Nella notte del 27 giugno 1969, allo Stonewall Inn, un noto bar gay del Greenwich Village (New York), l’ennesima incursione da parte delle forze di polizia, incaricate di schedare e disperdere gli avventori del locale e di arrestarne i dipendenti, segnerà una svolta irreversibile per la storia dei gruppi di liberazione omosessuale.
Stanchi di abusi e sistematici interventi repressivi (retate, violenze fisiche e arresti per presunti atti osceni), i clienti dello Stonewall Inn si ribellarono per la prima volta alle istituzioni, scatenando nei giorni successivi una serie di scontri a catena che culminarono con la creazione del Gay Liberation Front (GLF) e di altre associazioni affini, negli USA come nel resto del mondo occidentale. Le attuali conquiste sociali dell’universo LGBTQ si devono pertanto a quelle battaglie contro il potere che una folla di uomini, donne, trans e drag queen, quella notte, ebbe il coraggio di avviare.
Attivista omosessuale ed ex militante della New Left statunitense – che abbandona a seguito di una serie di episodi omofobi commessi da alcuni attivisti –, Carl Wittman è l’autore del MANIFESTO GAY, scritto nello stesso anno dei moti di Stonewall, pubblicato nel ’70 dal Red Butterfly (cellula del GLF) e mai tradotto prima d’ora in italiano. Nel suo testo, Wittman analizza il fenomeno della repressione omosessuale nei suoi effetti individuali e psicologici, che derivano a loro volta da cause sociali ed economiche. Seguendo il filo del suo ragionamento, infatti, «la natura lascia indefinito l’oggetto del desiderio sessuale», mentre «il genere di questo oggetto è definito socialmente». Negli anni ’90, l’idea di un binarismo di genere inteso come costruzione sociale e culturale arriverà, con la ripresa da parte di Judith Butler del caso di Herculine Barbin esposto da Foucault, a inglobare la stessa categoria di sesso e la dicotomia maschile/femminile (la cui genesi specificamente culturale è comprovata dall’esistenza di individui intersessuali).
Ma dal testo di Wittman a quelli di Butler la strada da percorrere è ancora lunga. Nel ’69, infatti, gli obiettivi dell’Emancipazione Omosessuale devono ancora (e in verità ancora oggi) riguardare: la lotta contro l’oppressione verso i gay e la conseguente liberazione della società dalla repressione e dai suoi dogmi eteronormativi. Per arrivare a ciò, il movimento dovrà pertanto identificare in altre categorie oppresse (le donne, i neri, i chicano e persino gli omofili che tentano di eteronormare l’omosessualità) i propri alleati: a essere diversi sono i singoli scopi, ma il nemico da combattere è il medesimo.
Se da un lato le ‘istruzioni’ riportate nel manifesto rispondono alle esigenze di una specifica categoria oppressa – quella omosessuale –, dall’altro riflettono tuttavia, su stessa ammissione dell’autore, il punto di vista (personale) di una categoria socialmente avvantaggiata: a scrivere è infatti innanzitutto un uomo, oltre più bianco, occidentale e appartenente alla middle class. Nei confronti del vasto e differenziato universo LGBTQ, Wittman, pertanto, non intende porsi come suo rappresentante esclusivo, ma come singola voce da unire al grande coro di protesta contro l’ordine sociale precostituito.
Introduzione di Dario Giovanni Alì
San Francisco è diventata un campo per rifugiati omosessuali. Siamo arrivati da ogni angolo del paese e, come veri rifugiati, siamo arrivati non perché le condizioni siano particolarmente buone, qui, quanto piuttosto perché erano pessime dove eravamo. A decine di migliaia ci siamo allontanati dalle piccole città dove essere noi stessi avrebbe compromesso le nostre possibilità di impiego e qualsiasi speranza di una vita quantomeno decente; siamo fuggiti da forze dell’ordine ricattatorie, famiglie che ci hanno ripudiati o ‘tollerati’; siamo stati cacciati dall’esercito e da scuola, licenziati, picchiati da teppisti e polizia.
Per proteggerci, abbiamo costruito un ghetto. Ed è proprio un ghetto, piuttosto che un territorio realmente libero, perché è ancora, in fondo, ancora loro. Poliziotti eterosessuali vegliano su di noi, siamo governati da politici eterosessuali e tenuti ordinatamente in fila da impiegati pubblici eterosessuali e sfruttati da un mercato eterosessuale. Abbiamo finto andasse tutto bene, perché non siamo stati in grado di scorgere la possibilità del cambiamento; sono riusciti a spaventarci.
L’anno scorso abbiamo assistito a una grande proliferazione di energie e idee circa la liberazione omosessuale. Non sappiamo come sia cominciato, forse siamo stati ispirati dai neri e il loro movimento di liberazione; forse abbiamo imparato a smettere di fingere di essere ciò che non siamo dalla grande rivoluzione hippie. L’Amerika [sic] è emersa in tutto il suo squallore, insieme con le sue guerre e alla nostra classe politica. E finalmente proviamo orrore per il ghetto di cui eravamo prigionieri.
