Spaziando dalla performance al video, dall’editoria indipendente alla creazione di piattaforme online, sino ad arrivare alla progettazione di veri e propri eventi educativi, la complessa attività artistica di Angelo Plessas si inserisce all’interno di un dibattito teorico sui confini del web e sul processo della loro inarrestabile espansione nel corso degli ultimi decenni. Al centro della sua indagine vi è la questione della libertà personale e dell’identità sociale che emerge a partire dalla mediazione del web. Quali effetti ha la vita post-tecnologica sui rapporti tra gli individui e in che modo essa stimola o rafforza i loro legami? Come cambiano la percezione della partecipazione sociale e il suo peso all’interno delle comunità? Queste sono alcune delle domande che, attraverso la sua ricerca, l’artista si pone, offrendo come risposta non una mera speculazione sulle procedure di autorappresentazione virtuale, che contraddistinguono soprattutto gli artisti della generazione degli anni ’90, ma un’analisi dei modelli alternativi di relazione in grado di svilupparsi al di fuori di un discorso prettamente istituzionale.
Primo esempio emblematico di tale attitudine è rappresentato dagli stessi siti che lo riguardano, che si configurano come veri e propri ambienti popolati da animazioni in flash composte da pixel, suoni elettronici e colori molto accesi. Oggetti che lui stesso, in modo provocatorio, definisce come “monumenti pubblici”, dal momento che chiunque può accedervi liberamente navigando in rete. Se osserviamo la ricerca di Plessas, in cui lo spazio pubblico del web diviene luogo in cui esporre i risultati del proprio lavoro in una generale visione inclusiva dell’arte che si espande al di là dei luoghi convenzionalmente dedicati alla sua fruizione, la scelta di associare un monumento pubblico a un’opera d’arte digitale non appare poi così bizzarra. Attento ai meccanismi di censura e di controllo dell’informazione che coinvolgono anche i paesi occidentali e più democratici, Plessas adopera strategie di sabotaggio fondate sull’autoproduzione e il riutilizzo di strumenti open-source che veicolano una specifica visione di Internet come spazio di libera condivisione e di scambio.
Dalle opere d’arte virtuali ai ritrovi organizzati nei luoghi più remoti, Plessas è in continua esplorazione delle infinite connessioni che coinvolgono la dimensione online e quella offline, individuando differenti approcci che aiutano non solo a comprenderle, ma persino a generare nuovi modi di relazionarvisi. La nozione di “psicogeografo di Internet”, tramite cui l’artista si autodefinisce, rimanda al suo ruolo di mediatore all’interno di questo processo. Il concetto di “psicogeografia” è infatti preso in prestito dal lessico situazionista, che attraverso questo termine indicava lo «studio degli effetti precisi dell’ambiente geografico, disposto coscientemente o meno, che agisce direttamente sul comportamento affettivo degli individui».11Guy Debord, Théorie de la dérive, in Les Lèvres nues, 9, novembre 1956, Bruxelles; trad.it. Internazionale Situazionista 1958-1969, Nautilus, Torino, 1994.
In altre parole, il lavoro svolto da Guy Debord e dagli altri membri dell’avanguardia situazionista era indirizzato alla sensibilizzazione e al riconoscimento degli effetti psichici che il contesto urbano ha sull’individuo e sui suoi comportamenti. E analizzando la sua ricerca, sembra che Plessas tragga ispirazione proprio da tale pratica, applicandola al al terreno del virtuale. Più che di passaggio da una condizione all’altra – dal reale al virtuale – sembra che l’artista descriva la vita come immersa in un perenne stato di ambiguità, in cui le due dimensioni appaiono talmente interconnesse che risulta difficile distinguerle: «Oggi viviamo nell’era post-Internet e ho come la sensazione che la distinzione tra una condizione online e una offline sia diminuita. Per questa ragione, espandere i miei lavori al di fuori dei confini dello schermo di un computer e presentarli in forma fisica rappresentano per me azioni molto importanti. Sono interessato alla creazione di un processo inter-esperienziale, di metapercezione di tali lavori, mantenendo allo stesso tempo la loro “Internet entity”».22Nella versione inglese: «Now we live in the post-Internet era and I feel this divided line of the online and offline conditions is almost diminished. This is why extending my pieces beyond the boundaries of a computer screen and present them in physical forms it’s a very normal act for me. I am interested in creating an inter-experiential process, a meta-perception of these works but keeping at the same time their internet entity» (Jason Huff, Artist Profile: Angelo Plessas, «Rhizome», Aug 18, 2011).
