Esito a rispondere alla domanda che mi è stata posta. La persona con cui stai… lui, lei? Sono profondamente consapevole che in questo momento il mio desiderio – e per estensione il mio essere – verrà direzionato. Comportamento, identità e prassi politica saranno tutte condensate in un’unica domanda senza via d’uscita. Generazioni di persone bisessuali che rivendicano, rifiutano, temono, o abbracciano una sorta di caos identitario. Eppure il caos è generativo, «è una caratteristica dinamica dei sistemi naturali del pianeta; tutti i sistemi naturali si evolvono attraverso processi caotici» (Bartone, 2014). Un sistema caotico è un sistema che presenta comportamenti irregolari e imprevedibili. Spiazza, spaventa, destabilizza. Ingabbiata da un pensiero binario, l’identità sembra comprimersi. Dov’è il presente della bisessualità?
Il testo di Lee Edelman, The future is kid stuff (1998), è una presa di posizione ironica e incazzata sulla futurità (futurity) e la simbologia costitutiva della figura del bambino,11Il maschile generico qui è intenzionale poiché il bambino che figura nell’immaginazione collettiva è (spesso) maschio, bianco, cis, abile.
in nome del quale il dispositivo eterocispatriarcale e coloniale funziona. In ciò che segue intendo concentrarmi su come Edelman ponga la “queerness”22Lorenzo Bernini, professore associato di Filosofia politica presso l’Università degli Studi di Verona, spiega l’origine e l’uso del termine “queer”, anche e soprattutto mettendo in evidenza alcuni dei significati che si porta dietro, rilevanti per questo articolo: «In inglese “queer” è un epiteto dispregiativo che viene rivolto agli omosessuali maschi. Deriva dal tedesco “quer”, che a sua volta deriva dal verbo latino “torquere” e significa “trasversale”, “diagonale”, “obliquo”. “Queer” è quindi il contrario di “straight”, che vuol dire dritto, retto, e – dal momento che l’eterosessualità è tradizionalmente associata alla rettitudine morale – anche “eterosessuale”; se può essere tradotto letteralmente in italiano con “storto”, “strano”, “bizzarro”, per il suo uso semantico equivale in realtà a “checca” o “frocio”» (Bernini, 2013).
quale modalità di esistenza intrinsecamente oppositiva alla futurità; a questa posizione critica voglio accostare alcune delle risposte che ha ricevuto l’articolo di Edelman, in particolare l’affermazione di José Esteban Munoz (2009): «Il futuro è il dominio della queerness». Il mio obiettivo è di riflettere criticamente sul posizionamento temporale e spaziale della bisessualità in relazione alle questioni sollevate da Edelman e interlocutorə poiché sono particolarmente attratta dall’indagare il potenziale destabilizzante della bisessualità all’interno del filone di studi noto come queer temporalities (Dinshaw, Edelman, Freccero et al., 2007) La domanda che mi pongo è quali orizzonti epistemici si aprano quando le soggettività bisessuali attraversano in modo caotico due rigidi binari: una sessualità basata sull’inversione, sull’andare all’indietro sia nel tempo che nello spazio, o una sessualità eterosessuale, che si muove in modo retto, normativo? E ancora, se prendiamo in considerazione la flessibilità come attributo a priori della bisessualità in quanto considerata come orientamento sessuale malleabile, e di altre soggettività politiche liminali – come le non monogamie, anch’esse spesso guardate con sospetto per la loro incapacità di compiere una scelta oggettuale costante – quali connotazioni di razza e classe possono celarsi al suo interno?
Le “temporalità queer” sono un ricco campo d’indagine all’interno degli studi queer; i testi di Atalia Israeli-Nevo, Alison Kafer, Elizabeth Freeman, Eve Sedgwick, Gayatri Gopinath, Sarah Ahmed e, come già detto, Edelman e Munoz guidano e informano la mia scrittura, insieme al mio vissuto personale da persona bisessuale che si interroga sul perché la bisessualità non venga considerata come un’identità politica valida. Il mio pensiero è ulteriormente plasmato e stimolato in particolare dal libro di Clare Hemmings, Bisexual Spaces (2002), che, con grande agilità teorica, naviga geografie e genealogie della bisessualità, sfidando i trattamenti egemonici degli studi e delle teorie queer che la relegano spesso in un secondo piano. In questo articolo, mi interessa prima di tutto considerare le carenze delle discussioni sul tema consolidate all’interno delle università nell’affrontare alcune specificità delle esperienze delle soggettività bisessuali. Collegare poi la questione del tempo a quella dello spazio si è rivelato piuttosto affascinante: attraverso l’analisi del capitolo di Queer Phenomenology di Sara Ahmed (2006), in cui si discute di orientamento sessuale, sostengo che la sua presa di posizione su come l’orientamento sessuale sia spazialmente costruito è forse carente di una riflessione su quelle soggettività desideranti che non possono mostrare costanza nelle loro scelte oggettuali. Esaminerò poi la flessibilità e la rigidità applicate all’orientamento sessuale come categorie temporali e spaziali intrise di connotazioni razzializzanti e di classe, il che mi permetterà di discutere il tempo della monogamia contro il tempo della non-monogamia in relazione alla difficoltà di immaginare un presente per la bisessualità. Attraverso una lettura di Gayatri Gopinath (2018) mi interrogherò infine su possibili articolazioni alternative del tempo per chiedere se ci si possa muovere partendo da nuove intuizioni sul presente della bisessualità fino ad arrivare a nuove epistemologie bisessuali che rivendichino il caos di soggettività desideranti, oggetti del desiderio, orientamenti temporali e spaziali per destabilizzare la solidità del binarismo, interrogandosi su quali orizzonti di alleanza si possono aprire nel caos.