Laddove una volta c’era frustrazione, alienazione e cinismo, sono emerse tra noi nuove caratteristiche. Siamo pieni d’amore, tra noi, e lo dimostriamo; siamo pieni di rabbia per quello che ci è stato fatto. Ricordando l’autocensura e la repressione di cui siamo stati vittime per così tanti anni, ci scendono le lacrime. Nondimeno siamo euforici, ebbri della nascita di un movimento fiorente.
Vogliamo essere chiari: il nostro primo compito è liberare noi stessi; questo significa innanzitutto sgomberare le nostre menti dell’immondizia che ci è stata insegnata. Questo articolo è un tentativo di sollevare alcuni temi fondamentali e presentare qualche nuova idea che possa magari sostituire quelle vecchie. Deve essere, soprattutto, l’inizio di un dibattito. Se poi qualche eterosessuale di buon cuore lo troverà utile per meglio comprendere di cosa si tratti, quando parliamo di liberazione, beh, tanto meglio.
Dovrebbe anche essere chiaro che qui raccolte trovano voce le idee e le osservazioni di una sola persona e non sono determinate unicamente dalla mia omosessualità, ma anche dal mio essere bianco, uomo e dalla mia appartenenza al ceto medio. Si tratta della mia coscienza individuale. La nostra coscienza collettiva, invece, evolverà tanto più saremo numerosi. Siamo solo all’inizio.
I. L’orientamento
1. Che cos’è l’omosessualità: la natura lascia indefinito l’oggetto del desiderio sessuale. Il genere di questo oggetto è definito socialmente. L’umanità, inizialmente, ha stabilito una serie di tabù sull’omosessualità perché aveva costantemente bisogno di ogni briciolo di energia per produrre e crescere bambini: la sopravvivenza della specie era una priorità. Con l’innovazione tecnologica e i recenti problemi di sovrappopolazione, quei tabù sono proseguiti solo per convenienza: per continuare il nostro sfruttamento.
Da bambini ci rifiutavamo di ignorare i nostri sentimenti. Da qualche parte trovavamo la forza di opporre resistenza all’indottrinamento, e dovremmo contare questo fatto tra le carte a nostra disposizione. Dobbiamo renderci conto che il nostro amore è una cosa buona, non una condizione sciagurata, e che abbiamo anzi molto da insegnare alla popolazione eterosessuale, in materia di sesso, amore, forza e resistenza.
L’omosessualità non è molte cose. Non è un passatempo nell’impossibilità di avere rapporti con l’altro sesso; non è una forma d’odio e repulsione verso l’altro sesso; non è un fatto genetico; non è il risultato di una situazione familiare disastrosa. L’omosessualità è, in ultima analisi, la capacità di amare qualcuno dello stesso sesso.
2. Bisessualità: la bisessualità è ok; è la capacità di amare persone di entrambi i sessi. Il motivo per cui così pochi di noi sono bisessuali ha a che fare con il fatto che la società ha insistito così tanto nel condannare l’omosessualità che ci sentiamo costretti a un mondo binario: eterosessuale o no. Molti omosessuali, poi, sperimentano difficoltà e, conseguentemente, perdono di interesse nel comportarsi con le donne come ci si aspetta si comportino, e vice versa. Gli omosessuali cominceranno a essere eccitati dall’altro sesso, forse, quando 1) sarà una cosa che faremo perché ci va e non perché sarebbe opportuno facessimo, 2) quando la battaglia per la liberazione femminile avrà cambiato la natura della relazione eterosessuale.
Continuiamo a chiamarci omosessuali, piuttosto che bisessuali, anche se abbiamo rapporti con l’altro sesso, solamente perché dire «Oh, sono bi» non è recepito bene all’interno della comunità omosessuale. Ci hanno raccontato che va bene andare a letto con altri uomini, finché abbiamo anche rapporti eterosessuali, e questo è un fatto che, per reazione, scoraggia ancora molti gay. Resteremo gay, quindi, finché tutti non avranno dimenticato che la cosa sia in qualche modo un problema. Allora cominceremo a dirci completi, forse.
3. Eterosessualità: l’eterosessualità esclusiva è una stronzata. Riflette la paura delle persone per l’altro del proprio sesso, è un orientamento omofobo di per sé e lordo di frustrazione. Il sesso eterosessuale è un’altra stronzata: chiedete al movimento per la liberazione femminile come si comportano a letto gli etero. Per il maschio sciovinista, il sesso è aggressione e, per la donna tradizionale, un dovere. Tra i giovani, tra gli hippie di oggi, è solo una versione più sottile della stessa solfa. Per noialtri, essere eterosessuale nel modo in cui lo sono i nostri fratelli o sorelle eterosessuali è la malattia, non la cura.
II. Sulle donne
1. Lesbismo: la società è stata dominata dal maschio per troppo tempo e ciò ha avuto ripercussioni negative tanto per le donne che per il maschio stesso. Per questo motivo, le donne omosessuali avranno una visione affatto diversa da quella dei maschi omosessuali; si sentiranno ulteriormente oppresse in quanto donne. La loro liberazione è tanto una liberazione gay quanto una liberazione femminile.
Questo articolo parla dal punto di vista del maschio gay, e anche se alcune idee potrebbero rivelarsi egualmente significative per le nostre sorelle omosessuali, sarebbe quantomeno arrogante presumere si tratti di un manifesto per le lesbiche.