La ricerca artistica di Plessas si inserisce, infatti, nel solco di una serie di indagini che negli ultimi anni si sono concentrate sull’innovazione tecnologica e sui profondi cambiamenti che essa ha apportato. Questa serie di teorie e pratiche,33Sul rapporto tra arte e Internet si può consultare: Lauren Cornell, Ed Halter (eds.), Mass Effect: Art and the Internet in the Twenty-First Century, MIT Press, 2015.
tra loro molto diverse ed eterogenee, è stata spesso associata al termine “post-Internet”, una definizione di uso frequente nel lessico dell’arte contemporanea dell’ultimo decennio. Più che rappresentare una vera e propria corrente artistica, tale definizione intende suggerire un attuale stato dell’arte per così dire “successiva” all’avvento di Internet, sia a livello stilistico che cronologico. Un’arte, che in modo più o meno conscio, subisce una profonda influenza da parte della cultura digitale, sempre più costitutiva della società in cui viviamo. Da fenomeno contenuto, Internet si trasforma pertanto in vera e propria condizione esistenziale che, attraverso una serie di codici e rituali, si integra nelle nostre vite, influenzando profondamente l’esperienza sensoriale e fisica. Non si tratta più semplicemente di uno spazio da esplorare in quanto medium per gli artisti, ma di un punto di partenza per una riflessione generale sul fenomeno della digitalizzazione, che si riversa tanto nel virtuale quanto nel reale. In altre parole, come dichiara l’artista e teorica dei media Marisa Olson, «è importante affrontare l’impatto di Internet sulla cultura in generale, e ciò può essere realizzato bene in rete, ma può e deve accadere anche offline».44Nella versione inglese: «I think it’s important to address the impacts of the Internet on culture at large, and this can be done well on networks but can and should also exist offline» (Marisa Olson, Post-Internet: Art after the Internet, in You Are Here: Art After the Internet, Omar Kholeif (ed.), pp. 59-63, Cornerhouse Books, 2014).
Questo è esattamente il caso di Plessas, la cui visione omnicomprensiva di Internet lo ha condotto a realizzare il progetto The Eternal Internet Brotherhood/Sisterhood, presentato all’ultima Documenta a Kassel e ad Atene, la città in cui vive e lavora. The Eternal Internet Brotherhood/Sisterhood è un ritrovo (gathering) di artisti, scrittori e filosofi che si tiene ogni anno in un luogo di volta in volta diverso e connotato da una specifica rilevanza storica e paesaggistica. Invitati a trascorrere dai sette ai dieci giorni di residenza in un posto remoto, a stretto contatto con il luogo e soprattutto l’uno con l’altro, i partecipanti propongono attività quotidiane indirizzate alla condivisione di conoscenze e pratiche. I temi principali del progetto ruotano intorno a questioni quali «gli effetti dell’iperconnessione e della solitudine, il ripensamento della vita urbana e la riconnessione spirituale con l’antichità, il progresso scientifico e i suoi effetti sulle nostre emozioni, la relazione tra il lavoro e il tempo libero».55Angelo Plessas (ed.), The Eternal Internet Brotherhood/Sisterhood, Nero Publishing, 2018.
Sebbene si articoli principalmente offline, The Eternal Internet Brotherhood/Sisterhood è un progetto estremamente significativo che riflette sul fenomeno del networking virtuale. Qui Plessas delinea una specifica metodologia artistica, già sperimentata in precedenza attraverso alcuni programmi quasi formativi come Experimental Education Protocol e School of Music, in cui gli individui rappresentano il medium principale, oggetto e soggetto del lavoro artistico.
Progettare in un’epoca tecnologicamente avanzata come la nostra condizioni concrete per l’interazione diretta, attraverso la creazione di comunità temporanee, non è un’idea così naive come potrebbe sembrare a un primo sguardo superficiale. Viviamo infatti in un mondo talmente dominato dall’individualismo che un atto a prima vista così semplice – come condurre le persone in un altrove in cui farle stare insieme – possiede in realtà una forte valenza sociale e una precisa carica politica. Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi anni, è che essere costantemente connessi non basta di per sé a non sentirci soli. Anzi, spesso è proprio il contrario. Ricostruendo situazioni in cui l’interazione diretta tra gli individui rappresenta il culmine del contatto online, al di fuori della loro consueta comfort zone, Plessas mette provocatoriamente in moto, senza negare o glorificare Internet, un naturale meccanismo di indagine sul mutamento della nostra concezione dello stare insieme (being together). Sia all’interno dello spazio virtuale, sia in un’istituzione museale o in mezzo a una giungla, le relazioni rappresentate nel lavoro di Plessas non sono mai fine a se stesse, ma sono portate a reimmaginare nuove e inedite modalità connettive tra gli individui.
