possibile via d’uscita è rappresentata dal concetto di “anonimato di massa”» (Lovink, cit., p. 58).
Una community come 4chan,1616«Nonostante tutto, trascorso un decennio dall’11 settembre 2001, esistono ancora delle roccaforti che coltivano certe varianti dell’anonimato, compresi blog, Wikipedia, P2P, Tor e Chat Roulette, fino al sito di condivisione di immagini 4chan. Le battute brevi e pesanti sono di moda e sempre più anonime. È possibile interpretare queste culture online in quanto espressione di “pseudo-anonimato” che porta l’altro io a costruirsi una reputazione rispettabile sotto il proprio user name, usato per esempio dagli editor di Wikipedia» (Lovink, cit., p. 69).
che in qualche modo assurge a luogo ideale in cui poter esprimere nell’anonimato più totale, e al meglio, pensieri e opinioni esplicitamente “politically incorrect”,1717«In quest’epoca di recessione globale, nazionalismo emergente, tensioni etniche e dell’ossessione collettiva della Questione Islamica, le pratiche dei commenti all’interno del Web 2.0 diventano una questione preoccupante per legislatori e polizia. Blog, forum e siti di social network invitano gli utenti a lasciare brevi messaggi, e i giovani hanno reazioni particolarmente impulsive all’attualità, finendo non di rado per minacciare di morte qualche politico o persone famose senza rendersi conto di quanto hanno appena fatto. Oggi monitorare i commenti a livello professionale è un lavoro serio. Per fare solo qualche esempio relativo all’ambito olandese, ogni giorno Morokko.nl controlla 50.000 post e il sito d’informazione di estrema destra Telegraaf riceve 15.000 commenti quotidiani in calce alle notizie pubblicate. Il blog populista Geen Stijl incoraggia gli utenti a inserire giudizi pesanti, tattica rivelatasi adatta per attirare attenzione sul sito. Laddove alcuni siti hanno procedure interne per rimuovere commenti razzisti, minacce di morte e contenuti diffamatori, altri incitano invece gli utenti in questa direzione, e tutto nel nome della libertà d’espressione» (Lovink, cit., pp. 25-26).
è l’emblema perfetto di una “comunità anticomunitaria”. 4chan, così come anche Reddit, è inoltre uno dei siti fondamentali per la storia della diffusione del meme; a esso infatti si attribuiscono i natali di alcuni primissimi meme di Internet conosciuti come Rage comics.1818«Uno dei meme più famosi della storia, e ultimo tassello dell’indagine di Börzsei, è stato un fumetto vero e proprio, con di norma quattro o più vignette: i cosiddetti Rage Comics. Nati su 4chan nel 2008, hanno presto raggiunto un successo difficilmente riscontrato da altri meme. All’inizio del decennio, in Italia si potevano veder sbucare magliette con le famose facce dei Rage Comics agli stand della Festa dell’Unità, accanto ai grandi classici come quella di Che Guevara o dell’esercito Zapatista. E, ancora, nel 2016, la pagina Wikipedia italiana che copre il fenomeno dei meme (molto approssimativamente, vedremo poi) suggeriva che “Forse cercavi Rage Comics”, per dire il livello di riconoscibilità della serie. Ma il loro successo non ci interessa tanto quanto l’interazione o sovrapposizione o contaminazione tra i meme e il fumetto vero e proprio. La conseguenza dell’infezione memetica nel genere fumetto si manifesta come la sostituzione dei personaggi con delle funzioni narrative. Le faccine dei Rage Comics, come i personaggi dei fumetti, hanno dei nomi: ci sono Forever Alone, Rage Guy, Cereal Guy e la celebre Trollface. Ma a differenza di Topolino o del Joker, che hanno caratteri definiti dai quali non devono uscire ma al contempo una libertà di azione amplissima, le faccine dei Rage Comics presentano sempre la stessa espressione e assolvono sempre lo stesso ruolo. Parliamo, perciò, di funzioni e non di personaggi» (A. Lolli, La guerra dei meme, Effequ, Orbetello, 2017, pp. 52-53).