Aspettiamo con ansia la voce del movimento lesbico di liberazione. L’esistenza di un raggruppamento di lesbiche all’interno del Fronte per la liberazione gay di New York è stato di grande importanza e utilità nel mettere in discussione lo sciovinismo maschile, anche all’interno della comunità gay.
2. Lo sciovinismo maschile: ogni maschio è infettato dal male dello sciovinismo e del resto siamo stati cresciuti per esserlo. Significa assumere che la donna occupi naturalmente un posto subalterno e che sia, in qualche modo e misura, meno umana di noi (a uno dei primi incontri del movimento di liberazione ricordo un ragazzo dire: «perché non invitiamo le ragazze del movimento di liberazione? Potrebbero servirci sandwich e caffè»). Non c’è da stupirsi che così poche lesbiche siano rimaste parte attiva nei nostri gruppi.
Lo sciovinismo maschile, del resto, non è un fatto centrale, comunque. Possiamo e dobbiamo liberarcene molto più facilmente degli etero, perché, a differenza loro, abbiamo conoscenza diretta dell’oppressione. In gran parte siamo critici rispetto a, o abbiamo già abbandonato, un sistema che opprime la donna quotidianamente. Il nostro ego non è integralmente costruito intorno all’umiliare la donna e aspettarci che si prenda cura di noi. Ancora, vivere in un mondo principalmente maschile ci ha insegnato a interpretare diversi ruoli, occuparci di noi stessi, essere autonomi. In ultima analisi, poi, abbiamo un nemico comune: i grandi maschi sciovinisti coincidono con i grandi omofobi.
Nondimeno, tra noi, dobbiamo combattere questo sciovinismo in ogni modo. Le pupe sono come i negri, che sono a loro volta come gli omosessuali. Pensateci.
3. La liberazione femminile: le nostre sorelle danno per scontato la parità di genere e la dignità, e comportandosi in questo modo si comportano come noi: lanciano una sfida alla definizione dei ruoli, allo sfruttamento delle minoranze da parte del capitalismo, all’insopportabile e ottusa arroganza dell’uomo bianco eterosessuale di ceto medio amerikano. Sono nostre sorelle nella battaglia.
Eventuali problemi e differenze saranno ancora più evidenti il giorno che sapremo iniziare a collaborare davvero. Un grosso problema, però, riguarda ancora il nostro stesso sciovinismo. Un altro è l’attiva ostilità di moltissime donne etero rispetto all’omosessualità maschile. Un terzo problema, in ultimo, è il differente sguardo sul sesso: il sesso, per loro, non è stato che oppressione, per noi è il simbolo della liberazione. Dobbiamo venirci incontro e sforzarci di capire reciprocamente le differenze di stile, vocabolario o umorismo.
III. Sui ruoli
1. L’imitazione della società eterosessuale: siamo figli di una società eterosessuale e ancora pensiamo come eterosessuali: è parte dell’oppressione. Uno dei concetti etero peggiori è quello della disuguaglianza. Il pensiero etero (bianco, inglese, maschile, capitalista) vede le cose in termini comparativi. «A» sta prima di «B», «B» segue «A»; «uno» è minore di «due» che è minore di «tre»; non esiste alcuno spazio di uguaglianza. Questo modo di pensare si estende poi a ben altre categorie binarie come maschio/femmina, sopra/sotto, sposata/nubile, eterosessuale/omosessuale, capo/dipendente, bianco/nero e ricco/povero. Le nostre istituzioni riflettono questa gerarchia verbale. Ecco l’Amerika.
Abbiamo vissuto gran parte della nostra vita all’interno di queste istituzioni. Naturalmente ne abbiamo assunto i ruoli e per troppo tempo li abbiamo imitati per proteggerci. Un meccanismo di sopravvivenza. Ora siamo abbastanza liberi da sbarazzarcene.
«Basta imitare gli eterosessuali, basta auto-censurarci»
2. Matrimonio: il matrimonio è un ottimo esempio di istituzione etero piena di ruoli definiti. Il matrimonio tradizionale è un’istituzione marcia e oppressiva. Quanti di noi che vengono da un matrimonio eterosessuale hanno spesso attribuito alla propria omosessualità il fallimento del loro matrimonio. No. Avete divorziato perché il matrimonio è un contratto asfissiante per entrambi che nega alcuni bisogni fondamentali e grava le persone di aspettative eccessive, ma ancora una volta ci siamo adattati ai ruoli che ci spettavano.
La comunità gay dovrebbe smetterla di rendersi ridicola imitando l’istituzione matrimoniale. I matrimoni gay presenteranno esattamente gli stessi problemi di quelli etero, ma saranno ancora più assurdi dal momento che risultano assenti tanto una qualsivoglia legittimità, quanto il tipo di pressioni sociali che tiene insieme i matrimoni etero (i bambini, il pensiero o la volontà dei propri genitori, l’opinione dei vicini di casa e così via).
Accettare che la felicità abbia a che vedere con il trovare una buona sposa, sistemarsi e mostrare al mondo che «guardate, siamo proprio come voi!» elude i veri problemi ed è un’espressione di odio verso se stessi.
