«Nonostante tutto sia cambiato, non c’è questa percezione della fine del vecchio mondo. Il nuovo mondo sembrava destinato a portare la percezione del cosmico. Un nuovo cosmo. Tutte le idee vengono dal cosmo, e non dalla vita sociale. L’avanguardia russa ha creduto che una nuova era cosmica avesse avuto inizio. Tecnologia, navi a vapore, aeroplani, motori a vapori erano tutti interpretati come segni del cosmo. Non c’era un tale cosmismo in occidente. I futuristi italiani ci arrivano vicini, ma sono troppo tecnologici. Tutti gli avanguardisti russi erano completi visionari, mistici, da Filonov a Malevič».11A. Vidokle, In Conversation with Ilya and Emilia Kabakov, «e-flux journal», 40, December 2012: «Despite the fact that everything has changed, there is no such perception of the end of the old world. The new world was supposed to carry the perception of the cosmic. A new cosmos. All ideas come from the cosmos, and not from social life. The Russian avant-garde believed that a new cosmic era had begun. Technology, steamships, airplanes, steam engines were all perceived to be signs of the cosmos. There was no such cosmism in the West. Italian Futurists come the closest to this, but they are too technological. All the Russian avant-gardists were accomplished visionaries, mystics, from Filonov to Malevich».
Nel 2012, l’artista e fondatore della rivista e-flux Anton Vidokle intervistava Ilya ed Emilia Kabakov, cui chiedeva informazioni sul loro congiunto percorso artistico in concomitanza dell’esposizione bi-personale con El Lissitzkij, figura capitale delle avanguardie russe, presso il Van Abbemuseum di Eindhoven. A quasi un secolo dalle più importanti opere dell’avanguardista, ai Kabakov era chiesto di raccontare la loro relazione con la tradizione culturale russa, compito non semplice in quanto, poco dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917, l’arte delle avanguardie fu progressivamente criticata di formalismo, osteggiata e infine chiusa a chiave nei depositi dei musei.
Il rapporto con la propria storia è un argomento centrale per un artista di origine russa o sovietica, e ancora oggi si stanno verificando una serie di scoperte sulla cultura del XX secolo che non tardano a influenzare le ricerche delle ultime generazioni. Ad esempio, Anton Vidokle ha scoperto l’esistenza del movimento filosofico del Kozmism (cosmismo) proprio durante l’intervista con i Kabakov. Dopo aver compiuto studi e approfondimenti, l’artista ha dedicato a questo movimento la trilogia video This is Cosmos, per il momento composta da The communist revolution was caused by the sun (2014) e Immortality and resurrection for all! (2015). Come Vidokle, anche altri artisti russi contemporanei stanno indagando temi di recente riscoperta, sottoponendo buona parte della storia conosciuta a un processo di rilettura attraverso una nuova consapevolezza.
In questo processo di riscoperta, il ruolo dei Kabakov è centrale in quanto rappresentano il punto di congiunzione tra le esperienze artistiche sviluppate in Russia in tempi più recenti e le avanguardie russe, che nel corso degli anni Trenta del Novecento furono sostituite in toto dal realismo socialista.
La storia della cultura artistica russa del XX secolo è stata caratterizzata da discontinuità, lacune, soppressioni e divieti che la rendono ancora oggi materia complicata di studio, eppure l’incidenza del contesto storico-culturale sulle opere degli artisti è talmente profonda da rendersi necessario un approfondimento. Per semplificare le grandi ondate culturali si potrebbe sintetizzare la storia dell’arte russa in tre grandi periodi: pre-staliniano, sovietico e sovietico non conforme. Ognuna di queste fasi è specchio di un’epoca storica e delle sue peculiarità di tipo socio-economico, culturali e politiche. L’arte pre-staliniana è stata caratterizzata anche dalle ricerche delle avanguardie russe, mosse da uno spirito del tempo che, guardando al passato e al folklore, si rivolgeva verso il futuro con uno sguardo utopico ma di interesse anche scientifico, concretizzatosi in progetti e opere fortemente sperimentali, volte a ricercare e riscrivere i limiti della percezione e dell’immaginazione del mondo. Per cui gli avanguardisti riscrivevano le categorie di spazio e tempo nel tentativo di aprire un varco per il nuovo mondo, di cui entrava a far parte il cosmo.