Come spiegato da Alessandro Lolli nel suo La guerra dei meme:
«4chan, fondato alla fine del 2003 da Christopher Mole era, ed è, un’imageboard, ovvero un forum incentrato sulle immagini in cui la condivisione delle stesse era facilitata nei commenti e addirittura prescritta all’opener, cioè all’utente che apriva un nuovo thread. È piuttosto evidente come una siffatta piattaforma sia stata terreno ideale per lo sviluppo dei meme, essendo quest’ultimi una forma di comunicazione per lo più figurativa. 4chan, perciò, è stato la patria dei meme perché era fondato sulle immagini ma anche perché intensificava il vecchio anonimato dei forum, trasformandolo in un anonimato radicale. Ciò che chiamo anonimato radicale è la decostruzione di ogni residuo di identità online, compresi nickname e avatar: su 4chan, pur potendo scegliere o usare un nickname, la maggior parte dell’utenza interveniva semplicemente come “Anonymous”, il nome che la piattaforma assegnava automaticamente a tutti, precariamente segnato da un codice numerico che resisteva per lo spazio di una connessione. Le conseguenze filosofiche e pragmatiche sono notevoli: l’anonimato dei forum normali rompeva solo il legame tra persona virtuale e persona reale, ma lasciava intatto il concetto di identità anzi, per certi versi lo rafforzava. I nickname erano versioni migliori (o peggiori) degli esseri umani dietro lo schermo e si solidificavano in vere e proprie personalità attraverso l’assidua frequentazione di una community».1919Lolli, cit., pp. 87-88.
Proprio all’interno di questa cornice, costruita su una misoginia2020«Basta una ricognizione superficiale del loro mondo per notare che la questione sessuale è semplicemente la base dell’identità nerd. Prima dei videogiochi, dei manga, dei computer c’è il sesso. Si può affermare che l’Alt-right ha fatto proprio l’adagio femminista del “partire da sé” in quanto tutta la sua ideologia è una diretta conseguenza dell’elaborazione, politicizzata, della frustrazione sessuale nerd» (Lolli, cit., p. 143).
di fondo tesa a sfociare in un astio senza fine,2121«Il nerd si presenta come una delle tante incarnazioni dell’emarginato, dell’outsider, del freak impegnato in una lotta contro la cultura dominante, normativa, oppressiva e fascista. E invece, che abbaglio. Da più parti si sta iniziando a guardare più criticamente la sottocultura nerd, fuori dalla compassionevole narrazione dei giovani che si isolano in casa per giocare ai videogiochi. Sarà per la patente matrice nerd del movimento reazionario giovanile più grande di sempre, il pluricitato Alt-right, o sarà dovuto alle uccisioni di massa perpetrate da nerd incazzati, da Columbine a Chris Harper Mercer (che la sera prima della strage avvertì gli amici di 4chan di non recarsi a scuola la mattina seguente), passando per Elliot Rodger (il quale lasciò addirittura una biografia-manifesto per spiegare le sue azioni)» (Lolli, cit., p. 141).
verranno lanciate le basi per la diffusione di un meme che è divenuto, suo malgrado, l’icona assoluta del movimento Alt-right2222«Non esiste un programma dell’Alt-right, un organo centrale, un partito e forse neppure esistono degli obiettivi condivisi: la galassia Alt-right è tenuta insieme non tanto da ciò che ama, quanto da ciò che odia. Il bersaglio polemico contro cui si è venuta a formare questa forza reazionaria (letteralmente) è una cosa che in Italia chiameremmo “il buonismo di sinistra” e in America chiamano “PC culture”, che sta per cultura del Politicamente Corretto. La faccia più presentabile dell’Alt-right, che sotto occulta pozzi senza fondo di razzismo, misoginia e omofobia, è proprio la sacrosanta reazione alla “polizia del pensiero” dei progressisti: l’Alt-right vuole ergersi a baluardo della libertà di parola che si dice costantemente minacciata dalle rivendicazioni femministe, LGBTQ e antirazziste» (Lolli, cit., p. 123).
statunitense: Pepe the Frog.2323«Un’evoluzione simile a quella della Troll Face (come già analizzato, assurta a simbolo di comunità di memers) l’ha subìta, su scala molto maggiore, Pepe the Frog. Da personaggio di un fumetto underground è dapprima divenuto un meme, poi simbolo di 4chan e Reddit nella loro guerra contro il femminismo e infine vessillo di quel nuovo movimento reazionario che ha preso a chiamarsi Alt-right, finito persino sulle pagine dei quotidiani e dei magazine generalisti come gruppo ideologico dietro l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti» (Lolli, cit., p. 79).