Tutti gli occhi (queer) puntati sul futuro
In The future is kid stuff (1998), Edelman sostiene brillantemente che nella società occidentale moderna l’immagine metaforica del bambino innocente sia strumentale alla rappresentazione di un futuro immaginario in nome del quale si agisce sul presente. Sul costrutto della futurità riproduttiva che impregna la società occidentale, le soggettività frocie si stagliano come la materializzazione di ombre che ci riportano a un futuro al negativo, una pulsione di morte. Non volendo o non potendo partecipare alla riproduzione materiale e simbolica, l’esistenza frocia non figura all’interno di tale futuro eteronormativo, ed è quindi sempre situata in un altrove indefinito del futuro. Il «queer» di cui parla Edelman incarna l’instabilità o, per usare le sue parole, «la radicale dissoluzione del contratto [sociale]» (Edelman, 1998). Il bambino, invece, rappresenta la continuità, la stabilità, la produzione e la riproduzione sociale, che assicurano la perpetuazione di quella stessa eteronormatività minacciata da interruzioni frocie – è un dispositivo di controllo. Come sostiene Carla Freccero, professoressa di Studi di genere all’Università di Santa Cruz in California, la società cerca spasmodicamente di attribuire una fantasia di senso al futuro, definito dal bambino metaforico in nome del quale agisce per assicurarci l’immortalità del soggetto (Freccero, 2006).
In altre parole, Edelman sostiene che, da un punto di vista epistemico, le soggettività queer siano state profondamente legate alla negatività, alla illegibilità, all’anti-riproduzione. Dunque, anziché combattere questa epistemologia e trascinare la queerness nelle braccia accoglienti dell’assimilazione gridando «Anche noi amiamo come voi! Anche noi vogliamo una famiglia! Anche noi siamo natə così!», Edelman fa della negatività un cavallo di battaglia che schiera contro la politica della speranza riproduttiva ed eteronormata (Halberstam, 2008). La provocazione di Edelman è, quindi, attribuire alle soggettività queer la forza di sconvolgere e ridefinire l’ordine sociale «esponendo la realtà simbolica che ci investe» (Edelman, 1998). In definitiva le soggettività queer non lottano per un futuro migliore o per una società più giusta; alla lotta sociale, la risposta della soggettività frocia può essere solo: «Il futuro si ferma qui» (ibid.).
Tuttavia, i limiti di questa elaborazione appaiono abbastanza chiari: smettere di immaginare il futuro è una strategia che, se da un lato mitiga quelle autocompiaciute politiche LGBT liberali assimilazioniste, dall’altro rischia di sfociare nella depoliticizzazione e nell’invisibilizzazione (Halberstam, 2008). «Fuck the future», per citare ancora Carla Freccero (2006), è un’affermazione liberatoria, incazzata, una pulsione verso la morte e la negatività che non faccio fatica a sentire come rinvigorente. Tuttavia non si può certamente affermare che sia un terreno politico generativo.
La posizione di Edelman si pone in netto contrasto con tutte quelle teorizzazioni queer pro-utopia. In Cruising Utopia (2009), Munoz risponde con un fermo: «Il futuro è il dominio della queerness», presentando la queerness come immaginazione creativa, o come desiderio, con il significato che Elisabeth Freeman, professoressa di Letteratura inglese alla UC Davis specializzata in Gender and Queer Studies, le dà di «[produzione di] modalità sia di appartenenza che di persistenza nel tempo» (Freeman, 2010). Le soggettività frocie, quindi, non solo persistono nel tempo, ma, immaginando futuri alternativi per sé stesse, criticano il presente e i suoi meccanismi regolatori eterocispatriarcali e coloniali. Munoz sostiene che la memoria abbia un potenziale di «creazione di mondi»; per dirlo con le sue parole: «Queste memorie queer di utopia e il desiderio che le struttura… ci aiutano a ritagliare uno spazio per una cittadinanza sessuale reale e vivente» (Munoz, 2009). Articolando la sua argomentazione attraverso influenze blochiane, Munoz pone la speranza al centro di una critica alla politica queer di negatività e presentismo, la cui rappresentazione dell’identità gay è legata alla scomparsa e all’antirelazionalità. Specifico “identità gay” perché, come Munoz stesso osserva, di questo in realtà si tratta: dietro alla nebulosità del termine queer, Edelman nasconde una soggettività ben precisa. Munoz osserva che:
«Così come non tuttə lə queer corrispondono all’“uomo-bianco-gay-universale-subdolo” che si rende invisibile […], non tuttə lə bambinə sono lə bambinə bianchə privilegiatə a cui si rivolge la società contemporanea […]. Il futuro va solo a vantaggio di alcunə bambinə. Lə bambinə razzializzatə, lə bambinə queer, non sono i principi sovrani della futurità». (2009, pag. 95)
Dunque, in sintesi, uno sguardo speranzoso e attivo che parta dal margine e vada verso il futuro – un futuro che è modellato dal passato e dalla memoria – è la sfida che Cruising Utopia pone aə suoə lettorə.
