La scrittura di Mario Mieli è diretta ed esperienziale: le pagine di Elementi di Critica Omosessuale, rimaneggiamento della sua tesi di laurea in Filosofia Morale edito nel 1977 da Einaudi, trasportano il lettore in un fitto intreccio di esperienza diretta e teoria politica. La critica di Mieli è un costante dialogo tra il politico e il personale, dove il corpo dell’autore si interfaccia con la materia viva della teoria politica, della psicanalisi e della storiografia. Il desiderio è il linguaggio attraverso cui avviene questo dialogo, permettendo all’autore di fare della propria esperienza personale il punto di partenza per un’elaborazione politica rivoluzionaria.
Elementi di critica Omosessuale è una lunga lettera d’amore al desiderio, che sorregge la struttura di questo testo. Intessuto con critica politica, economica e sociale, il desiderio è per Mieli sia il motore che l’obiettivo della rivoluzione omosessuale. Il testo è il risultato del coinvolgimento di Mieli nei movimenti di elaborazione e di attivismo omosessuale d’Europa: nel 1971, tre anni dopo le proteste francesi del ’68 e due dopo i moti di Stonewall a New York, Mieli si trasferisce a Londra, dove partecipa alle attività del Gay Liberation Front (GLF). Tornato in Italia poco dopo, collabora alla fondazione del primo collettivo di liberazione omosessuale italiano: il Fronte Unitario Omosessuale Italiano. Qui, Mieli si afferma come voce autorevole, creativa e a tratti dissonante del movimento rivoluzionario italiano, pubblicando articoli su riviste come «Lambda», «L’erba voglio» e «FUORI!». La pubblicazione degli Elementi conferma quindi la sua importanza come colonna portante dell’elaborazione teorica del movimento di liberazione omosessuale. L’impeto e la carica rivoluzionaria di quegli anni traspirano dalle pagine del testo, che si presenta come un saggio sull’omosessualità, ma cela al suo interno una declinazione avanguardistica della questione omosessuale con il tema della rivoluzione in senso marxista. Secondo Mieli, infatti, è attraverso la liberazione delle pulsioni più represse che si può raggiungere il “gaio comunismo”. Il materialismo di Mieli si basa dunque su un processo rigoroso di decostruzione: dalle teorie marxiste alla psicoanalisi, l’autore compie un processo “all’indietro”, per arrivare ad affermare che: «Alla base dell’economia si cela la sessualità. L’Eros è “sottostrutturale”». 11Mario Mieli, Elementi di Critica Omosessuale, Feltrinelli, Milano, 2017 [1977], p. 219.
Per giungere a questa affermazione, Mieli opera un processo di rielaborazione sia delle teorie psicoanalitiche (di Freud, in particolare) che di quelle marxiste. La sua rielaborazione mira a spogliare queste teorie dalla “ideologia eterosessuale” e a riscriverle in ottica di liberazione omosessuale (rivoluzionaria). Ciascun passaggio di tale percorso è attraversato dalla potenza del desiderio, che si fa motore teorico, pratico e ideale della visione del futuro di Mieli.
Nelle ultime righe della Premessa, l’autore rende esplicita la sua speranza per il futuro del testo:
«Spero che la lettura di questo libro favorisca la liberazione del desiderio gay presso coloro che lo reprimono e aiuti quegli omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del sentimento di colpevolezza indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi della falsa colpa. È tempo ormai di estirpare il senso di colpa, funzionale soltanto al perpetuarsi del dominio mortifero del capitale, e di opporci tutti insieme a questo dominio e alla norma eterosessuale che contribuisce a sostenerlo, garantendo tra l’altro l’assoggettamento dell’Eros al lavoro alienato e la separazione tra uomini, tra donne e tra uomini e donne».22Ivi, p. 8.
Il primo passo necessario per la liberazione dalla “falsa colpa” è il riconoscimento dell’universalità del desiderio omosessuale. Con questo obiettivo in mente, Mieli si avventura in un percorso di decostruzione e rielaborazione delle teorie psicoanalitiche sul complesso edipico. Rileggendo i Tre Saggi sulla Sessualità di Freud (1905), trova, nelle sue teorie, il riconoscimento dell’«esistenza in chiunque di tendenze omoerotiche e in particolare nei bambini (polimorfi e perversi)».33 Ivi, p. 55.