L’intera parabola della rana più famosa di Internet è ormai tanto nota quanto ancora oscura, ma quello che forse si fa più fatica a concepire è che, nonostante tutte le vicende paradossali che lo hanno coinvolto, Pepe è oramai divenuta un’entità così carica di precedenti da essere destinata a non esaurirsi mai. Nato nel 2005 dalla mente dell’illustratore underground Matt Furie, con l’intenzione di delineare un personaggio sereno e pacato quasi simile a una sorta di piccolo Grande Lebowski, Pepe verrà fagocitato, qualche anno più tardi, da 4chan precipitando in un abisso vorticoso che lo ha fatto dunque emergere da un contesto sotterraneo tramutandolo definitivamente in un soggetto mainstream. Questa sua prima metamorfosi ha portato il mondo degli autistici2424«La cultura geek, composta per lo più da maschi bianchi e attiva su siti come Slashdot, mescola tuttora in modo ossessivo l’hacking del codice e il gaming con il consumo mediatico di taglio post-ideologico e ironico. L’uso di pseudonimi, o alias, è ancora assai diffuso nelle comunità dedite ai giochi online. In queste sotto-culture, i giochi di ruolo tecno-medievali sono importanti tanto quanto il software crittato che ne protegge i membri dalle intrusioni governative. L’attitudine imperante, del tipo “fa lo stesso, è uguale”, rivela massimo distacco, calma e freddezza. La molteplicità dell’Io non è considerata un atto liberatorio bensì viene estrinsecata soltanto come parte dell’ambito tecnologico. Quel che lega queste sub-culture è la loro lontananza sia dalla vecchia “cultura alta” sia dai progetti politicamente corretti riguardo temi quali ceto sociale, genere, razza, migrazione, ecologia, e guerre imperialiste» (Lovink, cit., pp. 59).
a difendersi dall’imminente processo di normieficazione del meme generando tutta una serie di “Pepe rari” che non solo hanno dato vita a un vero e proprio collezionismo dominato da un mercato ben preciso (caratterizzato dalla criptovaluta chiamata non a caso Pepecash), ma anche a tutta una serie di immagini che lo ritraggono in contesti offensivi o in situazioni estremamente grottesche (nell’accezione peggiore del termine).2525«Ma nel frattempo gli Stati Uniti erano entrati in campagna elettorale, precisamente nelle elezioni primarie in cui Repubblicani e Democratici scelgono il loro candidato alla presidenza, e contemporaneamente una fetta consistente di 4chan, di quella sponda reazionaria che avrebbe poi preso il nome di Alt-right, aveva scelto di continuare a usare Pepe all’interno della loro guerra culturale: venivano prodotti dei Pepe politicamente scorretti, impossibili da cooptare: Pepe misogini, Pepe Ku Klux Klan, Pepe Hitler e, infine, Pepe Donald Trump. Infatti quell’impresentabile candidato alle primarie del partito Repubblicano divenne immediatamente il loro idolo per via della comune, chiassosa, scorrettezza politica» (Lolli, cit., p. 107).
La deriva Alt-right di Pepe raggiungerà poi il suo culmine quando lo stesso presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump arriverà a postare un meme avente le sembianze di entrambi.2626Per un approfondimento ulteriore sulla vicenda di Pepe the Frog è consigliata la lettura dell’articolo scritto da Pietro Minto, La storia di Pepe, e pubblicato su «Prismo» nel 2016.
Una seconda metamorfosi di Pepe lo vedrà dunque incarnare un simbolo – di odio – così collettivamente riconosciuto da poter generare clamorosi cortocircuiti con la realtà che confluiranno poi in eclatanti operazioni di trollaggio,2727«Può suonare infantile determinare chi “ha cominciato” in questa lite annosa dagli esiti radicalizzanti, per gli uni e per gli altri, ma la risposta è semplice e soprattutto teoricamente rilevante: è stato 4chan, ed è importante sottolinearlo, non certo per giocare a distribuire le colpe quanto per sottolineare che la cultura del chan, quella che ha di fatto partorito l’Alt-right, è nata litigiosa, strafottente e nichilista. In una parola: Troll. Il “trolling”, il piacere di scatenare reazioni scomposte nell’interlocutore, sostenendo tesi da bastian contrario – poco importa se realmente credute da chi le propugna – è stata la prima autentica anima di 4chan» (Lolli, cit., p. 125).