Sergey Kantsedal: Vorrei iniziare questa intervista partendo dal tuo progetto più “romantico”, The Eternal Internet Brotherhood/Sisterhood. Apprezzo che sebbene si collochi nei luoghi più remoti del pianeta, a stretto contatto con la natura, non pretenda tuttavia di evitare del tutto l’elemento tecnologico. Anzi, sembra come se, non senza una certa ironia, il registro adottato intenda riflettere proprio su quella condizione ambigua in cui ci troviamo simultaneamente connessi e disconnessi, una condizione in cui stiamo anche quando vorremmo sfuggirne a tutti i costi.
Angelo Plessas: Certamente viviamo in un’epoca in cui è difficile affermare con certezza se siamo connessi o disconnessi. Proprio perché siamo circondati da una presenza della tecnologia talmente pervasiva che è impossibile evitarla del tutto, secondo me possiamo considerarci come perennemente connessi. In mezzo alla giungla, anche laddove Internet non esiste, è presente in noi qualcosa che ci spinge in un certo modo verso la tecnologia. Attraverso The Eternal Internet Brotherhood/Sisterhood metto i partecipanti, abituati alla dimensione urbana, in una condizione in cui difficilmente si troverebbero. Il fatto di trovarsi in un luogo specifico, circondati da persone che non conosci, può quasi generare una sensazione di angoscia, che si rivela tuttavia molto produttiva. A dispetto dello sconfinato sviluppo tecnologico, è come se in queste circostanze ti rendessi davvero conto di quanto siamo umani. Si tratta di leggi non scritte che seguiamo nel momento in cui entra in ballo la nostra “sopravvivenza”, un qualcosa di fondamentalmente ancestrale. In altre parole, mi piace molto forzare un po’ i limiti degli individui, spingerli al di fuori dei confini delle loro comfort zone.
Sergey Kantsedal: Come immagini l’evoluzione di questo progetto?
Angelo Plessas: Penso che The Eternal Internet Brotherhood/Sisterhood sia più di un progetto, credo si tratti di un vero e proprio nuovo format. Mi piacerebbe molto se qualcuno lo ricreasse, persino utilizzando modalità diverse. A quel punto non vi sarebbe nemmeno più bisogno della mia mediazione. In effetti, dopo sei edizioni, il progetto era talmente già definito che ho deciso di interromperne l’esecuzione. Adesso stiamo per pubblicare un libro, edito da NERO, che dovrebbe uscire nel mese di aprile. Tuttavia, nel frattempo, sono arrivate tante nuove richieste di adesione, numerosi messaggi ed e-mail in cui mi è stato chiesto quando e come partecipare alla prossima edizione. Sono stato contattato anche da persone a me sconosciute, poiché il progetto si è trasformato nel frattempo in una sorta di comunità sempre più grande, ma non nel senso più mainstream del termine. Oggi si tratta di una rete che si sta espandendo a partire dalla necessità, sempre più urgente, di vivere un’esperienza del genere.
Sergey Kantsedal: Forse è che spesso preferiamo creare un nostro progetto a partire da zero, anziché continuare quello, seppur valido, di qualcun altro…
Angelo Plessas: Ciò che dici è vero. Nello specifico di questo progetto mi limito a offrire una piattaforma, che definisco interface, all’interno della quale tutte le persone coinvolte partecipano proponendo una serie di attività, ognuno a seconda delle proprie specificità, che si tratti di un artista, di uno scrittore, di un architetto ecc. Il contesto di ciascuna edizione fornisce input e spunti di volta in volta differenti per avviare nuove riflessioni. Non si tratta di un progetto nel senso più convenzionale del termine: non è una mostra né la sessione di un workshop. O, piuttosto, potrebbe anche trattarsi di un workshop, ma non si limita mai a essere soltanto quello. Si tratta di un’esperienza “totale”, che possiede in sé il piacere di viverla insieme, di stare in mezzo alle persone e godere della loro presenza.