Tuttavia, mentre tutti gli occhi sono puntati sul futuro, spinti tra impulsi di speranza e negazione, tra assimilazionismo LGBT e istinto di morte, mi chiedo: dov’è il presente della bisessualità? Secondo l’affermazione di Edelman di non avere futuro, sembra che tutto ciò che abbiamo come soggettività queer sia il presente. Queste politiche di presentismo mi fanno chiedere: che cosa ce ne facciamo, in quanto soggettività bisessuali, di questa affermazione? Come evidenzia Clare Hemmings nel suo libro Bisexual Spaces: a Geography of Sexuality and Gender (2002), una condizione essenziale per diventare leggibile nel presente come soggetto desiderante sembra essere la coerenza nella scelta dell’oggetto sessuale: non solo si richiede alle soggettività di fare una scelta oggettuale di genere, ma di continuare a perpetuarla nel futuro. L’incapacità o il rifiuto di una soggettività bisessuale di conformarsi a questo requisito lǝ rende illeggibile: non solo non può mostrare coerenza nella scelta dell’oggetto nel tempo, ma rifiuta le definizioni binarie basate sulla scelta dellǝ partner attuale. L’illegibilità rende pertanto il presente complesso da vivere, e il caos apparente delle scelte oggettuali bisessuali si pone come elemento di disturbo.
Hemmings è stata un punto di partenza estremamente generativo per le mie indagini sui vuoti delle articolazioni teoriche della bisessualità all’interno della teoria femminista e queer. Secondo Hemmings, la bisessualità è spesso prodotta all’interno di molta teoria queer come una «via di mezzo astratta e curiosamente priva di vita» (Hemmings, 2002). Non solo è una via di mezzo, ma è anche inquadrata come uno status temporaneo che nella psicoanalisi tradizionale è stato letto come una fase di sviluppo che evolverà poi in omosessualità o eterosessualità.
Il presente della bisessualità è quindi continuamente messo in discussione poiché, nelle parole di Hemmings: «Esso può essere convalidato solo attraverso l’anticipazione di un futuro, che a sua volta può essere convalidato solo da un passato a cui si attribuisce un significato in base al presente in modo retroattivo» (ibid.). La bisessualità può essere ed è immaginata solo al passato, come una testimonianza di esperienze o desideri che convalidano le rivendicazioni di questa sessualità, o al futuro, come un’anticipazione, una speranza verso altri immaginari che protraggono ulteriormente questa convalida, nel tentativo di raggiungere la continuità che si chiede alla bisessualità e che la bisessualità non può dare.
Le lotte per la visibilità e la dignità politica delle soggettività bisessuali sono spesso relegate a politiche identitarie liberali che rivendicano come fine ultimo un riconoscimento di validità privato di qualsiasi valore politico rivoluzionario. Da sottolineare è anche come i non detti di questa percezione della bisessualità si articolino spesso attorno a immaginari di donne cis bisessuali in relazioni monogame con uomini cis etero, una visione della bisessualità alquanto misogina e patriarcocentrica. Se, come detto, il presente della bisessualità è spesso messo in discussione, in che modo possiamo attingere al potenziale dinamico della bisessualità di muoversi oltre i binari ed esplorare nuove temporalità e orizzonti epistemici? È in questi termini di provocazione speranzosa che vorrei articolare la bisessualità in temporalità nuove, non lineari e imprevedibili.
Benché non rappresenti la totalità delle esperienze e spesso rimanga a un livello di elaborazione politica individualista che reputo abbastanza sterile, è innegabile che esista quel coro spaventato di soggettività bisessuali in relazioni monogame a lungo termine che si ripete: «È questa l’ultima persona con cui avrò una relazione? E se sì, come si definisce la percezione che lə altrə hanno della mia sessualità?». L’utopia di Munoz, che guarda al futuro, gioca perfettamente con queste ansie, poiché l’indeterminatezza promessa da un futuro utopico immaginato collettivamente dalle soggettività queer apre la possibilità di una continua ri-determinazione sessuale per le persone bisessuali. Riconosco, tuttavia, che «il potenziale trasformativo» (Munoz, 2009) – la capacità utopica di immaginare cose diverse attraverso la memoria queer – non è necessariamente situato nel solo futuro, ma proietta il passato nel futuro attraverso il presente. La provocazione che pongo è dunque chiedere e chiederci, in quanto soggettività bisessuali, come mobilitiamo il potenziale trasformativo dell’Utopia, così intrecciato con il passato, quando manca la spinta politica di creare una genealogia della bisessualità? Che si possa tracciare una linea temporale dritta per l’utopia di Munoz o meno, il presente della bisessualità rimane ancora inspiegabile, incerto, una condizione forse causata dalla difficoltà di creare una genealogia della bisessualità.