come la fantomatica fondazione di un goliardico culto molto vicino al discordianesimo2828A tal proposito John Higgs, nel suo The KLF: Chaos, Magic and the Band who Burned a Million Pounds, parla in diverse occasioni della fondazione del culto goliardico del discordianesimo avvenuto nel 1957 per opera degli americani Gregory Hill e Kerry Thornley: «L’essenza del discordianesimo è ostinatamente contraddittoria. Vi si afferma che caos, confusione e indeterminatezza sono la vera natura della realtà. Questa affermazione fa sorgere la questione su come riconoscere una qualunque autorità allo stesso discordianesimo e a tutti i presupposti su cui è fondato. In altre parole, se ti dicono che non esiste certezza di nulla, credere in quello che ti hanno detto diventa paradossale» (J. Higgs, Complotto! Storia dei KLF, il gruppo che diede fuoco a un milione di sterline, Nero, Roma, 2018, pp. 32-33). E ancora: «Almeno all’inizio, il discordianesimo voleva essere uno scherzo. Di solito viene descritto come una complessa satira travestita da religione, oppure come una complessa religione travestita da satira; sono descrizioni che partono dall’errato presupposto che non possa essere entrambe le cose allo stesso tempo. Alla base di tutto c’è senz’altro un atteggiamento satirico venato di nichilismo e infiocchettato con riferimenti a una Dea e tanto senso dell’umorismo. Ma più la vicenda si sviluppava, più lo zoccolo duro dei discordiani smise di operare quella distinzione. Quando la religione cominciò a vivere di vita propria, divenne difficile comportarsi come se fosse “solo” uno scherzo» (Higgins, cit., p. 35).
(avente come principale punto di riferimento l’antica divinità egizia dalle fattezze di una rana: Kek), o la creazione dell’immaginario stato del Kekistan (di cui molto si è parlato in Italia per l’apparizione della sua bandiera in occasione di una manifestazione di Matteo Salvini tenutasi a Milano, in Piazza Duomo, il 24 febbraio del 2018).2929«Il vero senso di Pepe è un espediente retorico prodotto dalla “macchina mitologica”, un vuoto al centro del discorso che non può essere nominato perché non esiste, ma si continua a fingere che esista» (Lolli, cit., p. 170).
Fatta eccezione per il gruppo italiano di memers Automatizzato Caccapostaggio Sinistroverso 迪克 – che ha voluto dimostrare che anche la sinistra è capace di produrre meme efficaci appropriandosi di un agguerrito Pepe dalle sembianze di un alieno rosso con tanto di falce e martello tatuati sulle tempie – il nostro celebre anfibio continua a circolare questa volta con un’iconografia ancora più allarmante all’interno di una piattaforma ancora più estrema di 4chan: 8chan.
Oltre a numerosissime discussioni tendenti al bizzarro e all’esasperazione del politicamente scorretto su 8chan, il cui logo è rappresentato da un metaforico “odio infinito” – caratterizzato da una sorta di serpente a due teste che forma a sua volta un nastro di Moebius – è possibile incappare in meme ultranazionalisti ritraenti violente creature diaboliche intente ad aggredire soggetti appartenenti alle più disparate minoranze etniche, sessuali ecc. Questi personaggi altamente disturbanti sono un palese riferimento all’iconografia del nostro Pepe. 8chan si rivela dunque come un ulteriore vaso di Pandora colmo di discriminazione e misoginia che si manifestano non solo attraverso la circolazione di immagini esplicite, ma anche tramite la diffusione di neologismi e acronimi atti a dimostrare la presenza di un disprezzo – rivolto soprattutto nei confronti del sesso femminile – estremamente difficile da soffocare. Uno di questi termini è sicuramente thot.