Sergey Kantsedal: Il video promo della seconda edizione del progetto, che si è tenuta in Messico, esprime questo pensiero: «Internet non deve essere scambiato per il mezzo, ma deve essere visto più come una struttura contro le gerarchie e le convenzioni sociali». Che cosa intendevi esattamente con questa espressione?
Angelo Plessas: Anzitutto occorre dire che Internet, così come lo conosciamo oggi, ossia come strumento fondamentalmente neoliberale, è molto diverso dall’idea originaria che a suo tempo rappresentava. Le idee basilari che hanno segnato la nascita di Internet sono infatti legate alla condivisione della proprietà intellettuale, che dovrebbe circolare liberamente, in modo che ognuno di noi, senza alcuna restrizione legata all’appartenenza sociale, possa accedervi e utilizzarla a proprio vantaggio. Era così nel ’95, quando avevo 20 anni e cominciai a utilizzarlo per la prima volta. Oggi purtroppo la situazione è cambiata e credo sia fondamentale proporsi almeno di riconquistare quei valori, ormai perduti, che caratterizzavano il web ai suoi albori. Non a caso, nel corso della mia conferenza nell’ambito di OGR YOU ho messo in luce alcuni progetti come The Public Domain Review, HeadSpace e The Freecycle Network, esperienze significative dal punto di vista della rappresentazione di una generazione emergente che condivide azioni indipendenti, potere condiviso a livello comunitario, autodefinizione ed economie alternative di scambio.
Sergey Kantsedal: Dai tuoi progetti in cui l’arte diviene un pretesto per immaginare modalità inedite di stare insieme, alle piattaforme basate sulla condivisione dell’esperienza e a modelli educativi alternativi come School of Music ed Experimental Education Protocol, credo si possa affermare che nel tuo lavoro la sostenibilità della ricerca nell’intenzione quotidiana rivesta un ruolo cruciale. È così?
Angelo Plessas: Per me, “sostenibilità” significa “accessibilità”. Considero opere d’arte inclusive i siti che da anni realizzo e che possono essere facilmente fruiti dappertutto e in qualsiasi momento, 24 ore su 24. Persino la loro estetica non presenta costrizioni o limitazioni, nel loro apparire come “fatti a mano”. Si tratta di spazi autoprodotti fondati sull’idea di open source e di coding. Il senso di togetherness (dello “stare insieme”) è parte fondamentale della mia ricerca e, dal momento che viviamo in una società estremamente individualista, possiede un preciso significato politico. Non vedo alcuna differenza tra la vita di una piccola comunità, con le specifiche dinamiche create al suo interno, e l’interazione sul web: credo che il fulcro della mia ricerca stia nel collegare le persone tra loro, facendolo sia fisicamente che virtualmente, in modo che si configuri come un’esperienza personale e collettiva allo stesso tempo.
Sergey Kantsedal: Attraverso la tua pratica, eserciti nuove forme di spiritualità a partire dal progresso scientifico. In altre parole riattualizzi la mitologia antica sovrapponendola alle nuove tecnologie, parli della vita reale attraverso l’esplorazione delle dinamiche sottese al mondo virtuale. In che modo, tali diverse dimensioni, percepite spesso come conflittuali o persino in contraddizione, riescono a convivere pacificamente all’interno della tua ricerca?
Angelo Plessas: Oggi ci troviamo costantemente bombardati da immagini e informazioni. Quando sento che viene come a mancarmi una sorta di equilibrio interiore, cerco di attingere alle varie forme che la spiritualità può assumere. Va detto che sono nato e cresciuto in Grecia, e dal momento che sono sempre stato circondato dall’eredità delle civiltà antiche è per me chiaro il forte legame che intercorreva tra queste e altre dimensioni parallele. I greci e i romani hanno sempre parlato di virtualità intendendola come ciò che non esiste fisicamente. Oggi mi trovo alla continua ricerca e analisi di tale aspetto, che provo a riconnettere alla vita della contemporaneità. L’idea di recarsi in luoghi fortemente segnati dalla memoria di civiltà antiche nasce dalla volontà di ripristinare con esse come una sorta di legame, tramite una relazione che, passando attraverso il piano fisico, sia in grado di rendere tale esperienza più forte, intensa e tangibile. Trovo che le civiltà del passato siano una fonte di ispirazione eccezionale.