Bisessualità terra di mezzo
Voglio ora rivolgermi alla questione dello spazio in relazione al tempo della bisessualità, riproponendo l’immagine della linea temporale presentata nella sezione precedente per collegarci a un altro testo seminale negli studi queer: Queer Phenomenology di Sara Ahmed (2006). Di linee, griglie e confini si occupa il saggio di Ahmed, che interpreta la questione dell’orientamento sessuale in modo letterale, ossia come l’orientamento di corpi in uno spazio. L’orientamento sessuale diventa così una questione fenomenologica per innescare nuovi modi di teorizzare il genere, la sessualità e i processi di razzializzazione. Ahmed guarda alle caratteristiche spaziali del desiderio, osservando non solo come certi corpi si muovono nel mondo plasmato dai loro desideri, ma anche come, nel farlo, sfidino quelli che lei chiama «dispositivi di raddrizzamento» – una reimmaginazione spaziale del concetto di eterosessualità obbligatoria di Adrienne Rich (Rich, 1980) –, venendo trascinati indietro attraverso le linee eteronormative del desiderio normativo verso il contatto omosessuale. Attraverso la rielaborazione della teoria della performatività di Judith Butler, Ahmed spiega come queste linee di eterosessualità siano tracciate utilizzando lo strumento della ripetizione; nelle parole di Dai Kojima, professoressa di Sexual and Diversity Studies all’Università di Toronto: «Le norme e le azioni sociali interiorizzate orientano i nostri corpi verso oggetti eterosessuali, che poi creano un campo in cui certi oggetti vengono avvicinati, mentre altri oggetti diventano non percepibili» (Kojima, 2008).
Ho già brevemente accennato alle implicazioni legate a spazialità e temporalità quando si parla della bisessualità come di una via di mezzo. La bisessualità è spesso descritta come un’identità che trasgredisce i confini, ma in qualche modo è anche una «terra di mezzo senza vita» (Hemmings, 2002), la cui caratteristica principale è il rifiuto di scegliere coerentemente un singolo oggetto del desiderio in termini di genere. In effetti, diversə storicə del sesso e della sessualità dimostrano come l’idea stessa dell’orientamento sessuale sia stata fatta diventare nei secoli un elemento identitario piuttosto che comportamentale,33Foucault, 1990; Rubin, 1984, Halpering, 1990.
e l’assenza di scelte coerenti ripetute nel tempo nonché l’orientamento discontinuo di cui la bisessualità si fa potenzialmente araldo vengono facilmente traslati in un caos identitario.
«L’emergere dell’idea di “orientamento sessuale” non posiziona la soggettività omosessuale e la soggettività eterosessuale in un rapporto di equivalenza. Piuttosto, è l’omosessuale che si costituisce come avente un orientamento: l’eterosessuale si presume neutrale. L’emergere del termine “orientamento sessuale’” coincide con la produzione di “l’omosessuale” come un tipo di persona che “devia” da ciò che è neutro. Oppure, come Foucault afferma notoriamente nel suo lavoro sulla storia della sessualità, la sessuologia moderna trasforma le cosiddette pratiche sessuali devianti (come la sodomia) da una “aberrazione temporanea” a una “specie” (1990). Se l’orientamento sessuale diventa una questione dell’essere, allora lo stesso “essere”’ diventa orientato (sessualmente)». (Ahmed, 2006, pag. 69)
Le due linee – i binari che orientano i nostri corpi – sono chiare, e le realtà degli agenti bisessuali non sono prese in considerazione. La naturalizzazione dell’eterosessualità, continua a spiegare Ahmed, consiste nel presupporre l’esistenza di una linea retta che connette “un genere all’altro”, e che questa linea del desiderio sia allineata con il proprio genere: un uomo è uomo perché desidera una donna, una donna è donna perché desidera un uomo. Questa è la linea retta del desiderio, il «campo magnetico» – come lo definisce Ahmed – che mantiene le soggettività in linea. Le sessualità queer si muovono all’indietro, sono invertite, anacronistiche e spazialmente irregolari: sono desideri che vanno, letteralmente, fuori dagli schemi, che si dibattono per uscire dal campo magnetico e tendono a oggetti che non dovrebbero essere nel loro raggio d’azione ma che lo diventano. Aberrazione e anomalia sono sinonimi, dopotutto.