Gli esponenti delle avanguardie russe hanno propugnato un ideale artistico di rinnovamento totale che andava al di là della dimensione terrestre, per cui opere e apparato teorico si fondevano le une nell’altro nel tentativo di creare un mondo nuovo tale da rappresentare il segno di un’era caratterizzata da profondi cambiamenti. Temendo di essere anticipato dai rivali, Vladimir Tatlin ed El Lissitzkij intenti a sperimentare nuove forme, Kazimir Malevič realizzò l’ormai celebre Ultima mostra futurista 0.10 per rendere pubbliche le opere più recenti e il manifesto del suprematismo, presentando per la prima volta l’opera capitale che meglio caratterizza la rincorsa al nuovo mondo, Quadrato nero (1915). Condividendo un ideale comune e la visione di un cosmo bianco (e non nero), El Lissitzkij e Malevič hanno contribuito alla propagazione dell’interesse per il cielo e un mondo altro che già dava forma alle ricerche estetiche di altri artisti coevi: dal progetto per il monumento alla terza internazionale (1919), al Letatlin (1930-32) entrambi di Vladimir Tatlin, ai progetti della Città volante (1928) di Georgy Krutikov, seguiti dalle città dinamiche di Gustav Klutsis. Guidati dalla fiducia nel progresso e nel compimento della società ideale, i rispettivi progetti utopici erano talvolta improntati a un ideale spirituale che aveva un fondamento comunque materiale, in linea con le tendenze del modernismo e il mito del progresso scientifico.
Ma nella Russia pre-rivoluzionaria la visione universalistica di un futuro dipendente da una ridefinizione del concetto di spazialità era già presente ed era attribuita alla corrente del cosmismo, fondata dal filosofo Nikolaj Fëdorov, la cui visione del superamento della morte, intesa come unico limite umano laico, ha influenzato intere generazioni di intellettuali, artisti e scienziati. Conosciuto e ammirato da grandi della letteratura russa come Fëdor Dostoevskij e Lev Tolstoj, Fëdorov sosteneva che l’attuazione dell’ideale di uguaglianza tra gli uomini sarebbe stato possibile unicamente attraverso il raggiungimento dell’immortalità dei corpi e, per non escludere veramente nessuno, tramite la resurrezione dei morti. Nella sua Filosofia della cosa comune, oltre alla lotta alla proprietà privata e quindi alla questione spaziale, trattava come argomento centrale anche la dimensione temporale della vita, per cui si credeva che non sarebbe stato possibile fondare una società migliore e giusta se fossero state solo le generazioni future a goderne. Ma spazio e tempo rimanevano categorie intimamente coese in quanto, nel momento in cui la tecnologia avrebbe permesso la resurrezione di tutti i corpi che hanno abitato la Terra per millenni, si sarebbe reso necessario trovare il modo di trasportare il gran numero di uomini risorti su altri pianeti. Un piano continuato dall’ingegnere, scienziato e seguace del cosmismo Konstantin Ciokolvskij, diventato il padre fondatore dell’industria aerospaziale sovietica con i suoi studi sul volo spaziale umano e sull’ascensore spaziale. Per trasportare i corpi risorti su altri pianeti, Ciokolvskij progettò la prima navicella spaziale mai pensata al mondo, la cui forma, a un occhio attuale, appare quanto mai più vicina a una particella di materia vista al microscopio.
Improntata alla laicità e all’uguaglianza, la filosofia cosmista di Fëdor ha trovato la sua ideale prosecuzione nel materialismo dialettico che ha caratterizzato il pensiero dell’eclettico politico, economista, filosofo e scrittore di libri di fantascienza, Aleksander Bogdanov, del primo commissario del popolo alla Pubblica istruzione all’indomani della rivoluzione d’ottobre, Anatolij Lunačarskij, e, infine, del primo segretario di partito, Vladimir Lenin. Il cosmismo si trasformava quindi in uno strumento politico utilizzato dal regime sovietico per entusiasmare ed educare il popolo all’inseguimento dell’ideale socialista. Con l’avvento di Iosif Stalin e la canonizzazione del realismo socialista quale stile di regime, l’immagine del cosmo si è trasformata in tema di propaganda da reiterarsi nel formato dei poster per divenire infine, soprattutto negli anni Sessanta, a seguito del volo di Laika, la cui effigie finì sul pacchetto di sigarette omonime, e di quello del primo cosmonauta uomo Yuri Gagarin cui fu attribuita la dichiarazione di non aver visto alcun Dio durante il suo volo, emblema della modernità laica dell’Urss.