Sergey Kantsedal: L’arte digitale è tendenzialmente percepita come fredda e astratta. Nel complesso, il tuo lavoro è invece caratterizzato da una sorta di calore emotivo, forse perché non nasconde la persona “che sta dietro”, ma al contrario la mette in risalto, la enfatizza. Un progetto come Angelo Foundation Headquarters ne è un chiaro esempio. Al fine di trasmettere una visione umana della tecnologia, è forse necessario essere pienamente ottimisti nei confronti del progresso?
Angelo Plessas: Ovviamente mi reputo un ottimista, e lo sono sempre, anche nella piena consapevolezza degli aspetti più ambigui della tecnologia. Faccio un esempio concreto. Si discute molto della proliferazione della socialità dovuta a Internet – e se ne discute in termini per lo più negativi. Eppure, prima di scoprire il web, ero una persona molto introversa, quasi asociale. È stato proprio grazie alle forme di interazione concesse da Internet, ancor prima dell’avvento dei social network, che ho scoperto una socialità interiore che era già dentro di me, aiutandomi a esprimermi meglio ed educandomi all’apertura nei confronti delle persone. Non viviamo in un mondo in bianco e nero: entrambi gli aspetti sono presenti, sempre. Uno strumento come Internet non possiamo pertanto negarlo né glorificarlo. Internet è un progetto in continua evoluzione e sperimentazione, e non sappiamo esattamente a cosa ci porterà. Trattandosi di uno strumento di grande impatto dal punto di vista psicologico, sicuramente può aiutarci a capire meglio noi stessi – il che è fondamentale per il futuro sviluppo della civiltà umana.
Sergey Kantsedal: La tua conferenza nell’ambito di OGR YOU a Torino è dedicata a un argomento delicato, vale a dire le emozioni, in particolare la loro mercificazione, a partire dall’esposizione della vita sotto i riflettori del web. Vi è un passaggio in cui, a ragione, sottolinei il legame tra i social network e la proliferazione dell’ego. Esiste un modo di condividere la propria soggettività in rete evitando la glorificazione personale dell’io?
Angelo Plessas: Sicuramente non sono uno psicologo, ma ho fatto tanta terapia proprio allo scopo di diminuire un po’ questo ego che, con gli strumenti oggi a nostra disposizione, rischia esponenzialmente di gonfiarsi. Non possiamo trascurare il fatto che si tratti di un fenomeno alquanto recente: viviamo così da 10 o 15 anni – intendo messi costantemente di fronte al monitor di un computer, tramite cui tutti potenzialmente sono in grado di vederci. Forse le prossime generazioni saranno diverse, più mature, in tal senso più modeste. Sicuramente, tra una ventina d’anni, gli stessi social media saranno del tutto mutati. O magari non esisteranno più.
Sergey Kantsedal: La tua ricerca si fonda sull’interazione tra le persone, intese sia come singoli individui che come comunità; un’interazione filtrata da un “dispositivo” tecnologico o naturale, a seconda del progetto da te realizzato. Nell’era del post-internet, dominata da uno stato di iperсonessione, in cui i confini tra online e offline sono sempre meno visibili, non vi è il rischio tangibile che le persone stesse possano ridursi al ruolo di interface perfettamente strumentali alla comunicazione?
Angelo Plessas: Siamo circondati dall’audience e ci troviamo costantemente sotto i riflettori. Il nostro modo di pensare è quindi sempre più algoritmizzato, più simile a quello delle macchine e dei computer. Per me, prendere delle persone e portarle per un certo periodo di tempo al di fuori di tali dinamiche significa infatti cercare di capire che cosa ci accade in assenza di Internet, della velocità e della tecnologia. In altre parole, quando non ci sono tutti questi elementi, che cosa resta di noi?
Sergey Kantsedal: La crisi economica ha avuto una grande influenza sul sistema dell’arte, mettendo in luce, in particolare, la produzione indipendente, che auspica la ricerca di modelli alternativi di scambio economico. Ciò sembra evidente, in particolare, in rapporto alla scena artistica greca a cui sei profondamente connesso. Quale influenza ha avuto la crisi economica sul tuo percorso di ricerca artistica e personale?