3. Alternative al matrimonio: le persone vogliono sposarsi per una serie di ottime ragioni, anche se spesso il matrimonio non incontra quei bisogni o desideri. Tutti cerchiamo sicurezza, amore e la sensazione di appartenere a qualcosa, di essere necessari a qualcuno. Ma questi bisogni possono essere assecondati da un gran numero di diversi tipi di relazione. Le cose da cui vogliamo prendere le distanze sono: 1. L’esclusività, il senso di possesso, un mutuo contratto contro il resto del mondo; 2. La promessa di un futuro insieme che non fa che esserci di impaccio o generare sensi di colpa; 3. L’inflessibilità del ruoli; ruoli, oltretutto, che abbiamo ereditato per imitazione e incapacità di definire relazioni più eque.
Dobbiamo specificare per noi stessi una nuova struttura sociale che sia pluralistica, senza ruoli rigidi. Deve essere abbastanza elastica da garantire alle persone il massimo della libertà e dello spazio: la possibilità di stare soli, di convivere per qualche tempo o di convivere a lungo, tanto come coppia che come gruppo, e soprattutto deve garantire la massima fluidità nel passare da uno di questi stati a un altro, secondo necessità.
La lotta per la liberazione gay sta ridefinendo con chi e come dovremmo trascorrere il nostro tempo, invece di commisurare il valore di una relazione ai valori dell’istituzione matrimoniale.
4. ‘Stereotipi’ gay: l’immagine che il mondo etero ha di quello omosessuale è dovuta in gran parte a quelli tra noi che hanno saputo violare i ruoli prestabiliti. C’è una tendenza tra gli ‘omofili’ a deplorare quei fratelli che interpretano ruoli percepiti come eccentrici. Come gay liberati dobbiamo prendere una posizione precisa: 1. I gay che hanno saputo distinguersi sono i nostri primi martiri e 2. Se hanno sofferto per il solo fatto di essere se stessi è con la società eterosessuale che dobbiamo prendercela e non certo con qualche fratello che si comporta da reginetta.
5. Closet queen: questo periodo sta diventando analogo a quella dello ‘zio Tom’. Fingere di essere eterosessuali o fingere di essere eteronormati è forse la condotta più tossica che si possa tenere, nel ghetto. Gli uomini sposati che hanno rapporti omosessuali in segreto; gli uomini disposti a fare sesso, ma incapaci di considerare una qualsivoglia relazione omosessuale; quelli che fingono sul posto di lavoro o a scuola che cambiano volontariamente il genere della persona di cui sta parlando coi colleghi o i compagni; il tipo disposto a succhiare cazzi tra i cespugli, ma che non accetterebbe mai un invito a letto.
Se davvero siamo gay liberati dobbiamo essere onesti circa la nostra sessualità. Gli omosessuali devono uscire allo scoperto, fare coming out.
Ma, dicendo coming out, dovremmo avere ben chiaro un certo numero di cose: 1) Le closet queen sono nostri fratelli ed è nostro dovere difenderli dagli attacchi del mondo etero; 2) La paura di fare coming out non è paranoia; la posta in gioco è elevata: perdita di legami familiari, perdita del lavoro, perdita di amici etero – tutte queste cose ci ricordano che l’oppressione non è solo nelle nostre teste. È reale. Ciascuno di noi deve intraprendere il cammino tenendo conto dell’ampiezza del suo passo e sulla base dei propri impulsi. L’apertura costituisce le fondamenta della libertà: deve essere costruita in modo solido. 3) ‘Closet queen’ è un termine ampio che copre una moltitudine di forme di difesa, odio verso se stessi, mancanza di forza e abitudine. Siamo tutti closet queen in qualche modo, e tutti noi abbiamo dovuto fare coming out – davvero pochi erano ‘evidenti’ a sette anni! Dobbiamo concedere ai nostri fratelli e sorelle la stessa pazienza che abbiamo concesso a noi stessi. Anche se il loro comportamento da closet queen è parte della nostra oppressione, è più parte della loro. Solo loro possono decidere quando e come.
IV. Sull’oppressione
È importante catalogare e capire le diverse facce della nostra oppressione. Non c’è alcun futuro nel discutere sui gradi di oppressione. Molte persone ‘del movimento’ se ne escono con merda sul fatto che gli omosessuali non siano oppressi come i neri o i Vietnamiti o i lavoratori o le donne. Non rientriamo nelle loro idee di classe e casta. Stronzate! Quando le persone si sentono oppresse, agiscono sulla base di quella sensazione. Ci sentiamo oppressi. I discorsi sulla priorità dell’emancipazione nera o del mettere fine all’imperialismo rispetto all’emancipazione omosessuale sono solo propaganda anti-gay.
1. Attacchi fisici: siamo attaccati, picchiati, castrati e lasciati morti volta dopo volta. Sono note una mezza dozzina di uccisioni irrisolte nei parchi di San Francisco nei pochi anni passati.
‘Punk’, spesso appartenenti a minoranze, che si guardano attorno alla ricerca di qualcuno di socialmente inferiore, si sentono incoraggiati ad attaccare le ‘queen’, e la polizia guarda dall’altra parte. Questo si chiama linciaggio.
