Forza-lavoro femminile in Messico: da Canned Laughter di Yoshua Okón alla ricerca di Rita Laura Segato.
Yoshua Okón, Canned Laughter, 2009, dettaglio dell’installazione, Viafarini, Milano.
Premessa
Prendendo le mosse dal fittizio stabilimento Bergson dell’artista Yoshua Okón, questo saggio riflette sulla relazione tra Capitalismo Gore e i femminicidi di Città Juárez, come teorizzato dalla “filosofa di frontiera” e performer Sayak Valencia. L’imperante necropolitica che tutt’oggi attanaglia i confini nord del Messico è alimentata da un machismo che passa dalla spettacolarizzazione mediatica della mutilazione e dall’ipersessualizzazione del corpo femminile. Questa violazione, più espressiva che carnalmente strumentale, materializza a parere dell’antropologa Rita Laura Segato la definizione schmittiana di ‘sovranità’, non solo sul territorio ma anche sui corpi a esso annessi.
Maquiladora
Negli anni ’50 l’ingegnere Charles Rolland Douglass brevetta e capitalizza la laugh track. Registrando dal vivo le risate di un pubblico generico e lavorando in post-produzione sul suono, Douglass standardizza la risata dell’americano medio, creando un vero codice comunicativo. Partendo da questo aneddoto, Yoshua Okón simula un surreale processo di fittizio inscatolamento in Canned Laughter (2009), installazione video-scultorea realizzata in risposta alla sua esperienza di ricerca a Città Juárez, Messico. L’artista traspone il processo di Douglass da registrazione live a produzione in serie, strizzando l’occhio agli studi di Henri Bergson – da cui l’immaginario stabilimento trae il nome – sulla risata e sull’energia spirituale.11Cf. H. L. Bergson, Laughter: An Essay on the Meaning of the Comic (new ed.), Whitefish, Kessinger Publishing, Montana 2011. Ma la fabbrica nella quale Okón immagina tale processo di produzione non è uno stabilimento qualunque, bensì una delle più distopiche realtà promosse dall’Accordo Nordamericano per il Libero Scambio (NAFTA) nel 1994: la maquiladora. Gestita da corporazioni transnazionali e localizzata per lo più al confine tra Stati Uniti e Messico, la maquiladora si configura come un’impresa di trasformazione e/o assemblaggio ad alta concentrazione di lavoro femminile. Essa importa materia prima estera ed esporta il prodotto finale in regime di sgravio fiscale, duty free e in ottemperanza dei basilari diritti del lavoratore. Come affermato da Helena Chávez Mac Gregor, «[le maquiladoras] hanno giocato un ruolo centrale nella decomposizione delle regioni in cui si sono infiltrate. Senza la maquiladora non saremmo in grado di contestualizzare il regime di dilagante violenza che ci perseguita».22J. C. Welchman, Yoshua Okón: Colateral, Mexico City: MUAC, Museo Universitario Arte Contemporáneo, UNAM : Editorial RM; Puebla, Pue. Mexico: Museo Amparo; Barcelona: RM Verlag, 2017, p.167. In tale struttura – chiave di volta della forza-lavoro globalizzata – Okón macabramente prefigura la produzione di lattine contenenti risate, da rivendere all’industria hollywoodiana di sitcom e soap-opera. La risata varia in base a esigenze e richieste; a un tempo isterica, sensuale, demoniaca e mascolina. Sebbene si tratti di mero inscenamento, Okón stabilisce una forte corrispondenza tra de-regolarizzazione della produzione e automatismo. Canned Laughter mette in scena l’assurda e pretenziosa eventualità di produrre, e soprattutto ri-produrre, emozioni sconnesse da un qualsiasi stimolo naturale, ormai così codificate da soddisfare semplicemente gli standard della globalizzata cultura della prestazione. In questa ilare schizofrenia, la voce diviene strumento di comunicazione seriale, sineddoche della predatoria e usurpante strumentalizzazione fisica del Capitale.
Carlos Reygadas, Post Tenebra Lux, 2012, still video.
Yoshua Okón, Canned Laughter, 2009, installazione a Viafarini, Milano.