Angelo Plessas: La crisi economica mi ha cambiato davvero in molti modi, specie da un punto di vista pragmatico. Quando tutto è scoppiato, nel 2012, ho pensato di prendere un aereo e partire per l’India, per creare qualcosa. Mi sentivo come in dovere di scappare dall’Europa, a quel tempo starci era così difficile… Alla fine, però, sono rimasto, e ho cominciato così a dar vita a progetti indipendenti, che per me costituivano una vera e propria forma di risposta alla crisi. In quel momento, mi sembravano l’unica strada percorribile per fare la differenza.
Sergey Kantsedal: In un mondo dominato dall’ideologia neoliberale, in cui il nostro stato emotivo è fortemente connesso alla nostra disposizione materiale, credi che esista un modo di affermarsi al di fuori del benessere economico?
Angelo Plessas: È un’ottima domanda, ma è difficile rispondere. Penso vi siano diversi modi di sfuggire alla pressione esercitata dal neoliberismo, sebbene la situazione si presenti molto più complessa rispetto, per esempio, a vent’anni fa. Spero che Internet, che è di per sé un progetto perennemente in progress, riesca a trovare modi concreti per aiutarci in tal senso, reinventandosi e reinventandoci. Forse ci sarà bisogno di un altro Internet, un luogo molto più utopico, un underground Internet, insomma “un Internet buono” [ride].
Angelo Plessas è un artista. Il suo lavoro spazia dalle performance alle residenze d’artista; dall’auto-pubblicazione ai siti web interattivi; dalla scultura agli eventi live-stream e ai progetti educativi. Il suo lavoro è stato esposto a livello internazionale in grandi mostre e istituzioni artistiche, come documenta 14, sia a Kassel che ad Atene; il National Museum of Contemporary Art, la DESTE Foundation for Contemporary Art, Atene, Grecia; il Jeu de Paume, Parigi, Francia; Frieze Projects, Londra, Regno Unito; il Museum of Contemporary Art di Chicago, USA. Alumnus di Fulbright, è stato insignito del Premio DESTE nel 2015. Plessas vive e lavora attualmente ad Atene, Grecia.
More on Magazine & Editions
Magazine , AUTOCOSCIENZA – Parte II
Coscientizzazione macchinica
Singolarità, iperstizioni e agency algoritmica.
Magazine , PLANARIA - Part II
Jatiwangi art Factory: una famiglia in senso cosmico
La prospettiva familiare come strategia per immaginare, dialogare e “vivere bene”.
Editions
Estrogeni Open Source
Dalle biomolecole alla biopolitica… Il biopotere istituzionalizzato degli ormoni!
Editions
Hypernature. Tecnoetica e tecnoutopie dal presente
Dinosauri riportati in vita, nanorobot in grado di ripristinare interi ecosistemi, esseri umani geneticamente potenziati. Ma anche intelligenze artificiali ispirate alle piante, sofisticati sistemi...
More on Digital Library & Projects
Digital Library
Il tempo delle meduse
Arte contemporanea ed emergenza sanitaria globale: un testo dell’équipe curatoriale del Museo de Arte Moderno de Buenos Aires.
Digital Library
È pensato per fare schifo: l’estetica dell’“Internet Ugly”
Nick Douglas analizza il codice memetico di Internet tra viralità, appropriazionismo e tendenze revivalistiche.
Projects
KABUL ft. Contemporary Cluster
Un'intervista alla redazione di KABUL sulla pubblicazione di "Hypernature. Tecnoetica e tecnoutopie dal presente".
Projects
Antropologia del mondo virtuale: Jon Rafman in conversazione con Diana Baldon
La registrazione della conversazione tra l’artista Jon Rafman e Diana Baldon, direttrice di Fondazione Modena Arti Visive, in occasione della personale realizzata da Fondazione Modena Arti Visive.
Iscriviti alla Newsletter
"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)
-
Sergey Kantsedal è un curatore di base a Torino. Attualmente cura lo spazio non-profit Barriera e si occupa di OGR YOU: programma per giovani adulti alle Officine Grande Riparazioni (OGR) di Torino. Lavora anche come curatore indipendente collaborando con gli artisti alla realizzazione delle opere, progetti e situazioni.
KABUL è una rivista di arti e culture contemporanee (KABUL magazine), una casa editrice indipendente (KABUL editions), un archivio digitale gratuito di traduzioni (KABUL digital library), un’associazione culturale no profit (KABUL projects). KABUL opera dal 2016 per la promozione della cultura contemporanea in Italia. Insieme a critici, docenti universitari e operatori del settore, si occupa di divulgare argomenti e ricerche centrali nell’attuale dibattito artistico e culturale internazionale.