La polizia, nella maggior parte delle città, ha attaccato i nostri luoghi d’incontro: bar, bagni e parchi. Hanno messo in piedi squadre per intrappolarci. In aprile, un fratello di Berkley è stato ucciso da un poliziotto, quando ha cercato di scappare dopo aver scoperto che il cliente che lo stava avvicinando era, appunto, un poliziotto. Le città hanno iniziato con la schedatura dei ‘pervertiti’, il che porta, per paura, i nostri fratelli a nascondersi nell’«armadio» ancora più profondamente.
Una delle più terribili calunnie a nostro danno è l’attribuzione della responsabilità per ‘strupri di gruppo’ in prigione. Questi stupri sono invariabilmente commessi da persone che si ritengono etero. Le vittime siamo noi ed etero che non sono in grado di difendersi. La campagna pubblicitaria per collegare stupri in prigione e omosessualità è un tentativo di farci temere e disprezzare dagli etero, per poterci opprimere di più. È tipico della mentalità del cazzo dell’etero pensare che il sesso omosessuale implichi l’immobilizzare un uomo e fotterlo. Quella è aggressione, non sesso. Se quello è sesso per molti etero, è un problema che loro devono risolvere, non noi.
2. Guerra psicologica: Fin dall’inizio siamo stati bersaglio di un bombardamento di propaganda etero. Dato che i nostri genitori non conoscono nessun omosessuale, siamo cresciuti pensando di essere soli, diversi e perversi. I nostri amici di scuola identificano con ‘queer’ qualsiasi comportamento non-conformista o cattivo. I nostri insegnanti di scuola elementare ci dicono di non parlare con sconosciuti o accettare passaggi. Televisioni, cartelloni pubblicitari e riviste propongono una falsa idealizzazione delle relazioni uomo/donna e ci fanno desiderare di essere diversi, di conformarci. Nelle nostre ore di economia domestica ci viene insegnato come dovremo essere da grandi. In tutto ciò, se sentiamo parlare di omosessualità, nel caso migliore sarà descritta come un problema sconveniente.
3. Auto-oppressione: Via via che l’emancipazione gay procederà, troveremo i nostri fratelli e sorelle più rigidi, in particolare coloro che stanno traendo profitto dal nostro ghetto, nel difendere lo status quo. Questa è auto-oppressione: ‘non agitiamo le acque’; ‘le cose a SF vanno bene’; ‘i gay non sono uniti’; ’Non sono oppresso’. Queste frasi escono direttamente dalla bocca del potere costituito etero. Una grossa parte della nostra oppressione avrebbe fine se smettessimo di danneggiare noi stessi e il nostro orgoglio.
4. Istituzionale: La discriminazione contro i gay è ovvia, se apriamo i nostri occhi. Le relazioni omosessuali sono illegali, e, anche se queste leggi non sono generalmente fatte rispettare, incoraggiano e rendono obbligatori comportamenti da ‘closet queen’. La maggior parte del settore dell’assistenza sociale e della psichiatria vede l’omosessualità come un problema e ci tratta come malati. I datori di lavoro fanno sapere che le nostre abilità sono accettabili solo fino a quando la nostra sessualità rimane nascosta. Le grandi aziende e il governo sono particolarmente colpevoli di questo.
La discriminazione nella leva e nelle forze armate è un pilastro dell’atteggiamento generale verso i gay. Se siamo disposti a etichettarci pubblicamente non solo come omosessuali ma come malati, allora ci qualifichiamo per un rinvio; e se non siamo ‘discreti’ (disonesti) veniamo sbattuti fuori dal servizio. Accidenti, no, non andremo, ovviamente no, ma non possiamo permettere all’esercito di fotterci anche in questo modo.
V. Sul sesso
1. Che cos’è il sesso: È sia espressione creativa che comunicazione: buono quando è una delle due, migliore quando è entrambe. Il sesso può anche essere aggressione. Questo generalmente quando le persone coinvolte non si vedono come pari; può essere anche superficiale, quando siamo distratti o preoccupati. Questi usi rovinano ciò che c’è di buono sul sesso.
Mi piace pensare al buon sesso come al suonare il violino: con entrambe le persone che su un livello vedono il corpo dell’altro come un oggetto capace di creare bellezza quando impiegato correttamente; e che su un secondo livello comunicano attraverso la loro mutua produzione e contemplazione di bellezza. Come nella buona musica, ne sei totalmente assorbito – e tornare indietro da quello stato di coscienza è come finire un’opera d’arte o uscire da un trip indotto da acidi o mescalina. Per insistere con questa analogia: la varietà della musica è infinita e dipende dalla capacità degli esecutori, sia come soggetti che come oggetti. Sono possibili assoli, duetti, quartetti (anche sinfonie, addirittura, se vi piace la musica romantica!). Le variazioni nel sesso e i corpi sono come strumenti differenti. E forse ciò che chiamiamo ‘orientamento’ sessuale significa solo che non abbiamo ancora imparato a fruire dell’intero spettro dell’espressione musicale.