Comparsa per la prima volta nel 2012 all’interno di alcuni brani della scena drill di Chicago,3030Con l’etichetta drill si intende un sottogenere della musica trap caratterizzato soprattutto da campionamenti particolarmente affilati a differenza di quelli più dilatati e minimali che rappresentano invece la trap vera e propria. Le canzoni alle quali si attribuisce in qualche modo la genesi dell’acronimo Thot sono Ridin’ Round and We Drillin di Katy Got Bandz e I Need a Thot di TKO.
questa parola viene usata in maniera dispregiativa come sinonimo di “troietta” formando l’acronimo “That Hoe Over There” (traducibile con “quella troietta laggiù”) divenuto oramai parte integrante dello slang giovanile statunitense. Con thot ci si riferisce soprattutto a quelle ragazze che tendono a esibire il proprio corpo, o parti di esso, con fare ammiccante attraverso social quali Instagram, Snapchat o Tik Tok. A contraddistinguere ancora di più i video e le foto realizzate da chi viene etichettata con questo epiteto è spesso anche l’aggiunta di orpelli vari o di specifici elementi zoomorfi caratteristici di svariate applicazioni che agiscono tramite riconoscimento facciale. Una volta fusosi completamente, nel 2018, con il social Musical.ly Tik Tok ha avuto modo di allargare esponenzialmente la propria community3131Nato dal colosso cinese delle app mobili Bytedance, Tik Tok ha iniziato a prendere sempre più piede tra i giovanissimi di tutto il mondo soprattutto dopo aver acquistato, nel 2017, la celebre app Musical.ly per una cifra pari a 800 milioni di dollari. A oggi la community di Tik Tok conta più di 500 milioni di utenti attivi nel mondo.
consolidando un sistema di videosharing basato principalmente sulla pratica del lip sync. Proprio all’interno di una piattaforma simile sono nate alcune giovanissime celebrità – bollate automaticamente come thot – come per esempio Belle Delphine, famosa soprattutto per la costante attitudine nell’assumere espressioni facciali proprie della pratica dell’ahegao,3232Con questo termine di origine giapponese (il prefisso “ahe” è frutto di un’onomatopea che ricorda i suoni emessi durante l’orgasmo femminile, mentre “gao” è la traduzione letterale di “faccia”) si indica uno stile grafico tipico degli hentai giapponesi. I manga di matrice pornografica sono spesso caratterizzati da soggetti che mimano, con esplicite espressioni facciali, il momento dell’amplesso.
o NyanNyanCosplay. Quest’ultima, lo scorso novembre, è stata vittima di un doxing3333Il neologismo doxing – forma contratta del vocabolo documents – nasce da una tendenza lesiva che mira a denigrare un soggetto specifico attraverso la divulgazione online di dati sensibili e/o materiale estremamente personale. Vittime di questa pratica sono spesso ragazze che decidono di interrompere relazioni sentimentali divenendo facili bersagli per azioni vendicative da parte dei propri fidanzati.
così pesante che alcune sue fotografie, scattate in intimità, sono state diffuse su 8chan insieme ad annessi commenti denigratori. Umiliazioni e insulti fanno anche parte della celebre canzone/dissing3434Diffusosi soprattutto nella cultura hip hop statunitense dalla prima metà degli anni ’80, con dissing si fa riferimento a un brano musicale concepito come risposta a un insulto o a un’offesa ricevuta da qualche rivale che opera all’interno dello stesso contesto professionale. Celebri sono ormai i dissing tra Tupac Shakur e Notorius B.I.G. o tra JAY Z e NAS. In Italia sono invece rimasti nella storia gli episodi che hanno coinvolto Dj Gruff e Jad degli Articolo 31, Vacca e Fabri Fibra, Inoki e Salmo o Jamil e Noys Narcoz. Negli ultimi anni, soprattutto con la diffusione della musica trap e dei social network, anche il concetto stesso di dissing si è modificato concretizzandosi in una sorta di botta e risposta inconcludente, privo quindi di quella creatività originaria, tramite stories su Instagram.
divenuta il cavallo di battaglia di Tik Tok, nonché il brano principale che ha consacrato sia Belle Delphine che NyanNyanCosplay: Mia Khalifa – attualmente rimosso sia dal canale ufficiale Vevo su Youtube sia da quello di altri utenti che lo hanno pubblicato – del giovane duo iLOVEFRiDAY. Il pomo della discordia che ha generato la canzone in questione è un fake tweet diffuso maliziosamente a nome della celebre pornostar libanese Mia Khalifa nel quale la cantante pakistana SmokeHijabi, immortalata mentre consumava marijuana, è stata definita come “un cattivo esempio per le donne musulmane”. Pochi giorni dopo è arrivata dunque la risposta, dai toni infantili e scurrili, sotto forma di traccia trap.3535«Essere cattivi è sempre molto più sexy che essere buoni, come nota Gare, per una società che ha perso la trama degli eventi, pur se la questione non riguarda tanto il fatto di essere cattivi quanto piuttosto quello di “essere stupidi, sconsiderati e irresponsabili”. I social media non hanno fatto altro che amplificare i vuoti dialoghi tipici dei reality show TV come il Grande Fratello. Dovremmo leggere le ondate di risentimento di questi autori rispetto alla vacuità di simili proposte culturali, per poi proporre un’analisi amorale come via d’uscita dalla trappola consumista» (Lovink, cit., pp. 67-68).