Secondo questa prospettiva, il desiderio omosessuale è dunque universale. E così Mieli procede a interrogarsi sul processo di rimozione della componente omosessuale del desiderio presso gli eterosessuali, trovando la sua risposta nella rilettura del complesso di Edipo che, così com’è formulato, si rivela insufficiente per l’analisi dell’omosessualità (e del desiderio in generale) che Mieli intende compiere:
«Dal punto di vista gay, così come da quello femminista, non si può parlare di complesso edipico senza provvedere a una rifondazione completa delle teorie che lo concernono, senza tenere effettivamente conto del complesso nella sua completezza. […] Noi gay non ci riconosciamo nella categoria psicoanalitica classica dell’Edipo, poiché l’omosessualità, in certo qual modo, nega l’Edipo».
L’argomentazione che Mieli sviluppa in opposizione alla struttura edipica teorizzata da Freud è quella della transessualità del profondo: con questa espressione Mieli intende «la pluralità delle tendenze dell’eros e l’ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo».44vi, p. 16.
Insomma, il tema della transessualità si intreccia inestricabilmente con quello della liberazione del desiderio.
Transessualità del profondo e liberazione del desiderio sono gli strumenti che permettono a Mieli di scagliarsi contro quella che definisce come «ideologia eterosessuale», che si fa produttrice della normalità, e dunque, della Norma: «L’ideologia sostiene la “naturalità” del sistema e del modo di produzione attuali: li assolutizza in maniera astorica, celandone la sostanziale transitorietà».55Ivi, p. 105.
Mieli identifica nel progetto di rivoluzione omosessuale l’unica possibilità di liberazione dall’alienazione capitalistica, che condanna alla rimozione dei desideri e all’adozione forzata di ruoli funzionali al sistema. Accedere alle profondità del desiderio, nelle sue declinazioni più oscure e recondite, è prerequisito fondamentale per la liberazione individuale e collettiva:
«L’obiettivo (è il caso di ribadirlo?) non è affatto quello di ottenere un’accettazione dell’omoerotismo da parte dello status quo eterocapitalistico: bensì di trasformare la monosessualità in Eros davvero polimorfo, molteplice; di tradurre in atto e in godimento quel polimorfismo transessuale che esiste in ciascuno di noi in potenza e represso».66Ivi, p. 111.
L’obiettivo rivoluzionario di Mieli si materializza attraverso la pratica: performando una sessualità considerata “deviante” dalla Norma eterosessuale, produttiva e riproduttiva, l’individuo incorpora le condizioni di attuazione del “gaio comunismo”. Il passaggio forse più citato degli Elementi è emblema dell’importanza del sesso anale (e così di tutte quelle pratiche erotiche “deviate”), per la liberazione dall’oppressione ideologica dell’eterosessualità, che impone una sessualità alienata, scollegata dal proprio desiderio e dal rapporto con l’altro: «Il mio tesoro lo conservo in culo, ma il mio culo è aperto a tutti».77Ivi, p. 155.
La pratica di una “libido rivoluzionaria” ha il potere di smantellare la struttura che regge il regime capitalistico: Mieli cita Marcuse per descrivere la funzionalità della sessualità e dell’eros al sistema, e sottolinea come il sistema liberalizzi le componenti perverse dell’Eros (p. 216) per renderle produttive. La liberalizzazione della “perversione” prevede però una edulcorazione e una repressione della carica erotica, che resta sublimata e alienata nel lavoro (ibid.). Il potenziale rivoluzionario non sta dunque nel sesso anale “in sé”, ma si configura nel momento in cui la pratica sessuale acquista consapevolezza del proprio potenziale:
«Funzione dell’ideologia è occultare la “natura” autentica del capitale, negare le fondamenta umane, corporee che lo sostengono: l’intera baracca è retta dal nostro lavoro alienato, dalla nostra libido repressa, dalla nostra energia estraniata. Rendersene conto comporta l’acquisizione di una coscienza rivoluzionaria, di una libido rivoluzionaria. […] La (ri)conquista dell’analità contribuisce a sovvertire il sistema dalle fondamenta».88Ibid.