Lo spazio si lega al tempo nel secondo capitolo di Queer Phenomenology, quando Ahmed, citando la differenziazione che Teresa de Lauretis attua tra lesbiche che “sono sempre state lesbiche” e quelle che “diventano lesbiche” (1994), esplicita il lavoro che precede anche “l’essere sempre stata lesbica”. Anche chi si identifica con “essere lesbica da sempre” è dovuta diventare lesbica; ciò che cambia rispetto a chi lesbica “lo diventa” più tardi è un rapporto temporale all’orientamento sessuale. Ci si orienta dunque anche rispetto ad altri corpi, e il lavoro della sessualità viene esplicitato quindi anche e soprattutto come relazionale. Intendo, tuttavia, indirizzare la riflessione verso i motivi per cui la bisessualità qui non figura in modo più complesso. L’assenza della bisessualità reifica la sua rappresentazione come priva di vita, come una insignificante via di mezzo? Come potrebbero la fluidità e un orientamento discontinuo del desiderio complicare l’analisi che Ahmed propone?
Il movimento presentato da Ahmed nella griglia mi appare comunque rigido nella sua irregolarità: nel campo magnetico dell’eterosessualità obbligatoria, le soggettività queer si muovono indietro sui binari, si orientano in modo «obliquo» o «inverso», ma senza mai uscire dallo schema. Come soggetto politico ridicolizzato, la bisessualità riceve spesso accuse di voler rendere l’eterosessualità una dissidenza sessuale, ma occorre riflettere più criticamente sul suo potenziale all’interno della griglia. La bisessualità è una fastidiosa apertura all’ignoto, all’imprevedibile, così inaspettata nel suo manifestarsi che non c’è alcun modo di categorizzare la sua apparizione. È un’identità che non si stabilizza mai, è un moto caotico all’interno della rigida griglia del desiderio presentata da Ahmed che cambia costantemente. Non si limita a esistere tra la trasgressione di confini e la passiva terra di mezzo, ma supera il pensiero dicotomico provocando reazioni inaspettate.
Nella cultura generalista, la bisessualità viene rappresentata come un tropo per indicare una sessualità deviante o perversa: “lə reiettə della crisi dell’AIDS” («Newsweek», 1997), incertə (Pedro Almodovar), serial killer (Jennifer’s Body, Killing Eve, Basic Instinct). La deviazione e il desiderio bisessuale mappano un’interessante erotica del potere che si articola spesso, come testimonia già il testo di Ahmed, attorno a questi due concetti: rigidità e flessibilità.
Le politiche della flessibilità
Ho introdotto due categorie tradizionalmente opposte – rigidità e flessibilità –, che trovo particolarmente generative per pensare alle temporalità e agli orientamenti sessuali. Il desiderio bisessuale è rappresentato quasi sempre come di natura intrinsecamente flessibile. Sebbene la narrazione delle percentuali44Bisessualità descritta come essere attrattə al 50% dagli uomini e al 50% dalle donne, concezione che si rifà al modello proposto dalla scala Kinsey (scala di valutazione dell’orientamento sessuale).
sia stata resa popolare – attraverso la reificazione di una concezione di genere binaria – in un tentativo positivista di dare rigidità e coerenza all’attrazione attraverso la quantificazione di un desiderio illeggibile nella sua inconsistenza, la flessibilità è stata parte integrante di ciò che significa essere soggettività bisessuali.
In effetti, la fluidità era già stata rivendicata dalle soggettività bisessuali nel Manifesto bisessuale del 1990, una dichiarazione storica pubblicata sulla rivista letteraria «Anything That Moves», attiva a San Francisco dal 1990 al 2002. Nelle parole della comunità bisessuale della Bay Area, autrice del Manifesto:
«La bisessualità è un’identità intera e fluida. Non date per scontato che la bisessualità sia di natura binaria o duogama: che abbiamo “due” lati o che dobbiamo essere coinvoltə contemporaneamente con entrambi i generi per essere realizzatə. Anzi, non date per scontato che ci siano solo due generi. Non scambiate la nostra fluidità per confusione, irresponsabilità o incapacità di impegnarsi. Non equiparate la promiscuità, l’infedeltà o il comportamento sessuale non sicuro alla bisessualità. Questi sono tratti umani che attraversano tutti gli orientamenti sessuali». (Comunità bisessuale, 1990, enfasi mia)55Testo originale: «Bisexuality is a whole, fluid identity. Do not assume that bisexuality is binary or duogamous in nature: that we have “two” sides or that we must be involved simultaneously with both genders to be fulfilled human beings. In fact, don’t assume that there are only two genders. Do not mistake our fluidity for confusion, irresponsibility, or an inability to commit. Do not equate promiscuity, infidelity, or unsafe sexual behavior with bisexuality. Those are human traits that cross all sexual orientations». (Bisexual Community, 1990)
Il Manifesto rivendica la flessibilità, ma simultaneamente la collega all’idea di completezza – «La bisessualità è un’identità intera e fluida» – nel tentativo di lottare per la validità, sottolineando come identità sempre mutevoli rendano molto instabili le politiche identitarie. Dal Latino flexibilis, “flessibilità” significa “essere cedevole”, ma anche figurativamente “incostante, mentalmente o spiritualmente flessibile”. Un desiderio che è di natura flessibile è quindi considerato l’araldo di una sessualità che è incostante, che può piegarsi attraverso le linee rette del desiderio (Ahmed, 2006), che è intrinsecamente immorale proprio per la sua “incapacità di impegnarsi” in una direzione.