Il genere trap, la cui parola stessa fa riferimento alle traphouse americane,3636Luoghi dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti.
comincia ad affermarsi negli Stati Uniti come sottogenere della musica rap nei primi anni Duemila, per divenire negli anni ’10 una tendenza a tutti gli effetti. Caratterizzata da sonorità cupe e un uso massiccio della tecnica dell’autotune, che rafforza testi particolarmente violenti e autoreferenziali, la trap si è prepotentemente affermata nella cultura popolare grazie soprattutto a un immaginario basato sull’ostentazione di una vita fatta di beni materiali (spesso capi di abbigliamento di grandi firme), “donne facili” – trattate come beni materiali – e di droghe disparate.3737«La cultura è l’insieme di valori, usi e costumi che creano significato per una società. Le sue manifestazioni sono molteplici. È consuetudine distinguere tra una cultura alta, come letteratura, arte e istruzione, di carattere élitario, e una cultura popolare, che si esprime nell’intrattenimento di massa. Quando la cultura di un paese comprende valori universali e le sue politiche promuovono valori e interessi che altri condividono, aumentano le probabilità di ottenere i risultati sperati grazie ai rapporti di attrazione e ai vincoli che vengono così a crearsi. I valori mediocri e le culture dalla mentalità provinciale hanno minore possibilità di produrre soft power. Gli Stati Uniti traggono vantaggio da una cultura universale. Una volta il giornalista tedesco Josef Joffe sostenne che gli Stati Uniti avessero un soft power persino maggiore delle loro risorse militari: “La cultura degli Usa, bassa o alta che sia, si irradia verso l’esterno con un’intensità che non si vedeva più dai tempi dell’Impero romano, ma con un aspetto del tutto nuovo. L’influenza culturale di Roma e dell’Unione Sovietica coincideva esattamente con i loro confini militari. Il soft power dell’America invece domina un impero su cui il sole non tramonta mai”. Alcuni analisti fanno coincidere il soft power con il potere della cultura popolare» (Nye, cit., pp. 14-15).
Il successo di un simile genere si è espanso in tutti i continenti del pianeta non lasciando indifferente neppure il nostro Paese che, da circa cinque anni a questa parte, sta assistendo a una proliferazione costante di autori, spesso giovanissimi, che contribuiscono sempre più al successo commerciale di un’attitudine fondata su valori discutibili.3838Nonostante il testo di Nye sia stato scritto nel 2004 esso può ancora risultare attuale: «In generale i sondaggi indicano che la cultura popolare americana ha fatto sì che, agli occhi degli altri, gli Stati Uniti apparissero “eccitanti, esotici, ricchi, potenti e di tendenza: all’avanguardia per quanto riguarda modernità e innovazione”. E immagini di questo tipo fanno presa “in un’era in cui gli individui vogliono godere del benessere americano, anche se come cittadini sono consapevoli degli aspetti negativi in materia di ecologia, collettività e uguaglianza”» (Nye, cit., p. 16).
Emblematico è sicuramente il caso della Dark Polo Gang, protagonista di una serie omonima prodotta dal servizio di intrattenimento online TIM Vision, o della partecipazione alla sessantanovesima edizione del Festival di Sanremo di due cantanti come Achille Lauro e Mahmood, vincitore quest’ultimo dell’intera manifestazione con un brano realizzato dal compositore Dario Faini (meglio noto come Dardust) e il producer, icona della trap italiana, Charlie Charles. Fatta eccezione per derive edulcorate ed esplicitamente pop, la trap tende solitamente ad autoalimentarsi all’interno di una visione capitalista che trae guadagno proprio da un atteggiamento sfrontato che non perde mai occasione per far parlare di sé.3939Una delle definizioni migliori della natura propria del capitalismo ci viene offerta dal filosofo britannico Mark Fisher all’interno del suo Realismo capitalista: «I limiti del capitalismo non sono fissati per decreto, ma definiti (e ridefiniti) pragmaticamente, improvvisando. In questo, il capitalismo è molto simile alla Cosa del film di John Carpenter: un’entità mostruosa, plastica e infinita capace di metabolizzare e assorbire qualsiasi oggetto con cui entra in contatto» (M. Fisher, Realismo capitalista, Nero, Roma, 2018, p. 33).