Diversamente, il periodo sovietico ufficiale è stato condizionato da uno stile che ha ricevuto una prima ufficializzazione durante il Congresso degli scrittori e degli artisti sovietici tenutosi a Mosca nel 1934. Un movimento definito a tavolino, caratterizzato dall’aspetto realista e dal contenuto socialista, che è stato l’unica espressione artistica ufficiale (valida in tutti i campi della cultura) per tutta la storia dell’Urss. Il realismo socialista ha svolto principalmente una funzione propagandistica, trasmettendo alla massa di cittadini sovietici il sogno della società ideale per cui tutti stavano lottando, e che assieme avrebbero contribuito a costruire. Novello ingegnere delle anime, l’artista era un dipendente statale che lavorava al servizio esclusivo della massa, seguendo l’istanza di rimodernamento che combinava arti applicate e opere d’arte in senso tradizionale, per cui un dipinto a soggetto storico era considerato più rilevante dei poster realizzati in serie, ma rientrava tuttavia nel medesimo sistema segnico. Il tema del lavoro, l’incontro con il leader, la riunione del comitato, la gioia contadina e il razzo spaziale hanno così preso il posto delle opere astratte delle avanguardie, che nel confronto diventavano inevitabilmente colpevoli di aver propugnato un atteggiamento borghese ed elitario, meritevoli quindi di essere ritenute dannose.
Malgrado ciò, subito dopo la morte del segretario generale del Partito comunista Iosif Stalin, numerosi intellettuali, letterati e artisti hanno iniziato a riprendersi spazi di libertà ed espressione, dando vita al fenomeno dell’arte sovietica non conforme. Un movimento underground e disomogeneo comprendente diverse figure e differenti ricerche accomunate dal desiderio di esprimersi in libertà, incontrarsi, organizzare eventi. Nonostante la liberalizzazione operata da Chruščёv, il regime seguitò a osteggiare gli artisti che non aderivano allo stile ufficiale del Realismo socialista e che quindi non erano membri dell’Unione degli artisti, requisito fondamentale affinché la propria professionalità potesse essere pubblicamente e ufficialmente riconosciuta. Coloro che non aderivano a tale canone potevano quindi svolgere pratiche artistiche solamente in privato e in clandestinità, relegando tale attività ad una dimensione hobbistica, e mantenendo un lavoro ufficialmente riconosciuto dallo stato per non essere accusato di parassitismo.
Formatosi alla scuola d’arte di Mosca nel corso degli anni Cinquanta, Ilya Kabakov ha vissuto entrambe le esperienze lavorando ufficialmente come illustratore per libri di bambini, come membro dell’Unione degli artisti, ma allo stesso tempo realizzando opere da indipendente e partecipando al fenomeno dell’arte non ufficiale. Nella moltitudine di ricerche originali e personali, nel mare di proposte non ufficiali dominava tuttavia l’interesse per l’astrazione e un metodo lavorativo formalista che, assieme all’interesse per la cultura visuale americana, portava molti artisti a definirsi modernisti. Mentre il duo Komar & Melamid si distingueva a Mosca con la sua Sots art, stile che associava il Realismo socialista alla Pop art americana, citando il repertorio iconografico sovietico, ritraendo tra gli altri Laika ma citando anche manifesti e poster di propaganda, anche Kabakov si distanziava dal modernismo dilagante. Assieme a Erik Bulatov e Victor Pivovarov, sceglieva di porre attenzione alla realtà che lo circondava, rendendola soggetto delle sue riflessioni e ricerche artistiche. Da questo nucleo iniziale trasse poi origine il movimento del concettualismo moscovita, cui hanno partecipato circa trenta artisti di tre diverse generazioni, ognuna delle quali con peculiarità proprie. Tra anni Sessanta e Settanta Kabakov, Komar & Melamid, Bulatov e Pivovarov sono quindi stati fondatori e membri di un gruppo che ha avuto la sua prima teorizzazione solamente nel 1979 per mano dello studioso di estetica Boris Groys, che consegnava alle stampe il testo Moskovskij romanticeskij konzeptualism (Il concettualismo moscovita romantico) per essere pubblicato sul primo numero della rivista «tamizdat A-ja»22B. Groys, Moskovskij romanticeskij konceptualism, in «A-ja: Contemporary Russian art: unofficial Russian art review – Sovremennoe russkoe iskusstvo», n. 1, 1979, Parigi, Elancourt, p. 3.