2. Oggettivazione: In questo schema, le persone sono oggetti sessuali, ma sono anche oggetti ed esseri umani che apprezzano se stessi come oggetto e soggetto. Questo uso dei corpi umani come oggetti è legittimo (non dannoso) solo quando è reciproco. Se una persona è sempre oggetto e l’altra soggetto, ciò reprime l’essere umano in ognuno di loro. L’oggettivazione deve inoltre essere aperta e diretta. Attraverso il silenzio assumiamo spesso o lasciamo che l’altra persona assuma che il sesso significhi accettare degli impegni: se è così, va bene; ma se non lo è, bisogna dirlo (ovviamente non è davvero così semplice: le nostre capacità di manipolazione sono impensabili, tutto ciò che possiamo fare è provare).
Chi si occupa di emancipazione gay deve capire che le donne sono state trattate esclusivamente e in modo disonesto come oggetti sessuali. Una componente significativa della loro emancipazione è ridurre l’oggettivazione sessuale e sviluppare altri aspetti di loro stesse che sono stati a lungo repressi. Noi rispettiamo questo. Capiamo anche che alcune donne emancipate saranno contrarie o disgustate dal ruolo visibile e preminente che diamo al sesso nelle nostre vite; e anche se è una risposta naturale derivante dalla loro esperienza, devono capire che cosa significhi per noi.
Per noi, l’oggettivazione sessuale è un perno della nostra ricerca di libertà. È esattamente quello che non dovremmo condividere tra noi. Imparare come essere sessualmente aperti e positivi tra noi è parte della nostra emancipazione. Con una distinzione ovvia: l’oggettivazione del sesso è per noi qualcosa che scegliamo di attuare tra noi, mentre per le donne è imposta dai loro oppressori.
3. Circa posizioni e ruoli: Molta della nostra sessualità è stata traviata attraverso l’imitazione degli etero e distorta attraverso l’odio di noi stessi. Tali perversioni sessuali sono sostanzialmente anti-gay:
«Mi piace farlo con gli etero».
«Non sono gay, ma mi piace essere ‘fatto’».
«Mi piace fottere, ma non voglio essere fottuto».
«Non mi piace essere toccato al di sopra del collo».
Si tratta di un gioco di ruolo nella sua forma peggiore; dobbiamo trascendere questi ruoli. Noi lottiamo per un sesso democratico, comune e reciproco. Ciò non significa che a letto siamo immagini speculari l’uno dell’altro, ma che ci stacchiamo dai ruoli che ci rendono schiavi. A letto facciamo già meglio degli etero, e possiamo fare ancora di meglio.
4. Pulcini e stalloni: Prendiamone atto, bei corpi e corpi giovani sono qualità, sono groovy. Sono ispirazione per l’arte, per l’accrescimento spirituale, per il buon sesso. Il problema sorge solo nell’inabilità di relazionarsi a persone della stessa età o che non rientrano nei plastici stereotipi di un bel corpo. A quel punto, l’oggettivazione eclissa le persone ed esprime odio per se stessi: «Odio le persone gay e non mi piaccio, ma se uno stallone (o una checca) vuole farlo con me, posso fingere di essere una persona diversa da me stesso».
Una nota sullo sfruttamento dei bambini: i bambini possono occuparsi di loro stessi e sono esseri sessuali molto prima di quanto ci piaccia ammettere. Chi tra noi ha iniziato ad abbordare nella prima adolescenza lo sa, ed eravamo noi ad abbordare, non eravamo corrotti da vecchi pervertiti. Scandali come quello di Boise, in Idaho – dare la colpa a una ‘cabala’ di omosessuali per aver traviato la loro gioventù – sono fabbricazioni di stampa, polizia e politici. Per quanto riguarda le molestie sui bambini, la grande maggioranza di esse è perpetrata da uomini etero su ragazzine: non è un problema specificamente gay, ed è causato dalle frustrazioni risultanti dal puritanesimo contrario al sesso.
5. Perversione: «Siamo stati chiamati pervertiti abbastanza da trovare sospetto ogni uso della parola. Comunque molti di noi non apprezzano l’idea di certi tipi di sesso: il sesso con gli animali, il sado/masochismo, il sesso sporco (che coinvolge urina o merda). Immediatamente, prima di dedicare del tempo a imparare altro, ci sono alcune cose da chiarire:
1. Non dovremmo giustificarci con gli etero sui gay le cui vite sessuali non capiamo o condividiamo;
2. Non è una questione particolarmente specifica ai gay, se non che i gay probabilmente sono meno restii alla sperimentazione sessuale.
3. Non perdiamo di vista il quadro generale: anche se dovessimo entrare nel gioco di decidere che cos’è bene per qualcun altro, i danni causati da queste ‘perversioni’ sono sicuramente meno pericolosi o dannosi per la salute di tabacco e alcool.
4. Anche se possono essere riflessi di meccanismi neurotici o di odio verso se stessi, possono anche essere manifestazioni di fenomeni spirituali o importanti: ad esempio, il sesso con animali potrebbe essere l’inizio della comunicazione tra le specie: a livello sessuale si sono avuti alcuni progressi tra umani e delfini; ad esempio, un uomo che dica che, talvolta, durante il sesso, gli piace la merda, dice che non si tratta del sapore o della consistenza, ma del simbolo del fatto che è così coinvolto nel sesso che queste cose non lo disturbano più; ad esempio, il sado/masochismo, quando consensuale, può essere descritto come un’occupazione altamente artistica, un balletto le cui regole sono i confini del dolore e del piacere.