Camminare drittə, dunque, avere una direzione, seguire una linea retta è il modo in cui i corpi docili devono muoversi nello spazio. Quando è stata l’ultima volta che siamo uscitə di casa e abbiamo camminato all’indietro, a zig zag, barcollando, cambiando direzione e prendendo la strada laterale, tornando sui nostri passi? Da adultə, permettiamo questi comportamenti solo aə bambinə e diffidiamo sistematicamente di chiunque altrə li manifesti, così come diffidiamo della confusione che deriva dall’incapacità di scegliere una direzione. L’incapacità e il rifiuto di scegliere e impegnarsi sono inscritti nell’identità bisessuale come modalità intrinseche dell’essere, del camminare, del relazionarsi. Indecisione. Intimità. Siamo diffidenti, siamo chi vacilla e zigzaga, invece di dare al nostro muoversi una rigida direzionalità.
È la rigidità, dunque, che viene elevata oltre la flessibilità come modalità dell’essere moralmente superiore. Questo binario, tuttavia, è anche intriso di connotazioni razzializzanti e di classe che possono e vogliono ribaltare queste dinamiche che ho esplicitato. Jack Halberstam, in conversazione con Elisabeth Freeman e altrə sette teoricə queer, parla acutamente degli anacronismi gettati sulle comunità queer razzializzate e sistematicamente relegate nel regno del passato, «dietro la curva della storia» a causa delle relazioni uomo-donna. Con le parole di Halberstam:
«Molte di queste caratterizzazioni del desiderio omonormativo presuppongono anche un soggetto bianco e poi gettano l’anacronismo sulle comunità razzializzate – per esempio, mentre le soggettività queer di classe media si affrettano verso la flessibilità di genere e sessuale, le comunità legate alle dinamiche butch-fem, forse di classe operaia latina o forse comunità nere sembrano essere relegate nel passato». (2007, pag. 190-191)66Testo originale: «Many of these characterizations of homonormative desire also presume a white subject and then cast anachronism onto communities of color – for example, as white middle-class queers scurry into gender and sexual flexibility, communities bound by butch-fem, perhaps working-class Latina, or some black communities seem to be ‘behind’ the curve of history». (Dinshaw, Edelman, Ferguson, Halberstam et al., 2007)
La flessibilità diventa una questione di tempo storico, intrisa di significati razzializzanti e classisti, vista come una pratica positiva messa in atto dalle frocie di classe media che, visibili, accettate e riconosciute, rappresentano «l’adesso» della storia, rispetto alle comunità gay e lesbiche nere, indigene, marroni «congelate nel tempo» a riprodurre i rigidi binari uomo-donna anche nelle relazioni tra persone dello stesso genere. Rimango incerta se questa immagine non sia un po’ troppo vicina alla rappresentazione della flessibilità sessuale come una “moda recente”, idea che non solo negherebbe un posto nella storia alla bisessualità, ma la ritrarrebbe anche come una pratica che può essere appositamente raccolta e quindi, presumibilmente, interrotta. Se “lə giovani di oggi sono tuttə bisessuali”, se diamo il benvenuto alla “bisex generation”77Articolo del settimanale «L’Espresso» intitolato Benvenuti nell’era della bisex generation, 20 agosto 2014: «Se la modernità è liquida, l’identità sessuale si fa fluida: aperta a ogni possibilità. Etero, gay? Superati. Il mondo si scopre bisessuale. Anzi, “flexisexual”: insofferente a limiti e barriere».
come una nuova tendenza, non stiamo forse contribuendo a una narrazione che reifica l’insignificante ruolo storico della bisessualità come soggetto politico? Non stiamo forse ignorando decenni di attivismo e militanza bisessuale? Non stiamo, infine, cristallizzando degli orientamenti sessuali in epoche storiche in modo completamente arbitrario? Tuttavia, le dinamiche di potere tra flessibilità moderna-liberatoria e rigidità regolatoria-limitante si invertono quando la flessibilità viene associata a un tipo di soggettività queer bianca e neoliberale, postmoderna e postcapitalista, e viene così posta al di sopra, in una scala gerarchica moralizzante, della rigidità etnica, operaia e conservatrice.88Un esempio di questa dinamica è fornito da Gloria Wekker in The Politics of Passion: Women’s Sexual Culture in the Afro-Surinamese Diaspora, 2006. Il suo lavoro auto-etnografico sulla comunità mati nei Paesi Bassi fa nascere questioni di colonialità e ruoli di genere, naturalmente, ma anche di temporalità.
La tensione tra queste due categorie punta verso un’ulteriore interessante complicazione a cui, secondo la mia lettura, il breve passo di Halberstam accenna ma non dà seguito: la non-monogamia come pratica sessuale e relazionale che è diventata gradualmente più generalista e ha ricevuto una copertura mediatica più diffusa negli ultimi anni tra lə giovani queer bianchə, di classe media (Wilkinson, 2010). Intendo ora concentrarmi su ciò che chiamo il tempo della non-monogamia in relazione alla bisessualità e sulle possibili connessioni al presente della bisessualità.