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Guardandosi attorno ed estrapolando frammenti significativi dai propri ricordi, Ilya Kabakov, che ha iniziato la sua carriera da solo,33Solo qualche anno dopo ha incontrato Emilia.
ha realizzato l’album Dieci personaggi (1972-1975) in cui ha raccontato su carta le storie di dieci personaggi, figure letterarie e inventate, le cui vicende dai tratti paradossali rivelano tuttavia un elevato grado di fedele verosimiglianza alla realtà che circondava l’autore. Tra questi, il racconto Il volo di Komarov narra di un uomo che, dopo aver litigato con la moglie si affaccia al balcone di casa e intravede alcune persone intente a volare nel cielo. Appoggiati ad aerei prima, tenendosi per mano a formare un cerchio dopo, la folla che danza nell’aria attrae Komarov che si lascia andare nell’aria ma, anziché partecipare alla gioia collettiva, prosegue il volo verso l’alto, in solitudine, allontanandosi dal gruppo. Metafora della mancata adesione alla società collettivizzata, l’opera mette in scena il dramma psicologico della vita delle kommunalka, le abitazioni condivise in cui l’utopia della società collettiva e comunitaria aveva trovato una sua prima realizzazione. Tema dominante in tutta la sua produzione artistica, la vita comunitaria è affrontata da Kabakov come una scatola cinese (o matrioska), cioè un coacervo di sotto-temi tipici della società sovietica. Se il duo Komar & Melamid descrive (e denuncia) la propria società citando in chiave destrutturante l’iconografia sovietica, Kabakov smaschera la pervasività del regime raccontando quanto la vita privata di ogni uomo fosse radicalmente sacrificata in favore della collettivizzazione.
In questo contesto l’invenzione dei personaggi acquista il significato di costruzione di una categoria di riferimento, talvolta apposizione di una maschera che permette di creare caos e inibire il desiderio di riconoscere dove stia l’autore in questa folla. Tra i vari personaggi inventati, appare a un certo punto anche un tale pittore chiamato Kabakov, con il quale tuttavia s’innesca un tendenzioso in sede di riconoscibilità, in quanto entra in scena un gioco delle parti per cui cercando di definire quale sia la realtà e la rappresentazione si rimane indubbiamente incartati. L’autore Kabakov viene fatto morire nella citazione del suo cognome, attribuita a un personaggio fittizio, benché realistico, ma soprattutto l’autore si sdoppia influendo in ogni personaggio inventato dallo stesso. L’attenzione alla costruzione di un’autorialità complessa, stratificata e, perché no, contraddittoria se non, estremizzando, inesistente, sicuramente legata alla lettura del saggio di Barthes sulla morte dell’autore che, sebbene filtrato tramite canali clandestini, era conosciuto ai moscoviti, interessati tanto al concettualismo occidentale quanto allo strutturalismo francese.
«Questo è un punto molto importante – io non ero un patriota. Non ero un artista russo che voleva mostrare l’arte russa all’Occidente. La posizione concettuale era quella di guardare alla vita sovietica attraverso gli occhi di uno ‘straniero’ che era arrivato lì. Era la posizione di un osservatore».44A. Vidokle, In Conversation with Ilya and Emilia Kabakov, «e-flux journal», 40, December 2012: «This is a very important point – I was not a patriot. I was not a Russian artist who wanted to show Russian art to the West. The conceptual position was to look at Soviet life through the eyes of a ‘foreigner’ who has arrived there. This was the position of an observer».
La pretesa di isolarsi dal mondo circostante, coltivare il proprio ego ricercando una posizione di distacco presupponeva porsi in un punto senza ritorno, volutamente contrario al mito della collettivizzazione che accompagna la storia russa contemporanea sin dalle teorie universalistiche di Fëdorov. Osservatore ma anche attore, Kabakov sostiene di aver dovuto sdoppiare la propria persona in due, scindendo la sua vita tra dimensione pubblica e personalità privata: allo stesso modo in ogni sua opera emerge la schizofrenia di una vita divisa tra l’immagine edulcorata della società sovietica divulgata dalla propaganda di regime e la banale e grigia quotidianità della vita nelle kommunalka: l’illusione della civitas solis sovietica lasciava infatti spazio al «ghetto as paradise», teorizzato da Victor Tupitsyn.55V. Tupitsyn, The Museological unconscious: communal (post) modernisn in Russia, Cambridge, Massachusetts London, England, The Mit press, 2009, p. 20.