Come abbiamo visto, il desiderio omosessuale liberato ha il potere di mettere in discussione le categorie edipiche di differenza sessuale. In contrasto con l’Edipo, il desiderio va contro l’identità. Una delle modalità attraverso cui si materializza il potenziale liberatorio del desiderio è definita da Mieli come una sorta di follia: intesa come capacità di esperire appieno la verità dell’esperienza e come negazione della struttura e della frammentazione della società capitalistica, che risulta nell’esclusione dell’individuo dalla “comunità”. Mieli si sofferma sulla questione della follia, delineando un paragone tra l’etichetta normativa di “psicopatico” imposta allo schizofrenico e quella di “diversità” associata all’omosessualità:
«L’ etichettare l’omosessualità come “aberrazione” o più modernamente come “diversità” dispensa la falsa coscienza dal considerarne gli autentici contenuti, dal riconoscere la passione vitale che la anima e le aspirazioni del desiderio umano che manifesta: similmente, l’etichetta di “psicopatico” riduce l’universo esistenziale dello “schizofrenico” a “caso clinico” da condannare al confino e al dileggio (o alla pietà che gli è sorella)»99Ivi, p. 185.
.
L’omosessualità e la follia sono considerate dunque tendenze “asociali” in base al giudizio dell’ideologia dominante ma, secondo Mieli, queste incarnano piuttosto il desiderio e la ricerca di una comunità costantemente negata dall’atomizzazione degli individui e dalla mercificazione dei rapporti umani (p. 186). La follia apre quindi la strada verso la negazione della Norma che reprime il desiderio. Mieli individua così nel “trip schizofrenico” uno “stato di grazia” attraverso cui si può accedere al desiderio di comunità, represso e negato dall’ambiente circostante. Attraverso il “trip schizofrenico” si ha la possibilità di visualizzare e accedere alla “transessualità del profondo” propria e altrui, celata nell’inconscio. Con transessualità, l’autore intende il riconoscimento della superficialità delle categorie sessuali di “uomo” e “donna”, la consapevolezza che la distinzione di genere cela un’affinità profonda. La liberazione del “trip schizofrenico” concretizza la “fantasia transessuale”, portando all’implosione le categorie di maschile e femminile. Adottando il desiderio come chiave di lettura della sessualità, Mieli conclude:
«Credo che, se vogliamo tentare di superare i limiti delle nostre disquisizioni razionalistiche sulla sessualità, dobbiamo accostarci ai temi e ai contenuti erotici della “schizofrenia”; il desiderio erotico è mille volte superiore alle limitatezze della nostra concezione intellettuale dell’amore, tessuta di motivi “romantici” (in senso lato), di categorie psicoanalitiche, vincolata alla funzione castigata e alienante di una monosessualità e alla rimozione delle altre tendenze del desiderio».1010Ivi, p. 190.
La natura polimorfa di Elementi, definito da Teresa de Lauretis «impossibile e affascinante, per l’incompatibilità delle premesse teoriche e le contraddizioni di un pensiero che sconfina dai margini del discorso nel quale e contro il quale si forma e si dibatte», rende difficile tracciare un paragone tra il pensiero di Mieli e quello di altri esponenti della teoria queer. Come nota la stessa de Lauretis, Elementi di Critica Omosessuale si inserisce in un filone critico che ha come principale esigenza l’elaborazione di un linguaggio scientifico per nominare e descrivere l’esperienza incorporata di un desiderio deviante, non conforme.
Quale potenziale interlocutore di Mieli, de Lauretis menziona The Straight Mind di Monique Wittig, pubblicato nel 1980 su «Feminist Issue». In questo saggio, l’autrice traccia i contorni di quello che definisce pensiero straight, ovvero l’assunto, da parte dell’ideologia dominante, dell’universalità della relazione eterosessuale:
«Vi è, all’interno di quella cultura, un nucleo di natura che resiste l’esaminazione, una relazione esclusa dall’analisi del sociale – una relazione la cui caratteristica principale è l’ineluttabilità, culturale e naturale. Questa relazione è la relazione eterosessuale».1111Monique Wittig, Il pensiero eterosessuale, trad. it. di Federico Zappino, Ombre Corte, Verona, 2019, p. 27.