Oltre alla Dark Polo Gang, centrale in un simile discorso è sicuramente la controversa figura di un personaggio come Young Signorino che sull’atto dell’odiare ha provato a costruire un piccolo impero lanciando costantemente su Internet provocazioni che inevitabilmente hanno generato visualizzazioni e dunque monetizzazioni concrete.4040Dalla prefazione, scritta da Vito Campanelli, a Ossessioni collettive di Geert Lovink: «Siamo, in definitiva, di fronte a una gigantesca “macchina autopromozionale” trainata dal desiderio dei consumatori e alimentata dal “marketing dell’io” che scatena l’inarrestabile impulso ad ammassare sempre più cose – da amici e amanti fino a prodotti griffati, servizi e altre brevi esperienze semi-esclusive”. In tale scenario – osserva giustamente Lovink – “il passaggio dal link al mi piace come moneta sonante prevalente sul web simbolizza lo strappo nell’economia dell’attenzione dalla navigazione basata sulla ricerca all’ambito autoreferenziale o recintato nei social media”» (Lovink, cit., p. XVIII).
Riuscire a tenere i riflettori puntati sempre sulla propria persona penetrando addirittura all’interno di altri contesti, come per esempio la moda o le arti visive, fa parte di una strategia che spiana la strada anche ad altre fette di mercato. La recente collaborazione tra l’artista Fabio Viale e Young Signorino o tra il rapper veronese Jamil e l’azienda di abbigliamento sportivo Erreà – per la quale è stata creata la linea apposita “Most hated”4141Nome che dà anche il titolo all’ultimo lavoro discografico di Jamil.
– sono solo alcuni dei numerosi esempi che si potrebbero fare. Evidente è dunque il fatto che la persuasione giochi un ruolo fondamentale in tutto questo proprio per la sua capacità di trainare le masse.
Esattamente su tale principio si basa la teoria lungimirante, e a tratti profetica se si guarda soprattutto alle strategie politiche adottate finora dall’amministrazione Trump,4242«Nelle misure in cui le politiche ufficiali interne ed estere sono coerenti con democrazia, diritti umani, apertura e rispetto per l’opinione altrui, l’America trarrà beneficio dagli sviluppi di quest’era dell’informazione globale. Ma c’è il pericolo che, con l’arroganza, gli USA possano oscurare il profondo messaggio dei propri valori» (Nye, cit., p. 39). E ancora: «Forse è vero che molti giovani ammirano la cultura popolare americana, ma l’impopolarità delle nostre politiche estere sta facendo sì che la nuova generazione metta in discussione il potere americano» (Nye, cit., p. 162).
del politologo statunitense Joseph Samuel Nye Jr: il “soft power”.4343«La seduzione è sempre più efficace della coercizione, e valori come la democrazia, i diritti umani e le opportunità individuali sono estremamente affascinanti» (Nye, cit., p. VIII).
Con la pubblicazione nel 2004 (dunque poco dopo l’11 settembre e in pieno governo Bush) del suo saggio più celebre, Soft power. Un futuro per l’America, Nye si interroga sulle sorti di un paese come gli Stati Uniti teorizzando, e di conseguenza analizzando, il concetto di soft power che nettamente si contrappone alla strategia offensiva propria dell’hard power. Ottenere accordi politici e vantaggi di svariata natura promuovendo le risorse e la cultura del proprio paese fa parte, a detta di Joseph Nye, di una filosofia indispensabile per far sì che una nazione possa occupare una posizione tanto rispettabile quanto utile al mantenimento di un equilibrio mondiale.