Una bipolarità confermata dalle parole di altri protagonisti di quel periodo e fatta propria dalle ricerche artistiche più irriverenti e intimiste realizzate dalle generazioni più giovani del concettualismo moscovita.
Nel 1985 Kabakov ha riesaminato la storia di Komarov rendendolo protagonista di L’uomo che volò nello spazio dal suo appartamento, la prima ‘installazione totale’, realizzata nel suo studio di via Sretensky. L’introspezione che caratterizzava la scelta personale di Komarov, ora trasformata nell’atto compiuto dalla categoria più generica di uomo, è rimasta immutata ma, rispetto al lavoro su carta, gli oggetti hanno introdotto un forte senso di verosimiglianza, spezzata ancora una volta dalla vena parossistica che estremizza ogni elemento. Poster sovietici dai soggetti propagandistici, un modellino del quartiere in cui abitava, rudimentali progetti di razzi spaziali, teiere, tazze e altri oggetti d’uso comune, sporchi, circondano i resti di un letto modificato in catapulta, a costituire un insieme che ha trasformato una stanza privata in «scena del crimine».66B. Groys, The Man who flew into space from his apartment, Londra, Afterall, 2006.
La capienza limitata della stanza funge da contraltare all’infinità dello spazio cosmico cui i manifesti alludono, lasciando emergere la speranza (e attesa) di un’aspettativa di vita migliore, lontano da quell’ambiente angusto e sporco. Questo sogno dimora infatti altrove, in una realtà che non è visibile con gli occhi ma solo con la mente, mentre la stanza è fruibile dal pubblico unicamente con lo sguardo. Difatti il fruitore può vederla guardando oltre alcune assi di legno unite a formare un ostacolo che vieta l’ingresso, un muro su cui sono stati affissi i racconti forniti dai testimoni, trascritti su una serie di fogli. Assieme al foro nel soffitto, questi costituiscono i principali indizi di un evento straordinario avvenuto in precedenza, e che ha visto Komarov, novello dio laico, volare via dalla sua stanza per raggiungere il cosmo.
Nel 1987, a Ilya Kabakov fu finalmente concesso di uscire dall’Urss. Emigrò prima in Austria, poi raggiunse gli Stati Uniti d’America dove incontrò Emilia, con cui iniziò a collaborare. Il concetto di installazione ‘totale’ ha trovato ulteriore sviluppo nell’allestimento della mostra Dieci personaggi, realizzata nel 1988 a New York presso la Ronald Feldman Fine Arts, dove il duo applicava il processo di traduzione da carta a installazione precedentemente attuato, da Il volo di Komarov a L’uomo che volò nello spazio dal suo appartamento a tutte e dieci le storie raccontate nel suo album omonimo.
«Qui l’osservatore è circondato su tutti i lati dall’installazione, e perde la sua libertà, si sente in trappola e diventa la sua vittima. Molti recepiscono queste installazioni come negative; ma è perché vogliamo creare l’atmosfera della vita sovietica, che era una vita spaventosa. Una vita di gulag, kommunalka, polizia».77B. Groys, D. Ross, I. Kabakov, I. Blazwick, Ilya Kabakov, London, New York, Phaidon, 2002: «Here the viewer is surrounded on all sides by the installation, and loses his or her freedom, feels trapped and becomes its victim. Many perceive these installations to be negative; but it is because we wanted to create the air of Soviet life, and that was a frightening life. It is a life of gulags, communal flats, the police».