Wittig giunge alla definizione di pensiero eterosessuale partendo da una critica al “linguaggio dell’inconscio” della psicologia lacaniana, accusata di produrre una lettura acritica della realtà sociale, in cui gli individui sono descritti come fondamentalmente identici, accomunati da una “psiche programmata geneticamente”, immuni da processi storici e conflitti di classe. Nell’arsenale di invarianti prodotto dal discorso dominante rientrano dunque i concetti chiave della psicoanalisi: il complesso di Edipo, la castrazione, lo scambio di donne, così come quello che Wittig definisce “il contratto psicoanalitico”. Wittig analizza dunque la relazione psicoanalitica attraverso la lente dell’oppressione materiale ed epistemica:
«Nell’esperienza analitica viene sfruttato il bisogno di comunicazione di una persona oppressa, quella psicoanalizzata: esattamente come le streghe sotto tortura non poterono far altro che dire a pappagallo le cose che gli inquisitori volevano sentire […], questa persona non ha altra scelta se non quella di dire ciò che da essa ci si attende».1212Ivi, p. 45.
L’impossibilità di comunicare si estende ben oltre il rapporto psicoanalitico: in una società fondata sull’eterosessualità, lesbiche, uomini gay e femministə sono esclusə dalla possibilità di produrre le proprie categorie: l’universalità attribuita all’eterosessualità comporta l’invisibilizzazione di tutto ciò che non è informato dalla relazione eterosessuale: «You-will-be-straight-or-you-will-not-be». In quest’ottica, Wittig analizza il concetto di differenza: la società eterosessuale necessita l’altro per operare a ogni livello. Ma che cos’è l’altro se non l’oppresso? L’elaborazione di categorie di differenza e il loro controllo è, a tutti gli effetti, un’operazione normativa. Le categorie di uomo e donna rientrano in questo processo di “invenzione della differenza” a scopi di dominio e normativi. Per Wittig, “uomo” e “donna” sono concetti politici:
«L’ideologia della differenza sessuale opera attraverso la censura e l’occultamento dell’opposizione sociale tra uomini e donne, giustificandola in termini naturali. […] Ma il punto è che non esiste alcun sesso. Esistono solo un sesso oppresso e un sesso oppressore».1313Ivi, p. 22.
Non esiste alcun sesso. Esistono solo un sesso oppresso e un sesso oppressore
Wittig propone pertanto l’abolizione delle categorie di uomo e donna a livello politico, economico e ideologico: «Dobbiamo produrre una trasformazione politica dei concetti chiave»,1414Ivi, p. 50.
in quanto continuare a pensarsi come lesbiche e gay, attraverso le categorie di donna e uomo, comporta il mantenimento del regime dell’eterosessualità. Da qui la conclusione drastica di Wittig:
«“Donna” è una parola che ha senso solo nei sistemi di pensiero ed economici eterosessuali. E le lesbiche non sono donne».1515Ivi, p. 55.
Wittig sviluppa la sua tesi in piena opposizione verso le categorie psicoanalitiche, considerate come espressione di quel pensiero eterosessuale che opprime e rifiuta la possibilità di autodefinizione dei soggetti considerati “altri”. Il rifiuto di Wittig è netto: il contratto psicoanalitico (espressione di quello sociale) va rotto come premessa fondamentale per la possibilità di invenzione di nuove categorie che spezzino la dialettica tra identità e differenza.