Necro-empowerment
Questo è, di fatto, quanto accade al confine tra Stati Uniti e Messico, e in particolare a Juárez, città-emblema della cosiddetta “industrializzazione della morte”. Il suono sordo dell’abuso corporale della donna è un chiaro messaggio di riassetto della normativa patriarcale, in un territorio riconfigurato nell’ultimo ventennio dalla (neo)liberalizzazione del lavoro femminile. In Capitalismo Gore y Necropolítica en México Contemporáneo, la filosofa messicana Sayak Valencia intesse una relazione inversamente proporzionale tra lo smembramento corporale delle donne impiegate all’interno delle maquiladoras e i processi di assemblamento della suddetta, ricodificando il lavoro in fabbrica nei termini del femminicidio.44Ivi, p. 89. La maquiladora è un sistema imperniato sul mero sfruttamento della forza-lavoro femminile. Valencia rapporta la mutilazione di giovani donne55Le innumerevoli vittime di città Juárez sono quasi tutte giovani, immigrate dalle campagne circostanti, e appartenenti ai più bassi ceti sociali. Sebbene costrette a ritmi estenuanti in fabbrica, la loro sistematica scomparsa e uccisione non sembra aver turbato il regolare equilibrio della maquiladora negli ultimi decenni. alla necro-economia, intesa come attività che lega le macchine d’assemblaggio all’alienata macchina di genere. Si tratta di un processo di necro-empowering nel quale la situazione di vulnerabilità e subalternità della donna si traduce in affermazione del Capitale mediante violenza.66Ivi, p. 97. Evidenziato il suddetto processo, Valencia se ne serve per analizzare le dinamiche sottese a quello che lei stessa definisce Capitalismo Gore. Traendo il neologismo dal genere cinematografico, esso è definito come «esplicito e ingiustificato massacro cui si assiste lungo i confini messicani, come prezzo che questo Paese in via di sviluppo paga per allinearsi all’iper-consumismo».77S. Valencia, NAFTA: Capitalismo Gore and the Femicide Machine, 2010, p. 132. In realtà, questa carneficina, sebbene palesata dagli occhi morbosi dei media, non è del tutto “ingiustificata”. Seguendo la ricerca sul campo di Rita Laura Segato, si nota la complessità dell’apparato criminale intorno a cui ruota questa macchina femminicida, che negli ultimi dieci anni ha acuito la sua impunità nell’imperante discrepanza di genere e connivenza locale. A seguito del piano NAFTA, una nuova forma di precariato ha investito città quali Juárez, Tijuana e Culiacán, facendo emergere la figura tanto ambigua quanto socialmente riverita dell’endriago. Tale figura, economicamente rispettabile, sprezzante del pericolo e del corpo femminile, spicca sul “precariato gore”, gestendone i codici di mascolinità, la quale di volta in volta come in un rito d’iniziazione deve essere ottenuta e mantenuta.
Controversa campagna pubblicitaria sulla linea di cosmetici MAC ispirata a Città Juarez.