La mancanza di libertà e la percezione di una vita spaventosa sono i messaggi che i Kabakov affidano alle loro installazioni che riproducono l’ambiente sovietico. Tuttavia la vita occidentale di stampo capitalista ha portato loro nuove riflessioni sulla relazione tra la società e il cielo, inteso ancora come mondo altro cui riferirsi con intento catartico. In occasione del decennale Skulptur projekte Münster, i due hanno realizzato Look up and read the words (Guarda in alto e leggi le parole, 1997), una scultura pubblica per il parco cittadino costituita da una torre televisiva. Al fruitore era chiesto di sedersi o sdraiarsi ai piedi dell’opera, sull’erba, per guardare al cielo e quindi leggere il messaggio scritto tra le antenne:
«Mio caro! Sei sdraiato sull’erba, guardando in alto / Non un’anima attorno / Tutto ciò che ascolti è il vento / Guardi su nel cielo aperto, su oltre quel blu, dove le nuvole passano velocemente / È forse la cosa più bella che hai mai fatto o visto in vita tua».88«My dear! You lie in the grass, looking up / Not a soul around / All you hear is the wind / You look up into the open sky, up into the blue above, where the clouds roll by / It is perhaps the most beautiful thing that you have ever done or seen in your life».
L’incontro con il cielo assumeva ancora il valore di mezzo onirico per sganciarsi da una società oppressiva, veloce, rumorosa e improntata alla massa, che rischia di allontanare l’individuo dal proprio io per immergerlo in un costante movimento altrui, ma in questo caso era rivolta allo stile di vita dettato dal capitalismo. Nella ricerca dei Kabakov permane l’utopismo più puro, di tipo privato e intimo, che si è trasformato in una rilettura del mondo alla luce della conoscenza di una società diversa, ma comunque complicata. La realtà utopica da conquistare continua ad appartenere all’arte russa contemporanea: poco sembra essere cambiato rispetto alla teoria proposta da Boris Groys quando, nel 1988, ha dato alle stampe il suo primo volume dedicato all’arte contemporanea, Gesamtkunstwerk Stalin: die gespaltene Kultur in der Sowjetunion (tradotto in Italia da Einaudi con il titolo di Lo stalinismo ovvero l’opera d’arte totale), in cui ricostruiva il percorso di continuità tra avanguardie, realismo socialista e arte non conforme. Stiamo forse assistendo all’eterno ritorno di un tema radicato nella cultura russa, che nel 2017, anno in cui si celebra il centenario della Rivoluzione d’ottobre, non può che accentuare la sua corsa. Protagonisti ancora i Kabakov che nell’ottobre inaugureranno una retrospettiva alla Tate modern di Londra dal titolo, esplicitamente utopistico, Not Everyone Will Be Taken Into The Future.
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Alessandra Franetovich è laureata in Storia dell'arte all'Università di Pisa, ha studiato e svolto ricerca presso la Freie Universität di Berlino e la Universidad Autonoma di Madrid. Si occupa di arte contemporanea, in particolare di concettualismo moscovita, arte sovietica non conforme e post-sovietica. Nel ruolo di assistente curatoriale ha collaborato con il Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea e il Centro Luigi Pecci per l'Arte Contemporanea, come curatrice indipendente ha curato mostre e collaborato con gallerie d'arte e spazi no profit.
B. Groys, D. Ross, I. Kabakov, I. Blazwick, Ilya Kabakov, London, New York, Phaidon, 2002.
B. Groys, Politica dell’immortalità, Mimesis, Milano 2016.
B. Groys, The man who flew into space from his apartment, Afterall, London 2006.
A. Rosenfeld (a cura di), Moscow Conceptualism in context, New Brunswick and London, Rutgers University Press, 2004.
V. Tupytsin, The Museological unconscious, Mit Press, Cambridge 2009.
SITOGRAFIA
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T. Paglen, ‘Friends of Space, how are you all? Have you eaten yet?’ or, Why talk to Aliens even if we can’t, «Afterall», 32, Spring 2013.
M. Simakova, No Man’s Space: On Russian Cosmism, «e-flux journal», 74, June 2016.
A. Vidokle, In Conversation with Ilya and Emilia Kabakov, «e-flux journal», 40, December 2012.
A. Zhilyaev, Factories of Resurrection: Interview with Anton Vidokle, «e-flux journal», 71, March 2016.
KABUL è una rivista di arti e culture contemporanee (KABUL magazine), una casa editrice indipendente (KABUL editions), un archivio digitale gratuito di traduzioni (KABUL digital library), un’associazione culturale no profit (KABUL projects). KABUL opera dal 2016 per la promozione della cultura contemporanea in Italia. Insieme a critici, docenti universitari e operatori del settore, si occupa di divulgare argomenti e ricerche centrali nell’attuale dibattito artistico e culturale internazionale.