Il tempo della non-monogamia
Lo spettro delle cosiddette non-monogamie etiche o consensuali (NME-NMC) è vasto e sta diventando sempre più popolare nella cultura generalista. La non-monogamia etica è un termine ombrello per pratiche o approcci verso le relazioni interpersonali che rifiutano la formazione diadica basata sull’esclusività e abbracciano invece l’apertura e – a volte – l’anarchia verso l’amore, l’intimità, l’attrazione, il sesso e la famiglia. Sono particolarmente interessata ai significati bisessuali che la non-monogamia potrebbe portare con sé e, mentre rimango cauta nel cadere nella trappola di stereotipare le identità bisessuali come promiscue, e rappresentabili solo in costellazioni romantiche o sessuali con più di due o più persone che rappresentano due o più di due generi, mi trovo affascinata da come sembra che il presente della bisessualità possa essere trovato solo in mezzo a tali rappresentazioni relazionali.
Riflettendo criticamente sulle temporalità bisessuali, Clare Hemmings spiega come alcune soggettività bisessuali abbiano affrontato il problema del loro apparente presente monosessuale attraverso un presente non monogamico: le attrazioni verso persone di generi diversi e le relazioni durature con loro diventano la prova definitiva di un’autenticità dell’identità bisessuale. Il presente diventa allora un ingegnoso intreccio di relazioni passate e future e, nella sua «eroica» (Hemmings, 2002) esibizione dei generi come scelte oggettuali, la soggettività bisessuale è completa, finalmente in grado di rendere visibile la propria fluidità del desiderio e non dover vivere il presente come uno scomodo intermezzo. La fluidità della bisessualità si rispecchia così nella fluidità della relazione, e l’ormai esplicito rimbalzo della direzionalità del desiderio avanti e indietro tra persone (generi) diverse è il visibile rifiuto della rigidità non solo della monosessualità ma anche della mononormatività. Tornando a Halberstam, in effetti la non-monogamia e la bisessualità, nelle loro accezioni più politicizzate, sembrano avere una natura complementare, i loro tempi e spazi si incontrano sotto le insegne di un rifiuto della rigidità e una decostruzione dell’immanenza, scegliendo direzioni e temporalità molteplici, ed evitando, per vie traverse, di muoversi in linea retta. Corro il rischio, affermando questa natura complementare, di contrarre e confondere questi due concetti: specifico che è sul loro potenziale politico disturbatore che mi interrogo.
Riprendo ora la metafora deə bambinə che si muovono in modi inaspettati e imprevedibili, esempi di pratiche per evitare le convenzioni dei «dispositivi di raddrizzamento» che regolano il desiderio (Ahmed, 2006). In questo esempio, mi rendo conto con immediatezza del nesso tra bisessualità/non-monogamia e infantilizzazione: noi, come soggettività bisessuali, siamo la personificazione del fallimento dell’orientamento sessuale o del desiderio monogamico, non più necessariamente diffidenti ma semplicemente non abbastanza mature nelle nostre scelte, zigzagando tra mononormatività e monosessualità. Siamo una sorta di fallimento intenzionale (Ahmed, 2017).
Immaginando perciò il desiderio non monogamico come rifiuto visibile della struttura della relazione diadica e, quando politicizzata, della stessa mononormatività, mi chiedo: la visibilità è davvero la (sola) risposta? Il presente della bisessualità si trova esclusivamente in questo ambito come sempre già in opposizione alla monogamia, da condividere con più di due persone? Quando sperimento sul mio corpo l’accresciuto scrutinio, la sessualizzazione e la diffidenza che derivano dall’essere bisessuale e non monogama, dubito che l’intersezione visibile di questi due modi di essere sia l’unica risposta al problema del presente della bisessualità: dopo tutto, «la visibilità è una trappola» (Foucault, 1995).
La soluzione «eroica» (Hemmings, 2002) per il presente della bisessualità si sgretola così sotto il peso degli stereotipi e degli approcci apolitici e individualisti neoliberali e, anche se sono lontana dal dire che la bisessualità non deve intersecarsi con la non-monogamia, non è certamente l’unica configurazione possibile della bisessualità, e non dobbiamo perpetrare la comprensione di essa come rappresentabile esclusivamente in costellazioni di più-due persone. Così, nonostante il desiderio di localizzare il presente della bisessualità tra la molteplicità dei corpi di amanti non monogamə, non sono per nulla sicura che potremmo identificare nelle NME i loci privilegiati per il presente della bisessualità.
Resto a chiedermi e a vagare alla ricerca del presente della bisessualità, di fronte all’assenza fisica di una narrazione sessuale lineare di progressione e al fallimento delle politiche di visibilità e del tempo della non-monogamia. Nella mia conclusione rifletterò su un possibile posizionamento alternativo della bisessualità nel tempo, mobilitando il concetto di dwelling in displacement formulato da Gayatri Gopinath (2018), professoressa di Social and Cultural Analysis e direttrice del centro di ricerca Center for the Study of Gender and Sexuality presso la New York University.