VI. Sul nostro ghetto
Siamo dei rifugiati dall’Amerika. In questo modo siamo arrivati nel ghetto – e come altri ghetti, ha aspetti positivi e negativi. I campi profughi sono meglio di ciò che li ha preceduti, altrimenti non vi sarebbe arrivato nessuno. Ma sono comunque una forma di schiavitù, anche solo perché siamo limitati al poter essere noi stessi lì e solo lì.
I ghetti nutrono l’odio di se stessi. Qui stagniamo, accettiamo lo status quo. Lo status quo è marcio. Siamo tutti distorti dalla nostra oppressione, e nell’isolamento del ghetto diamo la colpa a noi stessi invece che ai nostri oppressori.
I ghetti nutrono lo sfruttamento: i proprietari di immobili scoprono di poter imporre affitti esorbitanti senza problemi, perché l’area in cui è sicuro vivere apertamente è limitata. Il controllo da parte della mafia di bar e bagni a New York è solo un esempio di capitale esterno che controlla le nostre istituzioni per il proprio profitto. A San Francisco, la Tavern Guild preferisce mantenere il ghetto, perché è attraverso la cultura del ghetto che fa soldi. Affolliamo i loro bar non perché abbiano particolari meriti, ma per l’assenza di ogni altra istituzione sociale. La Guild ci ha vietato di raccogliere fondi di difesa o di distribuire letteratura d’emancipazione gay nei suoi bar – dobbiamo chiedere perché?
La polizia o i truffatori che estorcono denaro al gay che appare etero in cambio di non tradire la sua identità; le librerie e i produttori di film che continuano ad alzare i prezzi perché sono l’unica via per la pornografia; i capi di agenzie di ‘modelli’ e altri ruffiani che sfruttano sia adescatori che clienti – questi sono i parassiti che traggono giovamento dal ghetto.
SAN FRANCISCO – Ghetto o Territorio Libero: Il nostro ghetto è certamente più bello, grande e variegato della maggior parte dei ghetti, ed è sicuramente più libero del resto dell’Amerika. Ecco perché siamo qui. Ma non è nostro. I capitalisti fanno soldi grazie a noi, i poliziotti ci pattugliano, il governo ci tollera se stiamo zitti, e ogni giorno lavoriamo per e paghiamo tasse a coloro che ci opprimono.
Per essere un territorio libero, dobbiamo governarci, creare le nostre istituzioni, difenderci e usare le nostre energie per migliorare le nostre vite. La nascita di comuni di emancipazione gay e il nostro giornale sono una buona partenza. I discorsi sui coffee shop/sale da ballo d’emancipazione gay dovrebbero essere concretizzati. Rifugi rurali, uffici d’azione politica, cooperative alimentari, una scuola libera, bar e dopolavoro non alienanti devono essere creati se vogliamo avere anche solo l’ombra di un territorio libero.
VII. Sulla coalizione
Per adesso il grosso del nostro lavoro deve avvenire tra noi – educarci, fermare attacchi, costruire territori liberi. Quindi sostanzialmente dobbiamo avere una visione gay/etero del mondo fino a quando l’oppressione dei gay non finirà.
Ma non tutti gli etero sono nostri nemici. Molti di noi hanno identità miste e legami con altri movimenti di emancipazione: donne, neri e altri gruppi minoritari; possiamo anche aver adottato un’identità che è vitale per noi: l’ecologia, l’erba, l’ideologia. Prendiamone atto: non possiamo cambiare l’Amerika da soli:
A chi guardiamo per formare una coalizione?
1. Emancipazione femminile: Riassumendo quanto già detto, 1) sono il nostro alleato più prossimo, dobbiamo provare tenacemente a unirci a loro; 2) un’alleanza con le lesbiche è probabilmente il modo migliore per attaccare lo sciovinismo maschile degli uomini gay e l’«eterosessualità» dell’emancipazione femminile; 3) come uomini dobbiamo essere sensibili allo sviluppo delle loro identità come donne e rispettarlo; se noi sappiamo che cos’è la nostra libertà, loro certamente sapranno cos’è meglio per loro.
2. Emancipazione nera: Per adesso, i legami sono deboli per via della rigidità e supermascolinità di molti uomini neri (che è comprensibile). Malgrado ciò, dobbiamo sostenere il loro movimento, in particolare quando è sotto attacco da parte dell’ordine costituito; dobbiamo far vedere loro che siamo seri; e dobbiamo capire quali sono i nostri nemici comuni: la polizia, l’amministrazione cittadina, il capitalismo.
3. I chicano: Sostanzialmente lo stesso problema dei neri: superare la mutua ostilità e trovare modi di sostenerli. Il problema aggiuntivo dell’estrema rigidità e del machismo nelle culture latine e il meccanismo dei messicani che picchiano i ‘froci’ possono essere superati: siamo entrambi oppressi, e in cima ci sono le stesse persone.
4. Radicali e ideologi bianchi: In quanto gruppo, non siamo marxisti o comunisti. Non abbiamo ancora capito quale tipo di sistema politico/economico sia buono per noi gay. Per ora, siamo stati trattati da presenze sgradite sia dai paesi capitalisti che da quelli socialisti.