Convincere terzi, in soldoni, a sostenere la propria causa facendo leva sui desideri altrui è una pratica che ha del machiavellico e che spesso può sorreggersi sulla capacità di plasmare ciò che gli altri vogliono. Anche se nel suo testo Joseph Nye auspicava per gli Stati Uniti d’America una gestione politica tesa a dare priorità alla diffusione dei suoi valori più profondi (una conduzione dunque più sobria di quella attuale), forse è il caso di chiedersi se non siano, in fin dei conti, proprio questi i valori primari di tale nazione (e magari non solo di essa). Un trionfo del capitale che, inevitabilmente, viene alimentato dalla produzione di diffidenza e dalla sete di supremazia. Una nuova era, in conclusione, dove l’odio può paradossalmente celare una forte componente empatica divenendo addirittura la componente principale per far sbocciare relazioni sentimentali (come dimostra per l’appunto Hater, la giovane app di dating4444«Illouz sottolinea come sia diventato più difficile distinguere tra l’io professionale e quello privato. Nel contesto dell’ambito competitivo del lavoro, siamo addestrati a presentarci come i migliori, i più veloci e i più efficienti. Allo stesso tempo, siamo consapevoli del fatto che questa non è altro che un’immagine di noi stessi artificiale e posticcia, mentre il nostro “vero” io è diverso, uno scenario questo con cui le persone famose vanno confrontandosi da decenni. Questa distinzione è cruciale qualora si cerchino online delle relazioni sentimentali o il partner per la vita. Sui siti di dating, per esempio, la gente è alla ricerca di esperienze autentiche, pur se, secondo Illouz, la tecnologia che si utilizza non fa che distruggere quell’intimità tanto desiderata» (Lovink, cit., pp. 62-63).
statunitense che aiuta i suoi utenti a trovare l’anima gemella grazie a ciò che più si detesta). Un momento storico in cui l’odio è un bene primario, nel quale l’odio è fonte di ricchezza e dunque di benessere. Un’epoca dove, per citare nuovamente 1984 di Orwell, «la pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza».
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Valerio Veneruso è un artista e curatore indipendente. Si occupa dell’impatto delle immagini nella società contemporanea. Studia la dicotomia mainstream/underground e le conseguenze che il capitalismo e l’avanzamento tecnologico hanno sul nostro pianeta. Tra le mostre recenti: la personale RUBEDODOOM – Per tutti e per nessuno (Metodo Milano, Milano, a cura di Maurizio Bongiovanni) e la collettiva Neuro_Revolution (MLZ Art Dep, Trieste, a cura di Francesca Lazzarini). Collabora, inoltre, con realtà editoriali quali Artribune, NOT e Droga.
L. Bianchi, Cos’è la bandiera del “Kekistan” apparsa al comizio di Salvini a Milano, «Vice», 26/2/2018.
A. Broomberg & O. Chanarin, Holy Bible, Mack Books, 2013.
Green Anarchy Collective, Green Anarchy. Introduzione al pensiero e alla pratica anarchica di anticivilizzazione, Nautilus, Torino, 2004.
B. Felicori, Notte trap con Young Signorino per l’art week: il video della performance a Torino, «Artribune» 5/11/2018.
M. Fisher, Realismo capitalista, Nero, Roma, 2018.
F. Gozzi, Holy Bible. L’intervista a Oliver Chanarin, «The Mammoth Reflex.Com» 19/5/2014.
J. Higgs, Complotto! Storia dei KLF, il gruppo che diede fuoco a un milione di sterline, Nero, Roma, 2018.
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G. Lovink, Ossessioni collettive. Critica dei social media, Università Bocconi Editore, Milano, 2016.
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P. Minto, La storia di Pepe, «Prismo» 28/9/2016.
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J. S. Nye jr, Soft power. Un nuovo futuro per l’America, Einaudi, Torino, 2005.
G. Orwell, La fattoria degli animali, Mondadori, Milano, 1996.
G. Orwell, 1984, Mondadori, Milano, 2004.
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A. Xiao Mina, The internet is as much about affirmation as information, «Quartz» 18/1/2019.
Ahegao, Know your Meme.
Hater, la app per trovare il partner sulla base dell’odio comune, «Wired.it» 2/2/2017.
Splcenter.org.
Thot, Urban dictionary.
KABUL è una rivista di arti e culture contemporanee (KABUL magazine), una casa editrice indipendente (KABUL editions), un archivio digitale gratuito di traduzioni (KABUL digital library), un’associazione culturale no profit (KABUL projects). KABUL opera dal 2016 per la promozione della cultura contemporanea in Italia. Insieme a critici, docenti universitari e operatori del settore, si occupa di divulgare argomenti e ricerche centrali nell’attuale dibattito artistico e culturale internazionale.