Conclusione: abitare-soffermarsi nel presente di nuove epistemologie
Rimaniamo bloccatə dall’assenza di un presente per le soggettività bisessuali, un presente che non sia infantile o inaffidabile, non monogamo o impossibile. Quando l’epistemologia della narrazione sessuale lineare ci esclude, è tempo di nuove epistemologie. Se ci si prende lo spazio per farlo, nuove cartografie della bisessualità possono emergere non da una posizione di «fuck the present», perché questo, per me, sarebbe un abbracciare consapevolmente la cancellazione; possono invece emergere dall’abbracciare la giocosità della non-direzionalità, l’indeterminatezza di uno stato come dwelling. In inglese, questo termine significa letteralmente “dimora”, ma come verbo possiede anche un valore temporale; potremmo tradurlo in italiano “soffermarsi”, su un concetto, un ricordo, un’idea.
Il modo in cui Gopinath in Unruly Visions (2018) descrive il concetto di dwelling è radicato in nozioni e immaginari di spazi domestici e norme coloniali rispetto al contesto dell’Asia meridionale. La distinzione tradizionale, discussa da Gopinath, tra diaspora e indigenità – una a significare movimento, perdita, ibridità, e l’altra appartenenza, legittimità, radicamento – viene confusa e complicata dal concetto di dwelling come resistenza alle opposizioni binarie e alla violenza coloniale in corso.
Così, il soffermarsi, l’abitare l’incertezza, l’irregolarità, il caos che dwelling offre introduce una temporalità che differisce dal semplice passato, presente e futuro, proponendo un presente indeterminato che si estende in lungo e in largo e che offre modi alternativi di essere senza concedere alcuna forma di riconciliazione o narrazione lineare. In “abitare-soffermarsi” non c’è un punto di partenza o di arrivo definito, si tratta infatti di uno stato fluido. Rende evidenti questioni di razzializzazione e colonialità, di spazialità e temporalità, di orientamento sessuale e sessualità, di genere e ruoli di genere, e lo fa senza rispondere a nessuna delle domande relative a tali argomenti; ci spinge a «dwell in displacement» (Gopinath, 2018), forse anche a smettere di cercare un locus specifico per il presente della bisessualità, e ci libera verso l’accettazione della collocazione indefinita, sia nel tempo che nello spazio, di tale presente. Prendiamoci il nostro tempo e dimoriamo nei presenti caotici che si assemblano in una miriade di combinazioni diverse e in una miriade di loci diversi, chiedendo, nelle parole di Gopinath, «articolazioni alternative di comunità, parentela, coalizioni che offrono un allontanamento dalla logica organizzativa nazionalista eteronormativa dominante» (Gopinath, 2018).
“Abitare-soffermarsi”, quindi, scopre nuove possibilità epistemologiche per la bisessualità che altrimenti sarebbero impossibili da prevedere. Vogliamo una fluidità che non sia neoliberale, bianca e di classe media; vogliamo intimità e desideri che siano liberi di abitare o di cambiare giocosamente direzione nonostante la spinta verso una progressione lineare, rifiutando futuri che assomiglino necessariamente al presente, confermato per mezzo del passato. Il presente della bisessualità, sebbene indefinito, è lontano dall’essere una «terra di mezzo senza vita» (Hemmings, 2002). In questo senso, allora, le soggettività bisessuali potrebbero dire: «Fanculo la linearità, fanculo la coesione, fanculo i binarismi e fanculo la rigidità». In conclusione, il vero compito per noi soggettività bisessuali non è ricercare definizioni statiche di dove potrebbe essere il presente della bisessualità, ma imparare a stare in uno stato di caos generativo e insubordinato, e permettere che emergano nuove epistemologie fluide, multidirezionali e alternative. Ciò su cui continuo a interrogarmi è come non cadere nell’individualismo neoliberale e nelle guerre identitarie che vorrebbero tenerci occupatə pattugliando i confini chiari e puliti delle identità – ma guardiamo piuttosto i confini come “siti di lotta” (Mezzadra, Neilson, 2013)! –, cercando al contempo di capire i motivi per cui la bisessualità non venga considerata un terreno politico generativo. Che cosa c’è esattamente di non tollerabile nella bisessualità? E come possiamo creare alleanze politiche significative basandoci sul suo potenziale disturbatore e caotico?
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Elena ha studiato Studi di Genere presso l’Università di Utrecht e sta attualmente frequentando il corso magistrale di Scienze Filosofiche all’Università di Verona. Si occupa di erotizzare l’educazione sessuale insieme a The Pleasure Project e fa parte del collettivo artistico transfemminista queer Fra(m)menti.
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KABUL è una rivista di arti e culture contemporanee (KABUL magazine), una casa editrice indipendente (KABUL editions), un archivio digitale gratuito di traduzioni (KABUL digital library), un’associazione culturale no profit (KABUL projects). KABUL opera dal 2016 per la promozione della cultura contemporanea in Italia. Insieme a critici, docenti universitari e operatori del settore, si occupa di divulgare argomenti e ricerche centrali nell’attuale dibattito artistico e culturale internazionale.