Ma sappiamo che siamo radicali, perché sappiamo che il sistema al quale sottostiamo attualmente è fonte diretta di oppressione, e non è questione di ottenere la nostra fetta di torta. La torta è marcia.
Possiamo sperare in una coalizione e a un mutuo supporto con i gruppi radicali se sono capaci di trascendere i loro meccanismi anti-gay e sciovinisti maschili. Supportiamo richieste radicali quando si manifestano, ad esempio Moratorium, People’s Park; ma solo come gruppo; non possiamo compromettere o indebolire la nostra identità gay.
Problemi: dato che i radicali stanno facendo il lavoro di qualcun altro, tendono a evitare i temi in cui sono direttamente coinvolti e ci vedono come un pericolo per il loro ‘lavoro’ con gli altri gruppi (lavoratori, neri). Alcuni anni addietro, un dignitario SDS di un progetto di organizzazione comunitaria annunciò, a un’iniziale riunione del personale, che non ci sarebbe stata omosessualità (o erba) nel progetto. E recentemente, a New York, un gruppo che si era incontrato in una coffee-house dopo un raduno politico ha chiesto a dei gay, quando hanno iniziato a ballare insieme, di andarsene (è interessante notare che in questo caso i soli due gruppi ad averci supportato sono stati quello dell’Emancipazione Femminile e i Crazies).
Forse sarebbe più produttivo parlare ai radicali della loro omosessualità repressa e dei problemi che derivano dal mettere in discussione i ruoli sessuali.
5. Persone hip e street: una dinamica importante nel crescente sentimento di emancipazione gay è la rivoluzione ‘hip’ nella comunità gay.
L’enfasi sull’amore, l’abbandono, l’essere onesti, l’esprimere se stessi attraverso capelli e vestiti e fumare erba sono tutti attributi di questo. I gay che sono meno vulnerabili agli attacchi da parte dell’ordine costituito sono stati più liberi di esprimersi sull’emancipazione gay.
Possiamo appellarci direttamente ai giovani, che non sono così conservatori sull’omosessualità. Un ragazzo, dopo aver fatto sesso per la prima volta con un uomo, ha detto «Non capisco quale sia il problema, farlo con una ragazza non è così diverso».
La cultura hip/street ha condotto le persone a molteplici attività liberatorie: incontri/sensibilità, la ricerca della realtà, territori liberi per gli individui, consapevolezza ecologica, comuni. Questi sono punti di convergenza reali, e probabilmente renderanno anche più facile per loro giungere alle giuste conclusioni sull’omosessualità.
6. Gruppi omofili: 1) Per quanto possano essere riformisti e ristretti, sono nostri fratelli. Cresceranno come siamo cresciuti e stiamo crescendo. Non devono essere attaccati in compagnia etero o mista. 2) I loro attacchi devono essere ignorati. 3) Bisogna cooperare quando è possibile senza compromettere la nostra identità.
Conclusione: uno schema delle necessità per l’emancipazione gay
1. Liberare noi stessi: fare coming out ovunque; avviare attività politica e di autodifesa; avviare istituzioni di contro-comunità.
2. Avvicinare le altre persone gay: parlare sempre; capire, perdonare, accettare.
3. Liberare l’omosessuale di ognuno: riceveremo un bel po’ di merda da quelli che si nascondono e si sentono minacciati: essere gentili, continuare a parlare e agire liberamente.
4. Abbiamo recitato una parte così a lungo da essere attori professionisti. Adesso possiamo iniziare a essere, e sarà un bello spettacolo!
Rif. bibl.: Carl Wittman, A Gay Manifesto, Red Butterfly, San Francisco 1970.
Dario Giovanni Alì è Responsabile didattico per Formazione su Misura (Mondadori Education – Rizzoli Education) e Direttore editoriale di KABUL magazine. Dopo aver conseguito una laurea magistrale in Filologia della letteratura italiana, partecipa a CAMPO (Fondazione Sandretto Re Rebaudengo) e ottiene un master in Editoria cartacea e digitale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. È autore, per De Agostini, di due volumi biografici su Torquato Tasso e Lorenzo Valla. Attualmente vive e lavora a Milano.
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"Information is power. But like all power, there are those who want to keep it for themselves. But sharing isn’t immoral – it’s a moral imperative” (Aaron Swartz)
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Carl Wittman è stato membro della consulta nazionale Students for a Democratic Society e storico attivista per i diritti LGBT. Autore, nel 1970, di A Gay Manifesto, tra i più rilevanti scritti di liberazione omosessuale pubblicati negli Stati Uniti degli anni ’70, muore suicida nel 1986.
KABUL è una rivista di arti e culture contemporanee (KABUL magazine), una casa editrice indipendente (KABUL editions), un archivio digitale gratuito di traduzioni (KABUL digital library), un’associazione culturale no profit (KABUL projects). KABUL opera dal 2016 per la promozione della cultura contemporanea in Italia. Insieme a critici, docenti universitari e operatori del settore, si occupa di divulgare argomenti e ricerche centrali nell’attuale dibattito artistico e culturale internazionale.