Dall’altro lato, abbiamo il concetto di Norma eterosessuale di Mario Mieli: sebbene pensiero straight ed eteronormativo procedano in parallelo, l’analisi di Mieli si sviluppa da una posizione più “implicata” con la psicoanalisi: questa, infatti, offre a Mieli gli strumenti fondamentali per la costruzione della sua utopia. Pur adottando il linguaggio della psicoanalisi, Mieli condivide con Wittig il rifiuto del valore ontologico dell’eterosessualità come ineluttabile. Anche lui si scaglia contro la concezione ideologica che la relazione eterosessuale costituisca il nucleo di tutte le relazioni umane, sviluppando la sua teoria verso la liberazione dall’alienazione che l’eterosessualità normativa comporta. Anche Mieli, inoltre, sviluppa un’aspra critica contro “l’istituzione” della psicoanalisi:
«L’ideologia capitalistica è decisamente antiomosessuale: la scienza psichiatrica e la psicoanalisi, che nell’alveo della cultura borghese si affermano e si sviluppano, quasi sempre ne ricalcano i luoghi comuni. La naturalità dello status quo sociale e sessuale, sostenuta dall’ideologia dominante, non viene realmente messa in discussione dalla ricerca scientifica».1616Mieli, cit., p. 48.
Un altro punto di dialogo tra Mieli e Wittig potrebbe essere quello della differenza: i due convergono sulla funzionalità dell’oppressione delle donne, ontologicamente costruite come “altro” dall’ideologia eterosessuale e capitalista. Si può quindi ipotizzare un paragone tra le modalità di superamento dell’idea di differenza proposte dai due autori. Se Wittig si muove nella direzione di una “società senza sesso”, dove
«Il rifiuto di diventare (o di rimanere) eterosessuali significa sempre rifiutare di diventare, o di rimanere, un uomo o una donna, che ciò avvenga in modo cosciente o meno»,1717Wittig, cit., p. 33.
e descrive la pratica lesbica separatista come unica possibilità di liberazione, Mieli si serve della nozione di transessualità. Se per Wittig il lesbismo rappresenta
«L’unica forma sociale in cui, al momento, possiamo vivere liberamente. Il lesbismo è il solo concetto che conosco che vada oltre le categorie di sesso (donna e uomo) perché il soggetto designato (la lesbica) non è una donna, né economicamente, né politicamente, né ideologicamente»,1818Ivi, p. 40.
anche la transessualità di Mieli si configura come una forza in grado di superare le categorie convenzionali e funzionali della sessualità: come abbiamo visto, l’esperienza effettiva della transessualità svela il carattere illusorio della “coesistenza pacifica tra i sessi e tra eterosessualità e omosessualità”, permettendo l’accesso a una dimensione del desiderio non alienata, libera dalle imposizioni del linguaggio comune. La visione che accomuna Mieli e Wittig è dunque un superamento del sistema di categorizzazione dominante. Se per Wittig ciò si manifesta principalmente nel linguaggio, Mieli dedica un’attenzione particolare al suo materializzarsi nei rapporti e nelle relazioni quotidiane.
Potremmo immaginare di aggiungere un altro ipotetico interlocutore a questa conversazione: con Can The Monster Speak (2019), Paul Preciado si rivolge ai padri fondatori della psicoanalisi, criticando le radici imperialiste della disciplina e la sua connivenza con il “regime della differenza sessuale”. Preciado, come Mieli, sottolinea l’urgenza di una «rilettura queer e femminista del complesso di Edipo freudiano» e denuncia la mancanza, in psicoanalisi, di un tentativo di superare l’epistemologia eteronormativa della differenza sessuale e del binarismo di genere (2021, p. 38). Il discorso sviluppato da Preciado è denso di critiche nei confronti del sistema medico-psichiatrico che, a partire dagli anni ’40, ha costruito un sistema tassonomico patologizzante nei confronti delle persone con identità di genere devianti. Preciado lancia, di fronte a oltre 3.000 psicoanalisti della École de la Cause Freudienne, due interrogativi chiave:
«E se l’epistemologia del sesso, del genere e della differenza sessuale non fosse altro che una patologia del significante? […] E se la differenza genitale e l’espressione di genere non fossero gli unici criteri di accettazione di un corpo umano all’interno del collettivo politico e sociale?».1919Paul Preciado, Can the Monster Speak?: A Report to an Academy of Psychoanalysts, Fitzcarraldo Editions, London, 2021, p. 46.
Preciado propone dunque il passaggio a una “nuova epistemologia”, che prende già forma nelle conquiste ottenute dai movimenti femministi e queer, che sia in grado di accogliere e dare spazio alla molteplicità dei corpi senza categorizzarli in base alla loro abilità di aderire al modello eteropatriarcale. La portata della nuova epistemologia di Preciado è globale e totalizzante: il processo di cambiamento coinvolge tecnologie, dimensioni sociali e modalità visive e sensoriali. Il cambio di paradigma è comparabile al passaggio dalla fisica aristotelica a quella newtoniana.