Habeas Corpus
In questa ricerca di virile affermazione, il corpo femminile è ingranaggio fondamentale del Capitalismo Gore. Mentre quest’ultimo punta alla produzione e riproduzione in fabbrica, di fatto aliena il diritto della persona e marchia la presunta indipendenza della donna messicana. Come Valencia afferma: «piuttosto che liberata (affrancata, nrd) dal lavoro in fabbrica, la donna è di fatto liberalizzata: vale a dire che se da un lato il suo corpo è soggetto alla macchina di produzione capitalista […], dall’altro essa rimane soggiogata dal tradizionale ruolo domestico (non remunerato)».88Ivi, p. 134 L’apparente indipendenza fisica ed economica è percepita come minaccia dell’autorità patriarcale, dal momento che la donna lavoratrice sembra occupare una posizione inusuale al costume locale. Ecco perché per Segato i femminicidi di città Juárez non sono da considerare – come media e forze dell’ordine spingono a minimizzare – dei casi isolati perpetrati da soggetti instabili, bensì tendono per la loro fenomenologia a simulare rituali tipici delle società segrete o dei regimi totalitari.99R. L. Segato, La Escritura en el Cuerpo de las Mujeres Asesinadas en Ciudad Juárez: Territorio, Soberanía y Crímenes de Segundo Estado, Tinta Limòn Ediciones, Argentina 2008, p. 89. Ogni crimine cela il medesimo dialetto, che non può né essere sradicato né decifrato dallo straniero. Un gergo che parla di disobbedienza di genere, che punisce la figura femminile ogni qual volta essa pone in atto atteggiamenti impropri, inadeguati ed estranei al codificato ruolo subalterno.1010Valencia, cit., p. 134. Si punisce attraverso la stigmatizzazione sociale, l’omicidio o la doppia vittimizzazione della donna e delle famiglie.1111Ivi, p. 95. Si punisce, rimanendo impuniti. Attraverso il silenzio e la spettacolarizzazione del crimine si sugella un’alleanza con la comunità, ricevitrice dell’esemplarità del gesto, compiuto al di sopra della legge, ma presente alla legge mafiosa. Le letture che Valencia e Segato danno dei femminicidi di Città Juárez sono legate a doppio filo a un totalitarismo di provincia, in cui la violenza non è conseguenza dell’impunità bensì la produce e ri-produce.1212Ivi, p. 98. In questo contesto feudale, ogni gesto è un chiaro riferimento di sovranità territoriale, che si estende al corpo femminile inteso come proprietà maschile.
Martin McDonagh, Three Billboards Outside Ebbing Missouri, 2017, still video.
Conclusione
Alla luce di tali considerazioni, il sequestro, l’assassinio e il ritrovamento di centinaia di donne i cui corpi sono stati brutalmente incisi e sfigurati non appaiono più funeste coincidenze, ma assumono le proporzione di una strage di stato. Rileggere tali accadimenti al di là della faziosa e insabbiante retorica politica significa pertanto ammettere che la “femminizzazione del lavoro” in Messico non ha sgravato la donna dalla mascolina strategia di tensione, bensì l’ha esposta a una fatale controffensiva. La voci di questi femminicidi non sono indecifrabili, ma nascono da un automatismo culturale instillato dall’esterno, ma che paradossalmente non comunica più con esso. Ogni possibile informazione è esclusa allo ‘straniero’, il quale non riesce, o non ha interesse, a penetrare un regime di omertà e fedeltà territoriale. Come Segato lucidamente afferma: «una forte caratteristica dei regimi totalitari è il confinamento, la rappresentazione dello spazio totalitario come un universo senza esterno, incapsulato, autosufficiente, in cui una strategia di trinceramento da parte delle élites impedisce alle persone l’accesso a una percezione diversa, esterna, alternativa, della realtà».1313Ivi, p. 94-95.
"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)
di Giulia Colletti
Giulia Colletti è Coordinatore delle Attività Collaterali e Contenuti Digitali presso il Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea. È stata recentemente nominata membro del comitato curatoriale della 19. Biennale dei Giovani Artisti dell'Europa e del Mediterraneo. È rispettivamente iCI (Independent Curators International) e Curators Lab (Shanghai Biennale) alumna. In qualità di curatore indipendente, ha collaborato con artisti quali Elisabetta Benassi; Sarah Browne; Marcel Broodthaers; Núria Güell; Adelita Husni-Bey; Hanne Lippard; Wolfgang Tillmans; e Sue Tompkins, tra gli altri.
Bibliography
S. G. Rodríguez, Huesos en el Desierto, Anagrama, Barcellona 2002.
R. L. Segato, La Escritura en el Cuerpo de las Mujeres Asesinadas en Ciudad Juárez: Territorio, Soberanía y Crímenes de Segundo Estado, Tinta Limòn Ediciones, Argentina 2008.
D. W. Valdez, Cosecha de Mujeres, Océano, Mexico 2005.
S. Valencia, Capitalismo Gore y Necropolítica en México Contemporáneo, Melusina, Mexico 2010. http://latimesblogs.latimes.com/laplaza/2010/07/juarez-fashion-label-rodarte-women.html
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