«Questo cambio di paradigma potrebbe implicare il passaggio da sesso, genere e differenza sessuale (un’opposizione binaria, che sia considerata in opposizione dialettica o complementare, come duale o come duello) a un numero infinito di corpi differenti, di desideri non identificati e non identificabili. […] Si tratta di una proliferazione di pratiche e di forme di vita, una molti-plicazione di desideri che vadano al di là del piacere genitale».2020Ivi, p. 53.
La proposta di Preciado è fornita di una serie di strumenti e di un linguaggio inesistenti all’epoca di Mieli, e la posizione che l’autore assume nei confronti della psicoanalisi è forse ancora più radicalmente critica di quella sviluppata da Wittig. Nonostante tuttavia le ovvie differenze teoriche che intercorrono tra i tre, è possibile pensare Mieli, Wittig e Preciado come implicati in una rete più ampia di critica a un sistema denominato “regime della differenza sessuale”, “pensiero eterosessuale” o “Norma eterosessuale”. Il filo che unisce i tre autori è quello della consapevolezza del bisogno di superare le categorie funzionali al sistema: in Mieli, questa visione si manifesta nella “gaia scienza”: una riappropriazione di saperi e pratiche oltre “il dominio mortifero del capitale”. Il desiderio e la necessità di una “gaia scienza” è quindi il nodo che lega i tre autori, che ne sancisce la parentela superando le tassonomie dell’ideologia dominante. In questo intreccio, si annoda anche il desiderio: declinato dai tre in modalità diverse, ma sempre motore principale del cambiamento. Se per Wittig la pratica radicale e separatista del desiderio lesbico serve a contestare la “scienza dell’oppressione”, anche in Preciado la “molti-plicazione” di desideri devianti è fondamentale per il passaggio alla “nuova epistemologia”.
Porre Mieli in conversazione con altrə autorə è un esercizio difficile: l’uso non convenzionale che fa di termini chiave come monosessualità e transessualità lo allontana, a livello semiotico, dalla teoria queer tradizionale. Nonostante l’apparente incompatibilità di significati, accentuata anche dalla profonda diversità di contesti storici e sociali, che sembra sancire una totale impossibilità di comunicazione tra Mieli e autorə contemporaneə, il testo di Elementi, con la sua combinazione polimorfa e polifonica di linguaggi, ritmi e temi, ci parla attraverso un linguaggio che potremmo definire universale: quello del desiderio. Il desiderio traspare dal testo, superando le barriere contestuali di linguaggio e semiotica. Attraverso il linguaggio incorporato del desiderio, possiamo leggere gli Elementi senza cercare di appianarne la complessità. Il desiderio si fa bussola, non interpretativa ma esperienziale, dell’esplosione da cui emergono le teorie di Mieli: soltanto attraverso questa lente non egemonica, liberata e deviante, possiamo vedere Elementi di Critica Omosessuale come nodo di una rete complessa e aggrovigliata, intessuta attraverso l’intrecciarsi di una critica viscerale al sistema epistemologico dominante con la consapevolezza che il corpo, desiderante e desiderato, è il luogo primo di produzione teorica.
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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)
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Nato a Milano ma scappato a Bologna, Qui studia Antropologia e Storia Contemporanea. Parallelamente coltiva l’interesse per la letteratura e la teoria queer. Esplora gli spazi dell’attivismo queer di Bologna, con particolare interesse verso le lotte per l’autodeterminazione della salute e dell’identità di genere.
KABUL è una rivista di arti e culture contemporanee (KABUL magazine), una casa editrice indipendente (KABUL editions), un archivio digitale gratuito di traduzioni (KABUL digital library), un’associazione culturale no profit (KABUL projects). KABUL opera dal 2016 per la promozione della cultura contemporanea in Italia. Insieme a critici, docenti universitari e operatori del settore, si occupa di divulgare argomenti e ricerche centrali nell’attuale dibattito artistico e culturale internazionale.